Le cronache giudiziarie in Italia offrono purtroppo da lustri spunti di amara riflessione sull’uso disinvolto della giustizia nelle procure e nei tribunali, e negli ultimi giorni ce ne sono stati addirittura tre di particolare interesse in Puglia, in Calabria e in Piemonte.

 

 

Tre indizi che fanno la prova di quanto la giustizia abbia bisogno di una profonda riforma. Ricordate il senatore Azzollini, per anni stimato presidente della commissione bilancio, del quale si diceva che fosse addirittura più potente di un ministro dell’Economia? Ebbene, nel 2013 fu coinvolto nell’inchiesta sulla presunta maxi-truffa da 150 milioni legata alla costruzione del nuovo porto di Molfetta con sessanta indagati e due ordini di arresto.

Su Azzollini piovvero ben sedici capi d’imputazione, e lui aveva rinunciato a beneficiare della prescrizione. Ebbene: dopo sei anni è arrivata la sentenza con tutti e 28 gli imputati assolti. Un altro successo della Procura di Trani, quella salita agli onori delle cronache per una lunga serie di inchieste partite da ipotesi di reato clamorose, passate attraverso interrogatori di alti esponenti della politica e della finanza e finite quasi sempre nel nulla.

Come quella per usura contro l’ex ministro Savona. Il secondo spunto arriva dal maxi-blitz contro la ‘ndrangheta, un’operazione colossale alla vigilia delle elezioni regionali in Calabria con ramificazioni fino al Piemonte. Ai doverosi ringraziamenti ai magistrati e alle forze dell’ordine si sono però aggiunti altrettanto doverosi interrogativi su quanto resterà alla fine di un così imponente e articolato impianto probatorio, sulla scorta delle esperienze passate.

È stata una deputata del Pd, Enza Bruno Bossio, moglie di un indagato, a mettere il dito nella piaga, affermando che la lotta alla mafia è una cosa seria non uno spettacolo da prima pagina, “e mi auguro che davvero Gratteri riesca a smantellare la mafia più pericolosa che ci sia. Ma mi auguro anche che si arrivi a processo e non finisca, come il 90% delle sue indagini, in una bolla di sapone che non pulisce nulla ma cancella nel frattempo la dignità di chi ne viene toccato”.

Ma il fatto che lascia stupiti è che il procuratore Gratteri abbia postato su twitter un articolo del Fatto quotidiano che sottolineava come la maxi-operazione contro la ‘ndrangheta fosse sparita dalle prime pagine dei grandi giornali. Oltre alla politica, ora anche la giustizia si fa sui social? I commenti sono stati ovviamente quasi tutti colmi di indignazione, ma qualcuno ha fatto notare che un magistrato non dovrebbe fare mai un tweet del genere, ricordando a Gratteri che in Germania è proibito perfino fare conferenze stampa sulle inchieste.

Terzo e ultimo indizio: l’episodio avvenuto al tribunale di Asti, dove la Corte è entrata in aula e ha letto la sentenza di condanna contro un padre accusato di violenza sessuale nei confronti della figlia prima che avesse parlato la difesa. Una gaffe che la dice lunga sul clima che si respira in alcuni ambienti giudiziari, dove le sentenze vengono preconfezionate alla faccia del processo accusatorio in cui la prova dovrebbe formarsi nel dibattimento. Tre indizi, insomma, che fanno la prova di un fallimento.

 Fonte: di Riccardo Mazzoni/ Il Tempo, 23 dicembre 2019