*Le vesti lacere della Dc* di Vincenzo D’Anna*

Il Vangelo di Giovanni racconta che la tunica del Cristo in croce fu contesa dai suoi carnefici. Ora questa veste era senza cucitura, tessuta per intero dall’alto in basso. Perciò i soldati dissero tra loro: “Non la stracciamo, ma tiriamo a sorte a chi tocchi”. Insomma è storia antica, parafrasata in politica dagli eredi di quella che un tempo fu la Democrazia Cristiana, ossia da quella miriade di sedicenti successori del patrimonio storico ed ideologico della Libertas. Perlopiù soggetti che di quella grande tradizione poco si curano, anche per oggettivi limiti culturali, finendo per azzuffarsi sulla spartizione e la detenzione del simbolo che per decenni ha rappresentato la Dc. Un coacervo di giudizi intentati e discussi nei tribunali con tanto di sentenze in forza delle quali ciascuno di essi reclama di essere in “possesso” dello scudo crociato. Quest’ultimo altro non era che lo stemma del Comune di Caltagirone che don Luigi Sturzo prese a prestito allorquando, agli albori del secolo scorso, fondò il partito popolare italiano lanciando l’appello ai “Liberi e Forti” con il quale indicava le linee programmatiche ed ideologiche che avrebbero ispirato l’azione dei cattolici che intendevano cimentarsi in politica. Un impegno, il loro, a lungo impedito dal “Non expedit” che Papa Pio IX emanò dopo la presa di Porta Pia che portò all’annessione dei territori dello Stato Pontificio al Regno d’Italia e la conseguente designazione di Roma a Capitale d’Italia. In sintesi il divieto rappresentava una forma di ritorsione nei confronti del neonato Stato unitario, una formula di dissuasione o di divieto utilizzata dal Papato nel momento in cui intendeva soddisfare ragioni di opportunità, ossia che la fattispecie non giovasse o non convenisse ai fedeli ed alla Chiesa stessa. Sciolti, successivamente, i partiti politici dal regime dittatoriale di Mussolini, finiti esuli, incarcerati oppure assassinati i loro leader (come accadde al deputato socialista Giacomo Matteotti ucciso da una squadraccia fascista), anche il partito popolare scomparve dalla scena. Fu ricostituito solo dopo la caduta del fascismo con il nome di Democrazia cristiana sotto la guida di un gruppo di parlamentari, intellettuali e partigiani cattolici capeggiati da Alcide De Gasperi che fu poi capo del governo per un lungo periodo ricostruendo e sollevando il Belpaese dalle macerie materiali, morali ed economiche della guerra. Per quasi mezzo secolo la Dc rappresentò il partito più votato e quello che più di tutti si ritrovò al timone del Paese. A quello storico movimento si devono le riforme post belliche: sia quelle costituzionalmente previste, sia quelle relative alla collocazione internazionale dello Stivale nel consesso delle nazioni occidentali liberal democratiche e ben dentro il patto atlantico (la Nato), in un’epoca in cui il mondo era diviso da una “cortina di ferro” che separava le due superpotenze: Usa da una parte e Urss dall’altra. Una storia finita ingloriosamente, travolta dagli scandali scaturiti dal finanziamento occulto ai partiti in un mare di diffusa corruttela che si era elevata a sistema e che aveva visto l’arricchimento personale di molti leader di partito. Dopo Tangentopoli a nulla è valsa la trasformazione (quasi una sorta di ritorno al passato) in partito popolare della Dc e le successive scissioni in altri schieramenti satelliti. In disparte ogni altra opportuna riflessione critica sulle cause ideali e politiche che ne determinarono la crisi. Una cosa è certa: quello che ne scaturì, all’atto pratico, nella cosiddetta Seconda Repubblica, fu la nascita di piccoli potentati che non solo si contesero a lungo il simbolo e l’eredità ideale della gloriosa creatura degasperiana, ma anche il grande patrimonio di cui pure era dotata la Dc: qualcosa come cinquecento immobili!! A cominciare dai cinquantamila metri quadrati di Palazzo Sturzo all’Eur, sede amministrativa del partito. Di converso la mole dei debiti con le Banche ammontava a cento miliardi di vecchie lire, soldi spesi per mantenere la massiccia rete di sedi e di sezioni presenti un po’ in tutta Italia. La necessità era quella di fronteggiare il più forte partito comunista d’Europa, quel Pci che riceveva finanziamenti occulti dal Pcus russo. E tuttavia questa necessità reale rappresentava il viatico per imboccare la strada della corruzione sistematica del clientelismo di massa, la trasfigurazione di un’eredità politica alta e nobile è finita negli anni Settanta del secolo scorso. Milioni di onesti militanti, di elettori devoti dello scudo crociato hanno assistito a questo “cupio dissolvi”, alla vergogna della fine ingloriosa di una storia nobile. Di recente, un reportage televisivo ha messo a nudo la babele delle sigle e dei simboli e la misteriosa scomparsa dei miliardi di proprietà del vecchio partito. Una mortificazione, una ferita che si è riaperta per tutti coloro che alla “croce” hanno guardato con fede non certo per spartirsi simbolo e proprietà come le vesti di Gesù!!

 

*già parlamentare