Il patto del Covid

La strana alleanza tra Grandi Procure e avvocati che separa le ragioni dei pm da quelle dei giudici

Nel decreto ristori c’è una norma che consente di svolgere le indagini da remoto ma di mantenere il processo in aula, frutto della mediazione del Guardasigilli e di un accordo emergenziale tra le Camere Penali e i titolari dei più grandi uffici dell’accusa, i quali però non hanno coinvolto l’Associazione nazionale magistrati

 Con l’abituale affastellamento di misure eterogenee anche l’ultimo decreto legge governativo speranzosamente battezzato “Ristori“, oltre all’aiuto per esercenti di bar e ristorazione, reca due contorti articoli che dovrebbero tonificare l’asfittica giustizia penale italiana sotto l’attacco inarrestabile della pandemia.

 Ci sono, a dire il vero, anche misure per i processi civili e amministrativi ma le norme che concernono il processo criminale meritano una particolare attenzione politica, non solo giuridica, perché hanno creato un caso dagli sviluppi imprevedibili in quella che una volta, prima del caso Palamara, era una monolitica entità quasi di stampo sovietico: la magistratura italiana.

 Le novità contenute nei due articoli di legge riguardano il ricorso alla tecnologia nel processo penale concedendo la possibilità di svolgere le indagini e le udienze con modalità “da remoto” oltre a disporre che il deposito e il ritiro degli atti giudiziari avvenga via mail e posta certificata. Già questo meriterebbe da solo  la definizione di “rivoluzionario”, ma il punto qualificante è la possibilità che avvocati e magistrati possano collegarsi all’aula di udienza da remoto.

 L’accordo tra avvocati e pm ha prodotto un mezzo papocchio che profuma di compromesso e che ha causato l’ira della componente della magistratura lasciata fuori: i giudici.

 Infatti, mentre nella fase delle indagini i pm e gli avvocati potranno lavorare in sicurezza, nel processo sarà possibile solo in pochissimi casi (praticamente limitati alla fase preliminare) mentre per tutta la durata, dagli esami dei testi alla discussione, bisognerà stare in aula senza le deroghe concesse ai pm nella fase pre-processuale.

 Una discriminazione che a molti giuristi pare stridente e immotivata, e ai giudici quasi una provocazione.

 Sono provvedimenti emergenziali, con scadenza incorporata al 31 gennaio 2021, introdotti col solo scopo di evitare assembramenti in aule spesso anguste e non areate in edifici antiquati se non precari (a Bari, ad esempio, il vecchio tribunale pericolante è stato chiuso da oltre due anni e gli uffici giudiziari sono dispersi in più sedi del tutto insufficienti).

 C’era stato un timido tentativo durante la prima ondata della pandemia di varare misure analoghe, ma aveva trovato la radicale opposizione delle associazioni forensi come l’Unione delle Camere Penali che per bocca del suo presidente Giandomenico Caiazza era insorta in difesa del “sacro rito del processo” paventando il rischio della marginalizzazione del difensore una volta  espulso e dematerializzato dal suo habitat naturale.

 

Con evidente malumore dell’Associazione Nazionale Magistrati, le norme erano state eliminate per decisione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che non voleva ulteriori scontri con gli avvocati dopo la vittoriosa battaglia sul blocco della prescrizione.

 A sorpresa il possibile uso (sia pure limitato ) dei collegamenti telematici ha rifatto capolino nel decreto ristori ma con una non indifferente novità: a richiederlo questa volta erano gli stessi avvocati penalisti dell’Unione in un documento redatto insieme a sette delle più importanti Procure della Repubblica Italiana guidate da alcuni dei magistrati italiani più prestigiosi come Prestipino, Cantone, Lo Voi, Melillo (nonché Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro e da sempre fautore – avversatissimo dagli avvocati – del processo “a distanza”).

 Vige un fitto mistero sull’origine di questa svolta improvvisa che ha colto di sorpresa non solo la gran parte degli avvocati rimasti fermi alle parole di Caiazza di marzo, ma le stesse istituzioni della categoria (il Consiglio Nazionale Forense e l’organismo congressuale che avrebbe la rappresentanza unitaria degli Ordini degli avvocati italiani). E tuttavia lo sgarbo più clamoroso non è stato quello del presidente delle camere penali, bensì quello consumato dalle cosiddette Grandi Procure (ormai un vero brand di lusso) nientemeno che ai danni della una volta potentissima Associazione Nazionale Magistrati, “il sindacato delle toghe” che fino al disastro Palamara aveva regnato incontrastato sui destini e le aspirazioni dei novemila magistrati italiani in servizio.

