Super protezione per «Sandokan» Schiavone: cella singola e videosorveglianza

diRoberto Russo

Il boss dei Casalesi presto trasferito dal carcere de L’Aquila. Secretati i suoi verbali

Francesco Schiavone «Sandokan», il boss del clan dei casalesi, si pente dopo 26 anni di carcere duro

 

Sorveglianza a vista con videocamera affidata agli agenti penitenziari che dovranno monitorare ogni minuto della sua detenzione. Aumentate le misure di sicurezza ne confronti di Francesco Schiavone, 70 anni, detto Sandokan, l’ex capo dei casalesi divenuto collaboratore di giustizia dopo 26 anni di carcere. Schiavone è recluso al 41 bis «in una stanza singola e videosorvegliata» nel carcere dell’Aquila. In futuro, dovrebbe essere applicato un programma di protezione sul quale vigerà la massima riservatezza. Le norme che tutelano i detenuti collaboratori di giustizia, possono prevedere modalità particolari di custodia, traduzione o piantonamento. Si vogliono insomma ridurre al minimo possibili rischi derivanti da contatti con altri detenuti.

I segreti del boss

Nel caso di Francesco Schiavone si tratta di accorgimenti assolutamente indispensabili, visti i segreti di cui è a conoscenza e la possibilità che venga individuato come «un problema» dagli esponenti di quegli ambienti politico-affaristici con cui ha avuto a che fare per anni. Secondo le poche notizie filtrate, la decisione di collaborare con la giustizia sarebbe stata formalizzata da Francesco Schiavone agli inizi di questo mese, quando il boss ha chiesto e ottenuto un incontro con i magistrati della Direzione nazionale antimafia. I primi ad ascoltare i suoi racconti e a riempire pagine di verbali, subito secretati, sono stati il pm Antonello Ardituro e lo stesso procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo. Altre circostanze sarebbero state riferite anche al procuratore di Napoli Nicola Gratteri.

La famiglia

La stessa moglie di Schiavone, Giuseppina Nappa, ha accettato il programma di protezione e di collaborazione e avrebbe a sua volta riferito circostanze verbalizzate dagli investigatori. C’è una traccia, in particolare, che potrebbe costituire un nuovo filone d’inchiesta legato alle rivelazioni di «Sandokan», riguarda (come ha scritto ieri Fulvio Bufi sul Corriere della Sera) due processi attualmente in corso, uno davanti al tribunale di Napoli, l’altro a Santa Maria Capua Vetere. Sono processi per lavori di Rete ferroviaria italiana (Rfi) finiti a imprese dei casalesi. Coinvolti ex manager delle Ferrovie, accusati di aver dato appalti alle ditte del clan in cambio di soldi e regali, importanti esponenti del clan dei casalesi come Dante Apicella, e soprattutto l’imprenditore e colletto bianco Nicola Schiavone, padrino di matrimonio dell’omonimo e primogenito proprio di «Sandokan» Schiavone, di cui è da sempre amico e ritenuto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli suo socio e prestanome. Per i magistrati antimafia, Nicola Schiavone avrebbe permesso al clan di infiltrarsi negli appalti di Ferrovie dello Stato, e sarebbe cresciuto imprenditorialmente grazie ad un patto stretto con il capoclan.