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Doctor Giovanni Passeri reads a book in the garret of his apartment before getting some sleep at end of his day in the COVID-19 section of the Maggiore Hospital in Parma, northern Italy Wednesday, April 7, 2020. Passeri, who implemented his own protocols to reduce chances he could inadvertently spread coronavirus contamination to his wife and 10-year-old son, fears that months of uninterrupted pressure will fatally take its emotional toll on him, his family and his colleagues. (AP Photo/Domenico Stinellis)

Scrivere è come avere amanti

 

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“I romanzi? Sfogo creativo”. La lectio dell“Umberto Eco dell’Est”

di  | 15 SETTEMBRE 2021

 

Anticipiamo stralci della lectio che Evgenij Vodolazkin, considerato “l’Umberto Eco dell’Est”, terrà venerdì
a PordenoneLegge.

La scrittura è una forma di sfogo creativo. È esattamente una questione di forma: il suo contenuto è quella strana forza che spinge una persona a impegnarsi nella ricerca scientifica, a danzare al Teatro Bol’šoj, ad affrescare una chiesa o scrivere romanzi. È una forza che può realizzarsi in modi diversi, in base alle circostanze e alla disposizione interiore. Può presentarsi presto oppure tardi, e poi d’improvviso scomparire. È pericoloso pensare che venga data per sempre…

La riflessione sulla natura dell’opera artistica ci porta alla questione del suo scopo. A mio parere, lo scopo della letteratura è esprimere l’inespresso. La letteratura non deve portare da nessuna parte. Non deve predicare (il sermone, per quanto di tutto rispetto, è un genere a sé). La letteratura è chiamata a svelare l’eidos, quella particolare forma ideale delle cose con cui lo scrittore instaura un rapporto diretto. Lo scrittore inserisce nel testo le sue costruzioni verbali e mentali, e così facendo offre nutrimento alla mente del lettore. Gli porge quelle “bocce” senza le quali è impossibile giocare a bowling. Facciamo un esempio: il lettore sa cos’è la paura della morte, soprattutto quando oltre la morte vede solo il nulla. Nabokov definisce questa paura come “il ronzio sordo della vuota eternità”. Nessuno aveva mai descritto una tale sensazione in modo così conciso e penetrante.

La letteratura non deve per forza fornire risposte: a volte è molto più importante porre la domanda in modo corretto. Di risposte poi ce ne saranno quanti sono i lettori. La verità non è unidimensionale. La domanda, in generale, sorge quando c’è già una risposta, sebbene ancora in germe. Il tipico dilemma dell’uovo e della gallina qui non funziona: le risposte sorgono prima delle domande. Domandare è dichiarare di non sapere qualcosa. Ma questo qualcosa, quindi, è già pensiero. C’è un pensiero preverbale, che diventa pensiero compiuto quando indossa la parola. Per parafrasare il socratico “so di non sapere”, potremmo dire: “Non so di sapere qualcosa”. Questo qualcosa è proprio la letteratura che riesce a coglierlo attraverso le sue domande. D’altronde che risposta può esserci senza una domanda? Si dice che Gertrude Stein, morendo, abbia domandato: “Qual è la risposta?”. Tutti rimasero in silenzio. Lei allora sorrise e disse: “In quel caso, qual è la domanda?”.

Prima di iniziare a scrivere, per molti anni mi sono occupato di medievalistica. L’arrivo tardivo alla letteratura non è cosa rara. Umberto Eco, che ha iniziato a scrivere a circa 50 anni, ha detto in un’intervista che nella vita di ogni uomo arriva un momento in cui si ha bisogno di un cambiamento. Alcuni lo fanno scappando con l’amante alle Bahamas, mentre lui, Eco, decise di scrivere. Mi sembra che per uno studioso del Medioevo sia una decisione molto naturale. E ponderata. Gli studi medievali richiedono decisioni ponderate. La medievalistica non fornisce materiale per affermazioni radicali, perché il materiale con cui ha a che fare non può essere adattato alla contemporaneità. Opera con categorie che mettono la contemporaneità in un vicolo cieco. Non esistono confini nazionali e statali, non esiste il punto di vista politico, ma la sola e semplice divisione tra verità e menzogna. E la verità si trova di rado agli estremi: di solito risiede nel mezzo. Proprio per questo tra tutti i secoli ho scelto il Medioevo.

Gli studi medievali hanno dato probabilmente le risposte più comprensibili alle mie domande. A poco a poco sono entrato in risonanza con questo tempo, fortemente legato all’eternità. Credo che la conquista più importante di questi anni sia di avere imparato a non avere fretta. Per questo tutti i miei testi sono, in un certo senso, romanzi di conoscenza. Tutti descrivono una situazione di ascesa, magari a zigzag, ma pur sempre un movimento verso l’alto. Diverso è per l’ultimo romanzo, Brisbane: il protagonista ha già raggiunto il vertice delle sue aspettative e lo aspetta una discesa lungo il crinale della vita.

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