Consiglio di Stato, i miracoli di Frattini: promosso con ben 13 anni di assenze
Nominato presidente aggiunto “per anzianità”, ma da tempo immemore fa solo politica
di Ilaria Proietti | 23 GIUGNO 2021
Un prodigio così non si vedeva dai tempi belli in cui il centrodestra umiliò il Parlamento giurando che sì, Ruby Rubacuori era davvero la nipote di Mubarak, pure se non ci credeva nessuno alla bubbola utile a salvare la faccia e non solo al caro leader, Silvio Berlusconi.
Sarà per l’antica consuetudine con l’ex Cav. che anche a Franco Frattini un tempo suo delfino prediletto, è riuscito un piccolo miracolo: è stato promosso ai vertici del Consiglio di Stato che gli ha conteggiato pure 13 anni di assenze, causa mandato elettorale. Riuscendo così ad agguantare per ragioni di anzianità di servizio il posto di presidente aggiunto a Palazzo Spada e a prevalere su altri concorrenti che non l’hanno affatto presa bene e ora alcuni tra loro minacciano di fare ricorso. Con quante speranze? Pochine, giacché a decidere in ultima battuta sarebbe lo stesso Consiglio di Stato di cui Frattini è diventato numero 2 appena un gradino sotto al presidente Filippo Patroni Griffi, che potrebbe liberargli il posto tra pochi mesi.
Ma riavvolgiamo il nastro. In lizza per l’ambita poltrona cinque candidati con curriculum e pedigree eccellenti: oltre a Frattini, Giuseppe Severini, Luigi Maruotti, Carmine Volpe e Gianpiero Paolo Cirillo, tutti da oltre 30 anni consiglieri di Stato e tutti ormai da almeno un decennio presidenti di sezione a Palazzo Spada. E qui però iniziano le acrobazie perché Frattini, se è vero che pur di pochissimo era quello che ha preso servizio per primo, è anche il candidato che ha esercitato meno le funzioni effettive di magistrato amministrativo. Perché tra una elezione e l’altra in Parlamento o per via dei molti incarichi governativi, per un lunghissimo periodo – come ha fatto notare qualcuno – le aule di giustizia le ha viste solo col cannocchiale. E che problema c’è?
Del resto l’organo che ha deciso sulla promozione a presidente aggiunto del Consiglio di Stato ha più volte dato prova di grande discrezionalità: in passato ha scelto sulla base dell’anzianità di servizio che a lungo è stato un criterio granitico. Salvo poi farne coriandoli in tempi più recenti quando si è invece deciso in talaltri casi di premiare la particolare attitudine all’incarico.
E nel caso di Frattini? È tornato ad applicare il criterio dell’anzianità di servizio, benché nella sua situazione fosse solo formale, ma valorizzando pure la sua lunga carriera parallela: chi si è speso in suo favore ha sostenuto che comunque pur nella mischia politica si è pur sempre occupato “di temi che non possono dirsi eccentrici rispetto alle questioni rilevanti anche per la magistratura amministrativa (con incarichi) che sono stati da lui svolti nel nome della Repubblica nella sua interezza e non nel nome di una sola parte”. Come avvenne infatti anche per la legge sul conflitto di interessi che porta il suo nome fatta per gli italiani tutti, mica per B. come sostennero al tempo i maligni. Non è tutto. Chi lo ha sostenuto ha rispolverato precedenti seppure dell’altro secolo utili a dimostrare che no: la passionaccia di Frattini per la politica non fa velo all’immagine di autonomia e indipendenza della magistratura.
Non è forse vero che un eroe della Resistenza quale Lionello Levi Sandri, era stato partigiano delle Fiamme Verdi, militante del Psiup e poi del Psdi di Saragat oltre che membro della direzione del Partito socialista, prima di diventare presidente del Consiglio di Stato nel 1979? E che dire dell’altro padre della Patria, Meuccio Ruini? Non era salito in montagna ma sull’Aventino sì pur di opporsi al fascismo a cui aveva pagato un prezzo salatissimo, l’allontanamento dall’insegnamento, dall’avvocatura e non solo. “Ruini, come tutti sanno era stato espulso dal Consiglio di Stato nel 1927, poi riammesso alla caduta del regime… La storia ci dice che i migliori consiglieri di Stato hanno avuto anche percorsi nella vita politica italiana”.
Ergo, Frattini un tempo partigiano delle brigate berlusconiane merita una medaglia, anzi si più, una promozione. Se poi l’ex ministro non è il nipote di Mubarak, pace.
