Si parla di test e carriere e la corruzione galoppa

DI HENRY JOHN WOODCOCK

Ma non sarebbe stato meglio recuperare, esaltare o magari anche ampliare la portata del vecchio “certificato di sana e robusta costituzione”, invece di innestare tutte queste polemiche che rischiano solo di far perdere di vista i reali problemi della giustizia? E poi, se è vero come è vero che il mestiere del magistrato rientra tra quelli logoranti, non sarebbe stato, al limite, più logico, questi famosi test psicoattitudinali, farli in corso d’opera piuttosto che prima dell’immissione in ruolo? Peraltro anche questi sarebbero superflui, dal momento che il nostro sistema ha già in sé i rimedi necessari: è possibile, infatti, la sospensione e anche la destituzione di magistrati anche in caso di patologie psicoattitudinali che li rendano inidonei al servizio.

Io credo sinceramente che la magistratura, nel suo complesso, abbia problemi ben più seri, e in particolare credo che all’interno della magistratura vi sia una questione morale che nessun test psicoattitudinale è, evidentemente, in grado di risolvere. Sempre più frequentemente assistiamo e leggiamo di indagini che riguardano magistrati; dovremmo allora chiederci il perché: si fanno meglio le indagini o c’è stato un mutamento genetico? Probabilmente una delle cause risiede nell’incipiente evoluzione verso una magistratura sempre più burocratizzata, nella quale entrano persone sempre più avanti negli anni e sempre più attente alle piccole prerogative e ai piccoli privilegi dei magistrati, e sempre più schiacciate dal timore di sbagliare e dall’ansia di instaurare relazioni finalizzate a progressioni varie.

I magistrati, dunque, rischiano di essere sempre meno consapevoli e presi da quel senso di libertà e da quella passione che ci ha spinti a fare questo lavoro. E soprattutto rischiano di confondere l’autonomia e l’indipendenza con l’indifferenza. Il pericolo è quello di avere magistrati più timidi, timorosi e angosciati dalla progressione, attenti e concentrati non tanto su temi cruciali come quello della separazione delle carriere quanto sull’esigenza di tenere “separata” la loro carriera (e appunto la loro progressione) da quella di tutti gli altri (magistrati) concorrenti.

Sinceramente io non credo che, nel prossimo futuro, ci saranno riforme epocali della giustizia. Basta pensare che questo governo ha messo in cantiere ben tre riforme costituzionali – premierato, autonomia differenziata e separazione delle carriere – e credo sia oggettivamente impossibile realizzarle tutte e tre entro il termine della legislatura, così come, francamente, non penso che nell’agenda di questo governo la riforma relativa alla separazione delle carriere rappresenti la priorità.

Bisognerebbe, dunque, evitare di procedere attraverso piccole riforme che rischiano solo di innestare inutili polemiche e, soprattutto, di accentuare ulteriormente la deriva, già incipiente, di una “giustizia di classe”, magari compiacendo l’antimafia tradizionale e, allo stesso tempo, sacrificando la lotta e il contrasto alla corruzione – vero “cancro” del nostro sistema – e alle più moderne ed evolute forme di manifestazione della stessa criminalità organizzata.

A tale proposito, basta pensare che, con un recente intervento normativo, da una parte è stata prevista l’estensione di alcune regole procedurali previste per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso a tutti i reati contestati con l’aggravante, così detta, “mafiosa” e, dall’altra è stata (nuovamente) modificata la norma del Codice di procedura penale, contenuta nell’articolo 270, che disciplina il regime di utilizzabilità delle intercettazioni in relazione ai “reati diversi” rispetto a quelli per i quali le intercettazioni sono state originariamente disposte. Una modifica che, indubbiamente, determinerà un duro colpo alle indagini in materia di corruzione. Tanto per fare un esempio concreto, banale quanto abusato, a seguito di tale riforma, se in un procedimento in cui si contesta il reato di spaccio di sostanze stupefacenti con intercettazioni ambientali disposte a carico dello spacciatore in relazione a tale ipotesi di reato, l’assuntore di sostanza, mentre sta acquistando la droga, confessa allo spacciatore intercettato di essersi procurato il danaro commettendo un furto aggravato, la conversazione captata sarà utilizzabile nei confronti dell’acquirente per provare anche il reato di furto aggravato dallo stesso commesso. Se, invece, lo stesso acquirente, nello stesso contesto, dovesse confessare allo spacciatore intercettato di essersi procurato il danaro percependo una tangente di 200 mila euro, ovvero una mazzetta prezzo di corruzione, la conversazione intercettata non potrà essere utilizzata per provare il reato di corruzione nei confronti dell’acquirente (corrotto). Sembra paradossale, ma così sarà.

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