Il libro

“Gridalo” 

di Roberto Saviano (Bompiani, pagg. 544, euro 22)

 Lo scrittore torna con un libro che, da Martin Luther King ad Anna Politkovskaja, racconta chi ha saputo svelare l’ingiustizia. Facendosi sentire oltre il rumore di fondo delle menzogne

Si chiudeva con un grido, il libro Gomorra. Un urlo «da stracciare i polmoni» che il giovanissimo Roberto Saviano, mezzo affondato nel fango, lanciava al mondo «con tutta la voce che la gola poteva ancora pompare», come Steve McQueen nel film Papillon. E Gridalo (Bompiani) riparte idealmente da lì. Il Saviano di oggi, il pensiero inchiodato suo malgrado fuori dai cancelli del liceo di Caserta che frequentava quando aveva ancora i capelli lunghi sulle spalle, divorato dall’ossessione di far conoscere a tutti la verità sul mondo sotterraneo intorno a lui, gravido di quel primo libro fatale che stravolge la sua vita per sempre, ripensando al se stesso di allora sceglie di rivolgersi ai suoi coetanei di oggi.

Allo studente che varca ogni mattina quello stesso portone, o a un ventenne com’era Edward Snowden quando entra all’Nsa e scopre la più capillare operazione di spionaggio illegale mai realizzata a danno dei cittadini, e sceglie di non tacere — uno dei tanti racconti di cui si compone il libro. Un tessuto di storie care all’autore e lungamente meditate, sospeso tra la narrativa e il giornalismo d’inchiesta, nello stile inconfondibilmente suo, con cui Saviano vuole offrire ai ragazzi, ma non solo (è un libro salutare anche per lettori più stagionati, specialmente se stanchi o disillusi), una bussola, una mappa, un viatico. Uno strumento per orientarsi in un mondo caotico, ingiusto, rabbioso, che scoraggia gli slanci, schernisce gli idealisti e fa sempre più paura. Per accompagnarli fino al punto dove lui è arrivato e, a partire da lì, incoraggiarli a battere strade nuove.

Come il ragazzo che studiava filosofia nei Quartieri spagnoli di Napoli, l’uomo di Gridalo è ossessionato dal raccontare i meccanismi: dopo aver sviscerato quelli dell’economia criminale, concentra l’attenzione sulle trappole subdole di chi spaccia per “trasparenza” o “giornalismo” il gossip che violenta la privacy, sui meccanismi di controllo e manipolazione dell’opinione pubblica attraverso i social media, mostruoso laboratorio di sperimentazione per fantasie di complotto, inoculate come virus per poi far credere che siano frutto del sentire del “paese reale” (il dialogo immaginario tra lo spin doctor artefice del successo di Bibi Netanyahu e il suo assistente, intenti a immaginare una strategia elettorale per il nuovo cliente Viktor Orbán, è tra i passi più perturbanti del libro).

Molte pagine sono dedicate a illuminare i modi in cui il potere lavora per delegittimare chi vuole smascherarlo e contrastare i suoi abusi. Dal tentativo di attribuire perversioni e appetiti sessuali incontenibili, al fare credere che è solo un modo per far soldi, dalla persecuzione di Anna Politkovskaja da parte degli sgherri di Putin a quella del reverendo Martin Luther King ad opera dell’Fbi di Hoover, la terra resta sempre la stessa. Saviano lo racconta per smontare il mito che chi s’impegna debba essere una specie di santo (un modo semplice e geniale di paralizzarci col senso d’inadeguatezza) e perché coloro a cui toccasse un trattamento simile non ne siano atterriti o annichiliti: se la conoscenza accresce il dolore, dà anche strumenti per affrontarlo. Un planisfero stilizzato, in apertura, evoca i collegamenti nascosti, i fili rossi tra noi e angoli del mondo apparentemente remoti, tra passato e presente.

Nel nuovo universo concentrazionario della Zona economica speciale cinese, dove si fondono il peggio di capitalismo e comunismo, riconosciamo le dinamiche di 1984 e quelle del caporalato del nostro meridione. Per capire gli attacchi a George Soros bisogna risalire al “piano Kalergi” contro il visionario che, prima della Seconda guerra mondiale, vagheggiava una comunità europea per porre fine ai conflitti. La costruzione del nemico segue ancora le regole distillate da Goebbels, e nel trumpismo si riconosce l’impronta di George Wallace, il «padre della retorica populista», governatore dell’Alabama ai tempi del reverendo King. Mentre la ferocia del discorso “politicamente scorretto” viene spacciata per libertà, rivisitare il ruolo di Kantano, speaker radiofonico al soldo del governo, nell’eccitare la popolazione al massacro e allo stupro in Ruanda riabitua l’orecchio a prestare attenzione ai rulli di tamburo dell’odio.

I meccanismi sono calati nella carne viva delle storie. Personaggi noti, accostati da angoli eccentrici, si mescolano a protagonisti inattesi come Hulk Hogan, o sconosciuti al grande pubblico. Saviano procede a ritmo serrato, alternando ai passaggi più letterari la freschezza del parlato, con la padronanza di chi frequenta da anni linguaggi diversi, dalla tv generalista al teatro, dalla lezione universitaria al podcast, agli incontri con gli studenti, per far arrivare certe storie soprattutto a chi, nella traiettoria della propria vita, forse non le incontrerebbe mai. Ottima la scelta di aggiungere un piccolo apparato di note, agile e discorsivo, alla fine di ogni capitolo: per dare sostanza all’invito a verificare sempre le fonti anziché affidarsi a chi ci piace o ci ispira fiducia, autore compreso e offrire spunti per approfondire.

L’onesta con cui Saviano ammette le proprie fragilità e amarezze, la tentazione continua del pessimismo, è forse ciò che dà più forza al suo martellante incitamento a non dar retta a chi ripete che niente serve e nulla cambia, con cinismo autocompiaciuto. Riprendiamoci il grido, allora: non quello del risentimento, ma l’urlo dell’uomo dei Salmi, quello del parto e della nascita, quello dei poeti e dell’orgasmo. Con questo libro, Saviano invita ancora una volta a fare i collegamenti giusti, ad affinare il discernimento, a scardinare le false alternative imposte dalla propaganda. Le recenti elezioni americane, giocate per giorni sul filo dei voti, hanno ricordato a tutti la potenza della sommatoria dei piccoli gesti individuali. L’assunzione di responsabilità, la fedeltà al vero, la capacità di sentire come proprio il dolore inferto ai più deboli possono imprimere svolte inattese al corso delle cose. Riempiono di senso la vita, qualunque cosa accada. «Maledetti bastardi, sono ancora vivo», urlava Saviano nell’ultima pagina di Gomorra, e per fortuna grida ancora. Ci provoca. Il resto sta a noi.

Fonte: La Repubblica – 10 novembre 20