Pulci di notte

di Stefano Lorenzetto

Luca Valtorta su Robinson, supplemento culturale della Repubblica: «Anche la pioggia ci sta bene se vai a tovare Paolo Jannacci, figlio di Enzo, musicista, compositore, arrangiatore e molto altro ancora. Una bella casa della vecchia Milano, come è giusto che sia, di quelle con le cassette per la posta di legno e il pavimento dell’androne a mosaico». La posta di legno e l’androne a mosaico. Che sorprendenti innovazioni! Proprio vero che chi cerca tova.

Daniela Polizzi sul Corriere della Sera: «Generali mantiene però un Combined ratio, cioè la redditività della gestione tecnica nei danni, che migliora di 3,1 punti al 94,3% (sconta già l’impatto da catastrofi pari a 3,7 punti) perché già nel 2022 il gruppo aveva già messo da parte riserve per tamponare l’effetto inflattivo». Eh, già.

Dall’editoriale di prima pagina del direttore del Giornale, Alessandro Sallusti: «La sinistra funziona al contrario: ogni mattina un leader-leone azzanna la premier più o meno a vanvera, come è capitato sulle presunte marachelle del compagno piuttosto che sugli scherzi telefonici dei servizi segreti russi». Rimandiamo Sallusti a un «Nota bene» che compare nel lemma piuttosto sullo Zingarelli 2024: «Il significato corretto di piuttosto che è “anziché”. L’uso di piuttosto che con il significato di “oppure” è da considerarsi improprio, anche per gli equivoci che può creare, per esempio nelle frasi: faremo stampare il libro a Padova piuttosto che a Bologna (con il significato corretto di: “a Padova, non a Bologna”; e non, improprio, di: “a Padova o a Bologna”); oppure: al sabato sera vado al cinema piuttosto che a cena fuori (con il significato corretto di: “al cinema, non a cena fuori”; e non, improprio, di: “al cinema o a cena fuori”)».

La Verità fa parlare «il grande epidemiologo Kulldorff». Il titolo in prima pagina recita: «Il lockdown è stato il più grande fiasco sulla salute della storia». La storia è in cattiva salute? No? Allora bisognava scrivere: «Il lockdown è stato il più grande fiasco della storia sulla salute».

Nel suo editoriale di prima pagina, Mario Sechi, direttore di Libero, osserva, a proposito del «circo che la vittoria di Meloni ha preso in contropiede»: «I suggeritori di questo network nazionale e estero sono visibili, sono tra le fila dell’élite». Ripetiamo per l’ennesima volta la lezioncina: l’uso di fila come plurale di fila, «serie di persone o cose», è erroneo. Nel significato di ranghi, il plurale di fila è file: «Militare nelle file di un partito, serrare le file» (Lo Zingarelli 2024). Il plurale fila con valore collettivo si usa soltanto quando si parla di filamenti, oppure della trama di un ordito, o di un intreccio in senso metaforico. Classici esempi dell’uso figurato di fila come plurale femminile di filo sono «reggere le fila» e «tirare le fila».

Carmelo Caruso sul Foglio: «In Rai, ogni mattina c’è uno sciopero delle firme come l’Atac. Ultimo quello di Rai News. Solo per dire: sempre ieri, un giornalista di Rai News ha tagliuzzato un video della rassegna stampa e lo ha spedito ai quotidiani del gruppo Jedi. Lavorano in Rai ma collaborano con Repubblica». Ci sfugge quali siano le «firme come l’Atac» e, soprattutto, non ci risulta che Gedi, il gruppo editoriale cui fanno capo La Repubblica e La Stampa, sia entrato a far parte dell’organizzazione monastico-militare di Guerre stellari.

Antonella Olivieri sul Sole 24 Ore informa che «il Governo sta per mettere mano alla revisione del Tuf, che per oltre trent’anni è stato il punto di riferimento centrale per la finanza e il mercato italiano». A dire il vero, il Tuf (Testo unico della finanza) risale al febbraio 1998, quindi 25 anni fa. Più di 30 anni li ha il Tub (Testo unico bancario), che è del settembre 1993, ma neppure quello ha regolato la materia per «oltre 30 anni», considerato che è entrato in vigore il 1° gennaio 1994.

Tweet del Corriere della Sera: «In carcere l’animatore-pedofilo: ha usato lo spray al peperoncino per evitare l’arrestato». Embè? Anche i maniaci sessuali avranno ben diritto di difendersi dai molestatori.

Orazio La Rocca recensisce per La Repubblica un libro di Marco Roncalli su Giovanni XXIII e Paolo VI e, nell’analizzare le «affinità elettive» tra i due, riferisce incredibilmente di un «freddo distacco sul Concordato firmato dalla Santa Sede con Mussolini». Se infatti è vero che il giovane Giovanni Battista Montini espresse perplessità e riserve in una lettera scritta il 19 gennaio 1929, alla vigilia della firma dei Patti lateranensi, di segno ben diverso fu la reazione di Angelo Giuseppe Roncalli, che, rivolgendosi il 24 febbraio ai familiari, commentò testualmente: «Potete ben immaginare come io segua l’esultanza di tutta l’Italia in seguito alla pace fatta fra Vaticano e Quirinale. Pensate che gioia per i nostri vecchi se fossero ancora vivi! Benediciamo il Signore! Tutto ciò che la massoneria cioè il diavolo, aveva fatto in 60 e più anni contro la Chiesa e contro il Papa in Italia, tutto è stato rovesciato». E il futuro Papa buono aggiunge: «Non mancheranno altre pene. Ma intanto bisogna avere il coraggio della lealtà e riconoscere che ciò che è avvenuto ha del prodigio e può portare un bene incalcolabile all’Italia nostra e a tutto il mondo. Ora chi aveva un po’ studiato e non andava in chiesa, e non era praticante in nome del patriottismo, ha perduto ogni scusa».

SL
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