 L’ANM non è stata avvisata né coinvolta, il che sarebbe stato inimmaginabile solo pochi mesi fa, insomma ha ricevuto uno schiaffo, nonostante l’attuale presidente Ponitz, sia sostituto presso una delle procure che hanno aderito al documento firmato con le Camere Penali.

 Il colpo è stato forte e infatti l’Associazione dei magistrati non ha fatto mistero della profonda irritazione con un comunicato della giunta fortemente critico verso le norme del decreto, in realtà diretto ai “grandi procuratori” che l’avevano tagliata fuori.

 Lamenta l’ANM che si è concesso ai pubblici ministeri il vantaggio di poter svolgere le proprie indagini “da remoto” in piena sicurezza senza prevedere analoga tutela per i giudici del dibattimento che invece dovranno svolgere l’esame dei testi e ascoltare le veementi arringhe  degli avvocati rigorosamente dal vivo (pare che l’eloquio stentoreo favorisca il COVID).

 In sostanza si è raggiunto un compromesso: in cambio del via libera alle indagini “da remoto” gli avvocati hanno salvato il processo penale “old style” in modalità fisica.

 In realtà è facile capire che si sia consumata una non irrilevante frattura nella unità sindacale dei magistrati, per dire, una cosa epocale in virtù di un’intesa come il patto Agnelli Lama del 1977 che pose fine al regime del punto unico di contingenza sdoganando le contrattazioni individuali.

 Le “Grandi Procure” hanno trattato in proprio buttando sul piatto il peso della forza politica  che deriva loro dalle scottanti indagini di cui sono protagoniste.

 È un paradosso che ciò sia stato facilitato dall’avvocatura penalista che ha sempre criticato proprio tale strapotere che oggi emerge in tutta la sua evidenza.

 La manifesta crisi dell’ANM secondo alcuni magistrati può aprire la porta anche all’impensabile: la temuta separazione delle carriere, sicuramente le chat delle toghe sono roventi. Area, la corrente di sinistra e di maggioranza, la evoca in un durissimo comunicato di condanna della scelta dei procuratori definita «grave e forse non ponderata».

 Se non altro servirà a far capire alla pubblica opinione, stampa compresa, la differenza tra pm e giudice. Chi scrive ricorda Andrea Purgatori definire per due ore di trasmissione Di Pietro come “un giudice“.

 Paradossalmente non è contenta una buona parte dell’avvocatura cui Caiazza aveva dimenticato di inviare il contrordine. Succede di essere troppo in anticipo sui tempi.

 Intanto c’è da dire che il singolare Patto del Covid tra le camere Penali e le Super-procure segna il ritorno sulla scena in veste di grande tessitore di Alfonso Bonafede di cui si era notato il misterioso inabissamento dopo le polemiche sulle scarcerazioni da Covid.

 L’ex Fofò DJ non solo ha tenuto duro sul punto, varando un provvedimento che consentirà la liberazione dei detenuti con residuo pena inferiore ai diciotto mesi, ma viene apertamente indicato come il pronubo del patto tra le procure e le camere penali. Per lui il vantaggio di avere dalla sua sia gli avvocati sia le potenti procure.

 Non è poco, in  previsione della prossima riforma del CSM e soprattutto di ciò che avverrà in ANM che tra qualche giorno in un clima assai teso e diviso dovrà scegliere il nuovo presidente.

 Le ultime elezioni sono state vinte dalla sinistra di Area, ma Magistratura indipendente ha tenuto nonostante il suo leader Cosimo Ferri sia stato coinvolto nello scandalo Palamara mentre sono stati penalizzati gli ex davighiani che hanno perso il loro fondatore costretto a rinunciare al seggio per raggiunti limiti di età.

 Bonafede ha avuto voce in capitolo? Non si sa ma sicuramente la magistratura sta aprendo una pagina nuova dagli sviluppi imprevedibili.

 

 Fonte di Cataldo Intrieri/ l’Inkiesta