L’allarmante zona grigia del crimine tra centro e periferia

“La città dei vivi”, l’ultimo romanzo di non-fiction di Nicola Lagioia, pubblicato da Einaudi. Nello sperdimento della metropoli, il clima malato in cui è maturato l’omicidio Varani. “Qui siamo tutte buone famiglie. Il problema so’ i figli”, dice Valter Foffo. Quando si fa sfuggire queste parole, suo figlio Manuel è in carcere per omicidio assieme a Marco Prato. Il delitto è avvenuto nel suo appartamento romano, al decimo piano di un palazzo piccolo borghese al Collatino. I due hanno ucciso dopo giorni passati insieme a sniffare cocaina.

La vittima si chiama Luca Varani. Lavora per poche centinaia di euro al mese da un carrozziere, è figlio di venditori ambulanti di dolciumi. Ha attraversato la città all’alba del terzo giorno di reclusione tossica per raggiungere la tana in cui Foffo e Prato si sono chiusi a progettare futuri deliranti. Varani si è mosso dalla periferia settentrionale verso quella orientale, attirato dalla promessa di quattrini, forse in cambio di sesso. A quel caso di cronaca nera, Nicola Lagioia ha dedicato il romanzo non-fiction La città dei vivi (Einaudi, pp. 472, euro 22). Siamo a Roma, nell’Italia che alla fine dell’inverno 2016 si affaccia alla grande transizione politica che condurrà al tracollo di tutti i partiti. L’esito corrisponde al clima del quale l’omicidio Varani, per come emerge dalla narrazione di Lagioia, è una spia potentissima. Traspare l’assoluta mancanza di coscienza di classe. Tutti gli attori di questa storia appaiono spaesati, privi di consapevolezza del proprio ruolo e defraudati da ogni prospettiva.

Il paese di “buone famiglie” si pone il “problema” dei figli che cercano di diventare adulti negli anni che seguono la crisi finanziaria. Foffo è figlio di un piccolo imprenditore. Sogna di sfondare con una “start up” che assomiglia sempre più a un rimpianto. Prato, il cui padre è un manager culturale, organizza serate e aperitivi: la disperazione lo divora mentre lavora mostrandosi entusiasta. Sono sperduti nella metropoli, sono il simbolo del collasso della creative class, del progressivo sbriciolarsi del secondo anello della città globale, quello che secondo gli analisti avrebbe dovuto collocarsi a ridosso delle residenze delle élite del centro storico per fornire servizi e attestarsi nell’anello metropolitano che precede la periferia. Il centro di Roma è ormai da qualche anno una città di cartone, set per turisti e contenitore di affittacamere in balia di allibratori digitali e visitatori mordi-e-fuggi: la pandemia ha poi mostrato tutta la fragilità di questo modello economico. Foffo e Prato percepiscono l’orlo del burrone. “Ci sentivamo in fondo mediocri, stupidi, pavidi e inessenziali, nel crepuscolo di un’epoca che aveva promesso di farci ricchi, intelligenti, coraggiosi”, scrive Lagioia. È in questa allarmante zona grigia (tra centro e periferia, tra vita e morte, tra romanzo e fiction) che si dipana La città dei vivi.

Implodono i confini tra il centro che bazzicano i due assassini e la periferia dalla quale proviene Varani. Questa volta gli assassini sono i borghesi, spaventati guerrieri della concorrenza abituati come tutti a consumare la droga performativa per eccellenza per darsi un tono da vincenti o per trovare il coraggio di oltrepassare i confini dei generi. Il “ragazzo di vita” è la vittima. Prato agli inquirenti racconta chiaramente che Varani è stato scelto per la sua condizione di ricattabile: “Pensavo che Luca per soldi avrebbe fatto qualunque cosa. Ero a conoscenza della sua situazione economica”. Per vivere un’esperienza che la sentenza di condanna a Foffo definisce “oltre ogni limite”, i due uccidono un “debole”, ristabilendo nella forma più estrema i confini, le coordinate e le differenze di classe.

“A Roma le barriere sociali, anagrafiche, le discrepanze estetiche, potevano crollare in un istante”, scrive l’autore. Ripercorrendo la strada che dall’Esquilino scende lungo la via Casilina e conduce a Tor Pignattara e da lì alla città infinita fino ai Castelli, Lagioia racconta in prima persona la sua angoscia. Più avanti annota che “una marea di nuovi poveri, scasati, disagiati, premeva inquieta dalle periferie”. Il male però è alle sue spalle, dalle zone centrali dalle quale proviene. Non sono le “periferie”, a patto che esistano ancora, ad accerchiare la città e travolgerla nel caos. Perché questa è la storia di un buco nero, di una voragine che dalle zone esclusive delle mura storiche ingoia il resto delle forme di vita.

Fonte: di Giuliano Santoro/ Il Manifesto, 7 novembre 2020

Come è noto la Cassazione ha confermato la condanna a 30 anni di carcere per Manuel Foffo per l’omicidio di Luca Varani, torturato e ucciso nel marzo del 2016 in un appartamento al quartiere Collatino di Roma durante un festino a base di alcol e droga, unitamente al suo complice  Marco Prato che poi si è suicidato nel Carcere di Velletri.   La prima sezione penale della Cassazione ha confermato la decisione della corte d’Assise d’Appello di Roma rigettando il ricorso della difesa che invocava il “vizio di mente”.