TU GIOCHI A BASTONI? IL GIUDICE RISPONDE A COPPE!

Continua l’odissea del conto pignorato da parte della Agenzia delle Entrate Riscossioni alla persona sbagliata. Rigettata l’istanza e presentato un reclamo. Non escluso il ricorso al CSM dopo il classico scaricabarile all’italiana –

Si sono appresi altri particolari della vicenda giudiziaria relativa al pignoramento del conto bancario del liquidatore al posto di quello della società da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione di Caserta.

Nel giorni scorsi, il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Dr.ssa  Ermelinda Mercurio ha sciolto la riserva ma nello stesso tempo ha finito per ingarbugliare ancora di più la vicenda rendendola addirittura incomprensibile per tutti.

Per farvi capire meglio… tu giochi a bastoni e IL GIUDICE  risponde a coppe. Come del resto ha fatto anche la difesa della Agenzia Riscossione, attraverso il suo difensore l’avv. Giacomo Maddaluna, il quale con il classico scaricabarile all’italiana ha attribuito la colpa sul funzionario delle Entrate che (testuale)…

In sostanza e in sintesi è l’Agenzia delle Entrate ad aver formato il titolo esecutivo, poi trasmesso all’Ente esattore, il quale, verificato che tale titolo – ancora in possesso dell’ente impositore – si è formato correttamente nei confronti dell’opponente, nulla poteva fare se non portarlo in esecuzione.  

A questa apodittica affermazione si dovrebbe subito replicare: se il titolo è ancora in possesso della Agenzia delle Entrate come ha fatto la Agenzia delle Riscossioni ad eseguire il pignoramento presso la banca?  Sine titulo?

L’Agenzia Riscossioni  eccepiva, inoltre,la carenza di giurisdizione in favore della Commissione Tributaria, in linea subordinata eccepiva la carenza di legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate Riscossione e chiedeva l’autorizzazione alla chiamata in causa dell’Agenzia delle Entrate, in qualità di Ente Impositore, nonché l’autorizzazione all’acquisizione del titolo esecutivo.

Ma c’è di più. Nella decisione del giudice sammaritano – che definire assurda, illogica e cervellotica è veramente riduttivo – si è arrivato addirittura a condannare alle spese il ricorrente, concedendo, eziandio, un termine di 60 giorni per la riassunzione nel merito.

A tale inusitata decisione si opponeva l’avv. Antonio Cassino, difensore di T.F. (il professionista liquidatore della società oggetto del pegno per euro 150 mila circa) rintuzzando, punto per punto, l’assurda decisione:

VIZIO DI EXTRA PETIZIONE – Il G.E.ha posto la propria decisione sulla base di un elemento che non era stato introdotto in giudizio né dal ricorrente, né dal resistente, vale a dire la qualità di socio che rivestiva l’opponente in capo alla Partenopea Metalli s.r.l.

Infatti tale argomentazione difensiva, che potenzialmente poteva essere addotta dal resistente, non è stata affatto introdotta dallo stesso nel giudizio in opposizione all’esecuzione, essendosi limitato questi ad eccepire in prima battuta la carenza di giurisdizione ed in subordine la carenza di legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate Riscossione.

Sussiste, per l’effetto, una palese violazione dell’art. 112 c.p.c.. È infatti pacifico che il potere-dovere del Giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del petitum e della causa petendi, sostanziandosi nel divieto di introdurre nuovi elementi di fatto nel tema controverso.

Sussiste nel caso di specie il vizio di ultra petizione avendo il G.E. alterato gli elementi obiettivi dell’azione, così pronunciando oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. n. 18868/15; Cass.n. 22180/17.

In altri termini, il Giudice deve pronunciarsi sulla domanda introduttiva e sulle eccezioni della controparte nei limiti di esse, secondo il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che gli impone di circoscrivere la decisione in relazione agli effetti giuridici che le parti intendevano conseguire.  

Ed ancora… I SOCI RISPONDONO DEI DEBITI SOCIALI NEI LIMITI DI QUANTO RISCOSSO – Il principio de quo è stato disatteso dal G.E. allorquando riteneva sussistente la mancanza del fumus boni juris sulla sola considerazione che l’opponente rivestiva anche la carica di socio in seno alla Partenopea Metalli s.r.l..

In primo luogo non è stata affatto affrontata dal G.E. la questione relativa all’effettivo verificarsi di una eventuale riscossione da parte del socio in questione all’atto della liquidazione sociale; né poteva essere altrimenti, stante la natura cautelare dell’azione, ben potendosi affrontare tale questione nel corso del giudizio di merito.  Infatti –risulta – che il liquidatore- socio non ha incassato alcuna somma.

Terzo argomento rintuzzato dall’avvocato Antonio Cassino  “IL Giudice dell’Esecuzione NON Si E’ PRONUNCIATO SULL’ERRORE DI IDENTIFICAZIONE DEL DEBITORE DA PARTE DEL CREDITORE PROCEDENTE ECCEPITO DAL RECLAMANTE -Specifico motivo di opposizione all’esecuzione era rappresentato dall’evidente errore in cui era intercorso il creditore procedente, laddove aveva individuato nel debitore esecutato T. F. e non già Partenopea Metalli s.r.l, in virtù dell’inesatta attribuzione a quest’ultima società del codice fiscale che di contro fa capo T. F. 

Quarta eccezione il giudice dell’esecuzione NON Si E’ PRONUNCIATO SULLA DOMANDA RELATIVA ALL’IMPIGNORABILITA’ DELLA INTERA PENSIONE – Uno specifico motivo di opposizione all’esecuzione introdotto dal reclamante era relativo alla considerazione che il creditore procedente era intervenuto a pignorare i crediti del terzo esecutato presso  Che Banca.

Rilevava al proposito il debitore che su detto istituto bancario transita l’assegno pensionistico che rappresenta l’unica propria fonte di reddito; ne consegue che pignorandosi tutte le somme giacenti e sopravvenute su detto conto corrente si va a privare il debitore dell’intero assegno pensionistico, in violazione dell’art. 72 ter DPR 602/73 che pone uno specifico limite al pignoramento da parte dell’Agente della Riscossione, in misura pari a 1/10 dell’importo mensile accreditato a titolo di stipendio o di pensione, allorquando queste non superino l’importo mensile di Euro 2300,00, appunto … come nel caso che ci occupa.

E’ appena il caso di aggiungere che a far data dalla notifica dell’atto di pignoramento presso terzi T.F. é stato privato dell’unica propria fonte di reddito.

Non mancheremo di seguire questo intrigante e per molti aspetti interessante caso giudiziario le cui decisioni formeranno  certamente giurisprudenza.