ALTRI SCONVOLGENTI RETROSCENA VANNO EMERGENDO NELLA INGARBUGLIATA VICENDA DELL’INCENDIO ALLA CLEPRIN

PRESENTATA A ROMA UNA ISTANZA PER LA REVISIONE DEL PROCESSO AD UN CONDANNATO PER MAFIA IN SEDE DI PATTEGGIAMENTO

 Il 7 novembre scorso l’avvocato Luigi Iannettone ha presentato alla competente  Corte di Appello di Roma formale richiesta di revisione della sentenza  emessa il  25/09/2007, dal G.I.P.  presso il Tribunale di Napoli che, su richiesta di patteggiamento, aveva condannato Arturo Di Marco,funzionario tecnico del comune di Sessa Aurunca,   imputato in concorso con Giovanni Di Lorenzo, per il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso, alla pena di un anno e sei mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena. 

     Come si ricorderà, ai due, che nell’aprile di quello stesso 2007 erano stati colpiti da ordinanza di custodia cautelare in carcere, veniva contestato, in buona sostanza, di aver tentato di estorcere un posto di lavoro per il Di Lorenzo,  a  Franco Beneduce  e  Antonio Picascia, soci della ditta CLE.PR.IN. Srl, azienda ormai ben nota ai lettori,  e ciò avvalendosi della forza di intimidazione propria dell’associazione camorristica denominata “clan Esposito” o dei “Muzzoni”.

 Per la verità  non c’era mai stata – come ammettono gli stessi atti giudiziari – la prospettazione o minaccia di un ingiusto danno, e l’intero impianto accusatorio si fondava sulla circostanza che i due imputati avevano semplicemente rappresentato ai due imprenditori che l’assunzione di Giovanni Di Lorenzo, sarebbe stata per loro “un’assicurazione che non fallisce, meglio della Ras, delle Generali e della Fondiaria”. 

Tanto era però era bastato perché Di Marco e Di Lorenzo venissero arrestati e condannati, i loro beni sequestrati prima e confiscati poi, licenziati, la loro vita rovinata. 

Nel 2011,  dopo quattro anni dal fatto, veniva celebrato il processo al Giovanni Di Lorenzo  che aveva deciso di farsi processare con rito ordinario, a differenza di Arturo Di Marco che per una serie di problemi personali aveva, come visto, deciso di patteggiare.

In quella circostanza con un giudizio a dir poco sconcertante il Di Lorenzo venne assolto “perché il fatto non costituisce reato”. Il Tribunale, per intenderci aveva sentenziato che il fatto, non solo non era aggravato dalla matrice mafiosa, non solo non era  aggravato da un qualsiasi vincolo associativo, ma, non costituiva neanche reato!!! 

 La sentenza, impugnata dalla Procura, è stata nello scorso mese di marzo pienamente confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Napoli. 

 A questo punto, divenuta la sentenza  definitiva, la richiesta di revisione della sentenza di condanna del Di  Marco, appare più che giustificata  vista la sconcertante e difficilmente spiegabile contraddizione tra le due sentenze  e considerato sussistente il presupposto richiesto dalla legge del “contrasto in giudicato”.

 Questo senza contare il possibile diverso criterio di valutazione dell’intera sconcertante vicenda giudiziaria alla luce delle recenti vicissitudini che hanno visto e vedono la CLE.PR.IN. ed i due suoi amministratori protagonisti in negativo di continui ed  inquietanti scenari giudiziari. 

 Vicenda, come detto, aperta ad altri sconvolgenti retroscena,  che porteranno a sviluppi imprevedibili, con scenari che   vanno dall’errore investigativo, alla sentenza suicida ed al fascino – spesso ciacamente voluto – da certi magistrati che non riescono a distinguere i veri  “mafiosi dai professionisti dell’antimafia”.