Stragi, Brusca sentito dai pm che indagano su Berlusconi
L’interrogatorio di mesi fa, tenuto segreto
di Valeria Pacelli | 23 GIUGNO 2021
1L’inchiesta di Firenze: iscritto pure Dell’Utri
Ma procediamo con ordine. Berlusconi e Dell’Utri sono già stati indagati in passato per le stragi e poi anche archiviati negli anni Novanta e Duemila. Da più di 4 anni sono di nuovo iscritti, con alcune interruzioni durante le quali la Procura ha archiviato le loro posizioni e poi riaperto il fascicolo. Nelle scorse settimane, il procuratore aggiunto Luca Tescaroli, titolare del fascicolo fiorentino, ha ascoltato Giovanni Brusca per chiedergli chiarimenti su quanto sostenuto in aula nel corso del processo ’ndrangheta stragista che vedeva imputati il boss siciliano Giuseppe Graviano e il calabrese Rocco Santo Filippone, accusati di un duplice omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo, il 18 gennaio 1994, e poi di altri attentati falliti contro i carabinieri, sempre in Calabria: il 24 luglio 2020 c’è stata la sentenza di primo grado e Giuseppe Graviano e Filippone sono stati condannati all’ergastolo.
2’Ndrangheta stragista Dichiarazioni in aula
Brusca – che da fine maggio è tornato libero dopo aver scontato 25 anni di detenzione – ha parlato in aula il 22 marzo 2019. Davanti ai giudici di Reggio Calabria, ha risposto alle domande del pubblico ministero Giuseppe Lombardo. Durante la deposizione del collaboratore, il pm chiede: “Mi faccia capire una cosa Brusca, perché i rapporti con Berlusconi ce li avevano i Graviano?”. E Brusca risponde: “Per quello che poi mi ha detto Matteo Messina Denaro sì”. Poco dopo, il collaboratore di giustizia parla di questo presunto incontro tra Giuseppe Graviano e il leader di Forza Italia. Ecco lo scambio avvenuto tra il pm e Brusca:
Lombardo: Cosa le dissero dei rapporti che i fratelli Graviano avevano con Berlusconi?
Brusca: Bagarella nulla, che c’era questo rapporto con il club di Forza Italia era palese, non conosceva i dettagli fino a quando nel 1995, pensando che queste cose le avevo dette e invece non le avevo dette… Matteo Messina Denaro mi disse che in un incontro tra Giuseppe Graviano con Berlusconi gli aveva visto un orologio da 500 milioni al polso. Io gli risposi, ma che è di diamanti, non so che metallo prezioso poteva essere, ma era stata una battuta. Quindi so per certo che questo contatto c’è stato tra Berlusconi e Giuseppe Graviano. Quando è avvenuto non glielo so dire.
3Il legale di Silvio: “Notizia infondata”
Il racconto di Brusca è un ‘de relato de relato’ e, ribadiamo, mai provato. Il collaboratore di giustizia, prima di essere sentito come testimone nel processo ’ndrangheta stragista ne aveva parlato anche in altre occasioni: a Roma e prima ancora davanti ai magistrati di Palermo.
Nella Capitale, Brusca fa riferimento all’episodio dell’“orologio” nel febbraio del 2019, quando è stato interrogato dalla Corte di Caltanissetta, allora in trasferta a Roma, per ascoltare i collaboratori di giustizia nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage del 1992 in via D’Amelio.
Prima ancora Brusca ne aveva parlato davanti al procuratore capo di Palermo, Franco Lo Voi, e all’aggiunto Marzia Sabella, in un verbale del 16 ottobre 2018. Quel verbale è stato poi rivelato dal Fatto il 16 dicembre dello stesso anno.
Dopo la pubblicazione di questa notizia, nel 2018 Niccolò Ghedini, legale di Silvio Berlusconi, dichiarò: “Ancora una volta il Fatto Quotidiano su di una notizia irrilevante e palesemente infondata costruisce addirittura la prima pagina e vari articoli, tutti chiaramente diffamatori, senza dar conto che tutte le numerosissime risultanze processuali e le plurime archiviazioni a favore del Presidente Berlusconi hanno dato evidenza della assoluta inconsistenza di qualsiasi ipotesi consimile”.
Su quelle dichiarazioni di Brusca, alcune settimane fa, però la Procura di Firenze è tornata a chiedere chiarimenti al collaboratore di giustizia appena tornato in libertà.
Il Vaticano fa l’eutanasia alla legge anti-omofobia
Nota del Vaticano in base ai Patti Lateranensi contro il ddl Zan in nome della libertà d’espressione. Il testo rischia di essere affossato in Senato
di Giacomo Salvini | 23 GIUGNO 2021