IL PAESE E IL PALAZZO

“Ci vuole un Reddito”: a Roma sfila la rabbia di chi non ha nulla

LA MANIFESTAZIONE – La rete di 140 associazioni, da Arci a Cgil e ActionAid. I percettori aprono il corteo: “La nostra vita conta”

DI LEONARDO BISON

28 MAGGIO 2023

“Io penso che sia una vergogna, questa gente vive in un universo parallelo. Non ha idea di cosa ci sia nel paese. Siamo l’unico paese europeo che non sostiene i poveri” lo urla forte, con una rabbia crescente, una delle percettrici di reddito di cittadinanza intervenuta ieri pomeriggio al corteo “Ci vuole un reddito” che si è snodato da Piazza dell’Esquilino a piazza Vittorio Emanuele a Roma: un migliaio di persone, in una piattaforma sociale inedita, che ha urlato al governo la necessità di un reddito minimo garantito, di un salario minimo, e di un diritto alla casa, contro la povertà e l’esclusione sociale. “La mia vita conta”, “non riusciamo a fare la spesa”, “nemico è chi affama, non chi ha fame” recitano slogan e striscioni.

Un campo largo che è riuscito a mettere insieme 140 associazioni e sigle diverse – partendo da una cinquantina di promotori iniziali -, da quelle che si occupano più da vicino di povertà ed esclusione, a spazi sociali e circoli, centri anti-violenza, fino sindacati e partiti, per una lunghissima lista di aderenti che va da ActionAid, a Arci, ad ampi pezzi della Cgil, dal sindacato inquilini alla Fillea, a Legambiente, ai Cobas, a tante sigle dell’attivismo romano e nazionale. D’altronde, spiega con un sorriso amaro Tiziano Trobia delle Clap – Camere del Lavoro Autonomo e Precario “il governo ci ha dato una mano, inserendo le misure volte a cancellare” o meglio ridurre drasticamente “il reddito di cittadinanza nel decreto lavoro, in un consiglio dei ministri tenutosi il 1 maggio: l’obiettivo non è il sussidio in sé, ma impedire alle persone di rifiutare salari indecenti, di facilitare l’utilizzo di lavoro povero o poverissimo”. Un punto, questo, che torna ossessivamente negli interventi nel corso del corteo e della piazza finale, nonostante ci sia la consapevolezza che la misura voluta dal governo Conte fosse certo da migliorare.

Ad aprire e popolare il corteo, però, ci sono proprio i percettori di reddito di cittadinanza, che non ci stanno a farsi passare come nullafacenti. Italiani, o residenti in Italia da tempo. L’obiettivo del movimento, nato all’indomani delle elezioni con una serie di comitati a difesa del reddito, e cresciuto nei mesi a seguire fino a maturare l’idea di una manifestazione nazionale, è anche quello di modificare la narrazione su queste persone. “Ma non è affatto facile” chiarisce Trobia “perché in tanti si vergognano di prendere o aver bisogno del sussidio: la colpevolizzazione della povertà, purtroppo, ha fatto centro”. Quelli che ieri erano in piazza, però, raccontavano le loro storie. Cresciuti in case occupate, in contesti difficili, o che hanno conosciuto imprevisti e sfortune di vario genere che li hanno gettati nella miseria. A volte con figli da crescere. Come Vittoria, che “vorrebbe lavorare” dice, come ha sempre fatto, ma dopo un infortunio non è più un grado: ma non ha diritto ad alcuna invalidità. Paola, come altri, chiarisce: “io ho sempre lavorato, voglio lavorare, la vita mi ha tolto tutto, che devo fare?”.

Ilaria Manti, di Nonna Roma, non ha dubbi: si tratta di una prima piazza, di un primo momento a cui si è arrivati con grande fatica, “ma è una coalizione sociale straordinaria, che non fa che allargarsi”. Ieri c’erano percettori campani, siciliani, lombardi, da tutta Italia. La convinzione diffusa è che a questo corteo ne dovranno seguire altri.

La politica dovrà comprendere che fare con questo movimento: tutti i partiti di opposizione, Pd, Movimento 5 stelle, Alleanza Verdi Sinistra e anche Unione Popolare hanno aderito e registravano esponenti anche di spicco in piazza ieri. Ma i leader hanno scelto di non presenziare. “Ora la sfida per le opposizioni è quella di ascoltare questa piazza, e fare in modo che il dl lavoro non venga convertito in legge nella forma attuale” dice Manti, facendo suo un sentore comune nel corteo. A chi era in piazza, con i suoi carrelli vuoti e le sue storie, la questione era chiara: la palla passa a parlamento e governo.