Dopo sei rinvii e tre anni, alla fine la riforma delle intercettazioni di Andrea Orlando, fatta propria con numerose correzioni dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, entra in vigore. Il debutto è slittato (causa Covid-19) al 1° settembre. Data infausta per ovvie ragioni. Le Procure sono state impegnate in una corsa contro il tempo in pieno agosto con gli uffici a mezzo servizio. I capi delle Procure hanno emanato alcune circolari per spiegare ai pm come funziona concretamente l’uso delle intercettazioni nella nuova era. Il 6 luglio, il procuratore Francesco Greco, a Milano, ha scritto una direttiva di 10 pagine, il 10 luglio è intervenuto con una circolare di 13 pagine Giovanni Melillo a Napoli, mentre il 4 agosto, Roma ha emanato una nota del Procuratore Michele Prestipino e dell’aggiunto Paolo Ielo. La novità principale della normativa è l’Adi (Archivio Digitale delle Intercettazioni), nel quale saranno “conferite” tutte le intercettazioni, sia quelle rilevanti per il pm sia quelle che lo stesso ritiene irrilevanti. I difensori poi potranno a tempo debito ascoltare gli audio e chiedere di trascrivere, salvandole dalla distruzione, altre conversazioni ritenute utili. Sarà alla fine il giudice delle indagini preliminari a dire cosa va tenuto e cosa distrutto e il teatro di questo duello sarà la sala ascolto. A Roma, per esempio, sarà situata al piano terra della palazzina C di piazzale Clodio. I varchi di accesso saranno vigilati. Chiunque entri (avvocato o magistrato) sarà schedato e video-registrato e dovrà lasciare il telefonino in un armadietto. Niente foto al pc. Niente a che vedere con il regime attuale. I legali potevano estrarre comodamente una copia degli audio e delle trascrizioni che poi spesso (non solo da parte loro) finivano nelle mani dei giornalisti. La nuova legge mira a spezzare questo circuito, vizioso evidentemente per il legislatore ma talvolta virtuoso, come insegnano numerosi casi di cronaca da Consip in giù. Spesso le conversazioni definite irrilevanti dai pm non lo erano affatto per il pubblico. Solo grazie ai giornalisti – che spesso le vagliavano con maggiore attenzione – quelle intercettazioni riprendevano vita nel dibattito pubblico. Ora invece  andranno distrutte.

Ma come funziona l’iter per la separazione delle intercettazioni “buone” o “rilevanti” (da conservare) da quelle “cattive”, perché ritenute lesive o non inerenti all’indagine, invece da distruggere? Al termine delle operazioni di intercettazione o al massimo dopo la chiusura delle indagini preliminari (se e quando il giudice autorizza per ragioni di segretezza il differimento del conferimento all’archivio) tutti gli audio e i verbali di trascrizione dovranno sparire dalla circolazione ed essere travasati nell’archivio. Nella pratica la polizia giudiziaria va all’archivio con dischetti e pen drive per il travaso di file audio e verbali. Poi distrugge ogni copia e supporto.

Le regole valgono per tutti i procedimenti iscritti dal primo settembre. In teoria dovrebbe già essere in vigore. In pratica ci sono molti intoppi.

Il primo problema è il limite tecnologico delle attrezzature informatiche messe a disposizione dal ministero. Al Fatto risulta che – nelle prove tecniche di queste settimane – alcune intercettazioni si sono perse nel travaso all’archivio digitale.

Non solo. Per ora i sistemi adottati permettono di conferire nell’archivio e mettere a disposizione dei legali solo 5mila progressivi alla volta. Ogni progressivo corrisponde a una telefonata. Nelle indagini lunghe non è raro trovare un solo “bersaglio” telefonico che produce più di 100mila telefonate con conseguenti 20 riversamenti.

L’altro problema è quello delle postazioni di ascolto. Roma disporrà di una sala con 35 postazioni riservate agli avvocati, ma per esempio a Caltanissetta saranno solo 4 e a Perugia appena 2. Numeri esigui per i maxi-processi. Il rischio è che gli avvocati chiedano di ascoltare tutti insieme le intercettazioni di un fascicolo, facendo saltare il banco. Il ministero sta cercando le soluzioni al problema del tetto dei 5mila progressivi “travasati” al giorno: si dice che presto si dovrebbe arrivare a 17mila.

Un altro grande problema è la parolina “immediatamente”. La riforma appena entrata in vigore impone alla polizia giudiziaria di trasferire ai pm i risultati delle intercettazioni “immediatamente” dopo la fine delle operazioni. I tre capi delle Procure di Roma, Milano e Napoli propongono nelle loro circolari, con vari accenti, un’interpretazione della norma per addolcire quel termine. Conferire immediatamente dopo la fine dell’intercettazione su un telefono renderebbe difficile poi per la Polizia giudiziaria scrivere l’informativa per il pm. E così – per la circolare di Melillo – “l’espressione ‘immediatamente’ deve essere riferita alla chiusura delle complessive attività di intercettazione svolte nell’ambito del procedimento, in tale nozione dovendosi ricondurre non solo le operazioni di registrazione ma anche quelle concernenti la redazione dei verbali di trascrizione”. In pratica solo quando la Polizia trascrive l’ultimo verbale di intercettazione scatta l’obbligo di conferire e distruggere le copie.

La distruzione delle copie pone un altro problema: se il server salta o si brucia? Per il procuratore di Napoli Melillo, non ci sono eccezioni o dubbi per le ditte private che fanno le intercettazioni su delega dei pm: “Eseguito il conferimento e verificata la corretta esportazione dei dati nell’archivio digitale, il gestore procederà alla cancellazione dai propri server delle registrazioni e dei verbali conferiti, rilasciando conforme attestato, del quale si darà atto nei provvedimenti di liquidazione delle relative spese”.

Quindi non si potranno pagare le ditte se prima queste non rilasciano una quietanza della distruzione. La Procura di Roma nelle sue disposizioni interne più recenti ha tentato di salvare capra e cavoli: “Fino a nuova disposizione effettuato il conferimento i supporti mobili contenenti il materiale conferito sono custoditi presso l’archivio delle intercettazioni fino alla definizione del primo grado di giudizio”. Per qualche tempo quindi, anche se l’archivio digitale andasse distrutto, grazie a questa sorta di archivio fisico temporaneo dei supporti delle intercettazioni, a Roma qualcosa resterebbe. La Procura di Napoli, invece, è per la linea drastica e parla di “distruzione o formattazione dei supporti informatici utilizzati per l’esportazione dei dati”.

 Fonte: di Marco Lillo e Valeria Pacelli/9 SETTEMBRE 2020/ Il Fatto Quotidiano