*Gli impermeabili* di Vincenzo D’Anna*

Paolo Conte è un famoso cantautore italiano. Dotato di una voce inconfondibilmente roca, autore di testi geniali, dal ritmo sincopato del jazz, è ammirato in tutto il mondo. Finanche i Francesi, che pure in materia di chansonnier se ne intendono, stravedono per lui. Ebbene tra i suoi pezzi più noti spicca “Gli impermeabili”, una sorta di visione notturna del mondo di avventura che fa uscire il protagonista sotto la pioggia. In fondo i non più giovani ricorderanno questo modello chiamato “trench” in voga negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso: quasi sempre rigorosamente bianco, era indossato anche dai gigolò francesi, ossia da quei giovani molto belli, capaci di sedurre le donne… anche quelle più anziane, facendolo praticamente di “mestiere”. Notissimi quelli indossati da Ubaldo Lai, nella serie televisiva il “Tenente Scheridan” e da Peter Falk nella serie “Il tenente Colombo”. Ancor più noto l’indumento del mitico attore americano Humphrey Bogart nel famoso film “Casablanca” con Ingrid Bergman. Insomma un abito che si diffuse ovunque con lo sviluppo della industria dei tessuti che utilizzavano polimeri plastici e come tali resistenti all’acqua. Pratici e leggerissimi che a Napoli chiamarono, per la loro poca consistenza e con il solito acume partenopeo, la “pellecchia” ossia l’esile buccia del pomodoro nella salsa. Tuttavia, leggero o resistente che fosse, quel copriabito liberò le persone dall’assillo di doversi munire dell’ombrello nei giorni in cui Giove Pluvio era all’opera. Ma esiste anche un uso lessicale della parola “impermeabile”, intendendosi questa come qualità capace di rendere una persona sorda ed indifferente ad una questione che viene sollevata oppure discussa. Insomma: una condizione che permette al “soggetto impermeabile” di evitare un qualsivoglia coinvolgimento sul tema oppure di ignorare un sollecito o anche una critica. Ebbene chi se non certa classe politica per rappresentare questa discutibile “qualità”? Sì, proprio quella classe che di per se stessa è incline a mostrarsi “impermeabile” verso talune questioni, soprattutto quelle che risultano imbarazzanti oppure riferibile a ritardi o peggio ancora a radicali cambiamenti di posizione politica. Meglio allora farsi scivolare addosso sia i solleciti che le bordate, continuando imperterriti a cadenzare il proprio agire sulla momentanea convenienza, oppure a sorvolare su solenni promesse ed impegni elettorali, nonostante piovano, è proprio il caso di dire, pressanti richieste affinché si mantenga quanto promesso in precedenza. Fin quando si tratta di impegni interpersonali, ossia offerte rivolte ad un elettore oppure ad un ristretto gruppo di portatori di interessi, poco male. Quando, invece, ci si lascia “piovere addosso” su questioni basilari, argomenti e programmi divenuti veri e propri cavalli di battaglia in campagna elettorale, spesso decisivi per il buon esito della medesima, ecco allora che la questione cambia radicalmente! Non saremo certo tra quelli che si meravigliano di fronte ai repentini cambi di rotta, agli opportunismi ed alle promesse disattese, che purtroppo rappresentano la cifra distintiva della politica nazionale. Quando però l’argomento è stato più volte posto all’attenzione dell’opinione pubblica, magari indicandone la soluzione, capita che il piccolo cabotaggio politico lasci il passo al vero e proprio trasformismo. Ed anche quest’ultimo nella nazione di Agostino Depretis, del “Qualunquismo” di Guglielmo Giannini, dei partiti ormai ridotti ad emblemi personali e familiari, può suscitare sorprese. Se nel Terzo Millennio si vincono le elezioni politiche e si assurge al Governo le promesse non mantenute si fanno ancora più eclatanti, soprattutto per quanti di quelle stesse promesse ne hanno fatto, per anni, il motivo principale di dissenso parlamentare e politico. E’ questo, ad esempio, il caso della riforma della Giustizia, della separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, della tipizzazione del fumoso reato di concorso esterno in associazione mafiosa un’arma, quest’ultima, spesso usata indiscriminatamente per eliminare personalità scomode e non in sintonia con l’impostazione ideologica ed i pregiudizi di certi magistrati “schierati”. Cambiare una politica carceraria iniqua e spesso inumana per decine di migliaia di persone in attesa di giudizio e magari ridotti nelle carceri a livelli di vita sub umana. Insomma tutto il corollario della mala giustizia che affligge lo Stato democratico fondato sui principi di libertà e dei diritti indisponibili che fanno capo ai cittadini della Repubblica. Si aggiunga a questo un altro esempio, quello della politica industriale del governo che torna alle vecchie partecipazioni statali, all’ inveterato metodo di rifondere i soldi pubblici in aziende decotte, prima vendute e poi ricomprate dal privato, che incamera i guadagni e scarica sullo Stato le perdite di gestione. Ultimo caso quello dell’acciaieria di Taranto ove lo Stato sta per rifondere ben 700 milioni di debiti accumulato dal maggiore azionista privato e qualche miliardo per decontaminare del sito. Che fine hanno fatto tutte quelle promesse di riforma formulate alla vigilia della tornata elettorale? Meno Stato e più mercato, meno pastoie politiche e burocratiche, servizi parametrati e legati al gradimento dell’utenza. Finora nulla, lettera morta. Chissà, forse il governo della Destra pensa di indossare anch’egli gli stessi impermeabili di quelli che l’hanno preceduta. “Come piove sugli impermeabili” canta Paolo Conte!!

*già parlamentare