L’intervista alla dott.ssa Bruzzone

Inizio l’intervista telefonica con una domanda in merito al suo ultimo libro pubblicato, intitolato “I disturbi della personalità al tempo del coronavirus” (Piemme, 2020), ed è subito scoop.

“In realtà – esordisce infatti la psicologa forense – ho un nuovo libro in cantiere che sto scrivendo insieme alla dottoressa Emanuela Valente. Uscirà il prossimo ottobre per De Agostini e si intitolerà “Favole da incubo. Dieci più una storie di uomini che uccidono le donne da raccontare per impedire che succeda ancora”.

“Racconto diverse storie di femminicidio – molte delle quali me ne sono occupata personalmente come consulente tecnico – con il preciso intento di spiegare il percorso che ha portato al triste epilogo. Sono storie al contempo molto toccanti e molto esplicative dell’ambiente in cui certe dinamiche nascono e si sviluppano”.

“L’obiettivo – sottolinea – è quello di fare prevenzione: conoscere e riconoscere i segnali che potrebbero scatenare la follia – anche omicida – del partner”.

Roberta Bruzzone

Femminicidio e stereotipi di genere

Il femminicidio è una delle principali piaghe di questa società. Ho chiesto alla nota criminologa cosa sarebbe necessario fare per cambiare davvero le cose.

“Sarebbe importante – risponde – rivedere i modelli di relazione contemporanei, abbattendo i tanti, troppi, stereotipi di genere che ancora oggi mettono la donna – figlia, madre, moglie, compagna – in una posizione subalterna a quella dell’uomo…fratello, padre, marito o compagno che sia. Il vero nemico da abbattere è dunque questo modello sociale che è ancora imperante. Con un’evidente asimmetria di potere tra donna e uomo. Ovviamente, a favore di quest’ultimo”.

“Molte donne – analizza la dottoressa Bruzzone – vivono in questa trappola senza neppure rendersene conto perché sono cresciute in famiglie dove veniva insegnato loro di valere meno degli uomini. Fa parte del loro retaggio culturale che è difficilissimo da modificare. Prima di tutto, infatti, andrebbe riconosciuto con se stessi”.

Vizi privati, pubbliche virtù

Eppure, a livello sociale la violenza di genere è stigmatizzata un po’ ovunque – penso alle tante campagne e “pubblicità progresso” – e da tutti, le faccio notare.

“Sì – evidenzia la criminologa -. Pubblicamente tutti si dicono contrari alla violenza di genere e magari biasimano certi comportamenti come lo schiaffeggiare una donna. Ma questo solo a livello pubblico. La società dice infatti di non sfiorare le donne neppure con un fiore“.

“Però nel privato delle mura domestiche, lontano da occhi indiscreti, questi comportamenti non sono solo tollerabili, ma anche condivisibili. Sono infatti ancora moltissime le persone e le famiglie nelle quali la donna vive una situazione di sottomissione e spesso di violenza. Se non fisica, almeno verbale e psicologica“.

“C’è dunque un doppio binario in alcune famiglie italiane: quello pubblico dove si predica bene e quello privato – più autentico – dove invece si razzola molto male!“. “La maggior parte degli uomini maltrattanti e delle donne vittime di violenza non a caso provengono da ambiti familiari d’origine dove queste condotte erano considerate addirittura normali“.

Il ruolo (assente) dei familiari

E i familiari che assistono a questi abusi di varia natura e gravità nei confronti della propria figlia o sorella o nipote, cosa fanno? “Anche loro – risponde la dottoressa Bruzzone – sono frutto dell’ambiente in cui sono cresciuti. Spesso, dunque, i familiari non intervengono e non danno aiuto o sostegno alle vittime perché, secondo loro, ‘è giusto così’. Non si tratta dunque di omertà, ma di una problematica ben più subdola: quella di un adeguamento a dei modelli culturali maschilisti che sono superati solo a parole, ma che nei fatti sono ampiamente condivisi”.

Ma perché le persone più vicine alle vittime non fanno scattare un campanello di allarme, chiamando la polizia o almeno stigmatizzando certi comportamenti? “Perché – prosegue – spesso anche loro hanno vissuto in passato le stesse situazioni abusanti e non sanno riconoscerne la gravità e la pericolosità. Ma è bene ricordare, come purtroppo le cronache ci insegnano, che la violenza di genere può portare anche all’omicidio“.

I giovani salvezza dell’umanità?

Gli stereotipi di genere dunque sono duri a morire e “inquinano” il modo di vivere e pensare di intere famiglie. Ma almeno i giovani ne sono immuni? “Purtroppo no – evidenzia la criminologa -. Sono figli dei loro genitori e ne assorbono valori e comportamenti”.

“Me ne rendo conto quando vado nelle scuole a fare prevenzione contro la violenza di genere. Lì faccio delle domande alle ragazze di 15 o 16 anni: le future mamme e mogli della prossima generazione”.

“Chiedo: cosa farebbero se il loro fidanzatino impedisse loro di uscire la sera mentre lui va in giro con gli amici? La risposta nove volte su dieci è allarmante. Se impedisce di uscire – dicono – è perché tiene a loro! Stessa risposta alla domanda ben più grave ‘cosa faresti se il tuo ragazzo ti mettesse le mani addosso’? La risposta più frequente, purtroppo, non è ‘Non vorrei rivederlo mai più’, ma: ‘Lo fa perché ci tiene a me’“.

“Non solo dunque la violenza è tollerata in tutte le sue sfumature. Ma addirittura certi comportamenti deviati quali l’ossessione, la gelosia, la prepotenza, la volontà di controllo…vengono spacciati come segnali di interesse amoroso“.

“Insomma, c’è ancora molta strada da percorrere, ma le nuove generazioni sono le persone che potenzialmente cambieranno in meglio questa società per certi versi malata“.

Malattia mentale e coronavirus

Pensando alla sua ultima pubblicazione, “I disturbi della personalità al tempo del coronavirus”, è possibile dire che i mesi segnati dalla pandemia e dal lockdown hanno influito negativamente sulla psiche di alcune persone?

“Sì. Il testo descrive infatti in modo preciso quale potrebbe essere l’evoluzione delle fobie scaturite dal coronavirus in soggetti che hanno già delle problematiche psichiatriche piuttosto serie alle spalle”.

“Nello specifico, mi sono soffermata sui dieci disturbi della personalità descritti nella quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (il DSM V). Questi disturbi non sono rari: colpiscono infatti il 15% della popolazione. Un’incidenza dunque pesante sul totale degli italiani”.

“Il testo – spiega – è uno strumento agile anche per chi non ha competenze in ambito psichiatrico per riconoscere chi ha certi disturbi della personalità, attraverso i suoi comportamenti pratici nella quotidianità”.

“Specie in un momento grave come questo, segnato da una minaccia incombente e dalla concreta paura di morire o di vedere soffrire i propri cari, alcune persone già con problemi a monte possono presentare un netto peggioramento“.

Fonte: di Milena Castigli in Terris on line