Csm, no onorevoli (o freschi ex) tra i membri laici: la moral suasion del Colle

QUIRINALE – Se passasse questo principio cadrebbero a picco le quotazioni della ministra del governo Draghi, il cui nome circola con insistenza

DI ANTONELLA MASCALI E ILARIA PROIETTI 
13 GENNAIO 2023
Nella trattativa in corso per l’elezione dei membri laici del Consiglio superiore della magistratura, si fa largo sotto traccia la voce del Colle. Con il “garbato suggerimento” delle alte sfere quirinalizie a escludere la candidatura di parlamentari in carica e, se possibile, anche degli ex della legislatura appena conclusa. Una moral suasion difficile da ignorare, che taglia fuori parecchi nomi in lizza, ma che fa addirittura precipitare le quotazioni di Marta Cartabia, ipotesi circolata insistentemente anche se nessuno è pronto a rivendicarne la paternità. “Come si può avallare l’elezione a Palazzo dei Marescialli dell’ex ministra della Giustizia quando escludiamo chi è in Parlamento o lo è stato fino a pochi mesi fa?” è il ragionamento che corre nel centrodestra rispetto alla sua candidatura avversata anche da larga parte della magistratura: spiazza l’idea che a qualcuno sia venuto in mente di poter sponsorizzare, magari addirittura per il posto di vicepresidente del Csm, la “ministra fino a ieri”. Ritenuta responsabile di una riforma che sta provocando “danni gravissimi” al sistema giustizia e che ha indotto la categoria a scioperare come ai tempi di Berlusconi. In realtà, l’ingresso stesso della Cartabia a Palazzo dei Marescialli sarebbe visto dalle toghe come uno schiaffo alle loro istanze inascoltate. Discorso diverso merita l’ipotesi non meno suggestiva di una candidatura come quella di Luciano Violante. Lui stesso però la smentisce al Fatto Quotidiano: “Sono false notizie. Con tutto il rispetto per il Csm, sono ormai al di là della barricata”.

Ballon d’essai a parte o fumo negli occhi che sia, l’altro giorno il vertice di centrodestra convocato alla Camera si è chiuso con un nulla di fatto: ancora non è stata neppure trovata l’intesa sulla “spartizione” dei seggi che spetta alla coalizione di governo indicare, sulla carta 7 nominativi. Le voci che arrivano da dentro la maggioranza sono diverse: c’è chi dice che Fratelli d’Italia punti a rivendicarne per sé 5 (dato l’enorme successo elettorale) e chi invece ritiene che alla fine i meloniani daranno prova di “generosità” e “responsabilità politica” tanto da limitarsi a 3 soli nominativi, lasciandone 2 a testa per Forza Italia e Lega. Ma non è tutto, perché attorno ai nomi su cui serve far convergere una maggioranza più che qualificata, rischia di consumarsi un braccio di ferro micidiale nei singoli partiti dell’alleanza. Di che genere? In casa FdI, per dire, l’elezione di Giuseppe Valentino al Csm (ipotesi che lusinga l’interessato) significherebbe le sue dimissioni dalla presidenza della Fondazione Alleanza Nazionale, la cassaforte di Fratelli d’Italia, in un ruolo in cui è stato sin qui garante di difficili equilibri interni. In casa FI, il pressing sugli eletti, in particolare su Pierantonio Zanettin e Pietro Pittalis ad accettare la candidatura al Csm, ha dato, finora, esito infruttuoso a maggior ragione perché non esiste la garanzia che potrebbe convincerli al trasloco: ossia l’approdo sulla poltrona oggi occupata da David Ermini. Unica certezza sarebbe la rinuncia a un seggio in Parlamento faticosamente riconquistato per un posto semplice al Csm dove si guadagna pure meno che in passato e dove vige la regola dell’incompatibilità con altre attività professionali non prevista per deputati e senatori. Zanettin, poi, sta facendo un gran lavoro, in sintonia con il viceministro Paolo Sisto, come capogruppo di FI in commissione Giustizia del Senato. Circostanza che dà speranza per una candidatura al Csm a chi non è stato rieletto, come Roberto Cassinelli, Enrico Aimi o Fiammetta Modena. O agli avvocati Gaetano Pecorella e Raffaele della Valle, berlusconiani della prima ora: un’elezione a Palazzo dei Marescialli sarebbe per loro un coronamento di carriera. Ma il sudoku sui laici del Csm chiama in causa anche le liaisons dangereuses tra il centrodestra e Matteo Renzi: il Pd vuole capire le mosse dell’ex rottamatore e soprattutto se giocherà le sue carte a danno del centrosinistra. I Dem, per ora, stanno alla finestra, in attesa che il centrodestra definisca il perimetro dell’intesa sui suoi candidati. Solo allora proverà a piazzare un nome di alto livello che possa tentare la scalata a Palazzo dei Marescialli, grazie al gradimento della componente togata. Il M5S tiene ancora coperto il suo candidato, ma ha anche fatto sapere che non voterà avvocati o ex avvocati di Berlusconi. La prima chiama del Parlamento in seduta comune è in calendario per il 17: prevista fumata nera, salvo accordi in extremis.

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