*La cuoca di Lenin*

di Vincenzo D’Anna*

“Ogni cuoca dovrebbe imparare a reggere lo Stato” recita un celebre aforisma di Lenin. Per essere compreso appieno, il senso della frase deve essere inquadrato nel contesto ideologico del padre dei Soviet e della tipologia di società che egli intendeva realizzare secondo le tesi di Karl Marx. In estrema sintesi: si trattava di edificare il governo del proletariato, nel quale lo Stato poteva esistere solo privando della libertà gli individui, questi si ritrovavano massificati e piegati al superiore ed indefettibile principio del socialismo rivoluzionario. Uno Stato tirannico, insomma, che aveva il potere di stabilire, per ciascun cittadino, gli esiti stessi della propria vita. Ora, avendo quella tipologia di governo la disponibilità di tutti mezzi in poteva stabilire anche tutti i fini sociali. I beni erano collettivi, l’imperio statale assoluto, comprese le arti, la scienza e tutta la produzione intellettuale erano piegate all’affermazione di un progetto che annichiliva ogni singola personalità, assoggettandola ai superiori fini dello Stato e della nomenclatura politica che ne reggeva le redini. Un inferno, per dirla tutta, nel quale hanno praticamente vissuto e sofferto milioni di persone in attesa della vittoria del socialismo. Una vittoria pensata come indiscutibile, piegata alla previsione storicista, ovvero all’idea che anche il corso della storia potesse essere ineluttabilmente previsto ed incanalato secondo i dettami ideologici scanditi dal filosofo di Treviri. Mancando ogni strumento di libera espressione e di iniziativa privata, gli ambiti di vita diventavano quelli della servitù volontaria nei confronti del partito egemone, quello comunista, e la classe dirigente che lo rappresentava. In questo contesto di “uguaglianza forzata” anche una cuoca poteva dirigere lo Stato non essendoci né libertà, né meriti, né virtù in grado di distinguere i meriti e le capacità degli uomini tra di loro. L’esatto opposto dell’ideologia della libertà che vede gli esseri umani liberi e capaci di organizzarsi nel consesso sociale in quanto portatori di diritti naturali indisponibili a qualsiasi forma di autorità. Un’ideologia, questa, che nasce già nel quinto secolo avanti Cristo, incartata nel discorso di Pericle agli Ateniesi ove prevale l’affermazione che non tutti possono essere ritenuti capaci di amministrare la Polis ma tutti, attraverso il loro voto, possono essere capaci di giudicare chi la governa. Selezionati i meritevoli attraverso il libero arbitrio dei cittadini, a questi ultimi rimane il diritto di scegliere se confermarli oppure cambiarli secondo i talenti dimostrati nel gestire gli interessi di tutti gli amministrati. Una lezione antica, quella del grande politico greco, che ha partorito l’idea che sia l’uomo al centro della società e che lo Stato debba, semmai, conformarsi ad essere al suo servizio e non viceversa. E tuttavia nel corso dei secoli molti sono stati i tiranni, gli autocrati, i monarchi, gli aristocratici che hanno marcato a fuoco i governi di paesi e città. Dopo la rivoluzione americana e la Costituzione redatta a Filadelfia e successivamente quella scatenata in Francia, buona parte degli Stati si sono dotati di “Magne Carte” in grado di garantire i diritti e le libertà dei cittadini, secondo leggi votate dai parlamenti a suffragio universale. Siamo tra quelli che si erano illusi che questa fonte di gestione del potere fosse ormai appannaggio assoluto della democrazia orientata e governata da “regimi” liberali e costituzionali. C’è voluta la tragedia del Covid per farci comprendere come l’evoluzione tecnologica, la società digitale, la diffusione frenetica e capillare delle notizie tramite i social, avesse trasfigurato quella certezza in ben altra realtà. Come un ubriaco che ha ecceduto nel bere ottenebrandosi i sensi e la razionalità, oggi milioni di persone hanno perso di vista le nozioni proprie di libertà e di democrazia. Ebbra di notizie, una parte di questa società si convince di essere diventata onnisciente perché auto-didatta. Quel che è peggio è che molta gente si sente fuori e al di sopra dello Stato nella sua concezione costituzionale ed alimenta un odio verso un non meglio precisato “sistema” ed ogni forma di governo della comunità. Costoro pretendono di elevare a bontà e verità indiscutibile la propria personale opinione, spesso agendo da orecchianti, eruditi dal “sentito dire” più che dagli studi canonici del sapere, arrivando a ritenere esecrabile ogni cosa che non abbia la loro quotidiana approvazione e condivisione. Da tutto questo nasce un malinteso esercizio di una libertà senza responsabilità, senza solidarietà e priva di rispetto per l’ordine costituito. Finanche la scienza deve essere piegata al loro modo di vedere, pena la trasformazione della stessa in uno mero strumento tirannico. Basta viaggiare sul web per vedere molte cuoche ergersi a governanti onniscienti ed infallibili. E’ il segno dei tempi che stiamo vivendo.

 

*già parlamentare