La stretta sul Golfo di Oman

(di Diplomaticus)

Il Golfo di Oman è un’ansa del Golfo Persico, un posto piuttosto stretto, un gomito fra due coste, quella araba e, dove si affacciano gli Emirati e, appunto il Sultanato di Oman, e quella iraniana.

Se si chiude il golfo di Oman si blocca tutto il traffico navale del Golfo Persico. Non è roba da poco, perché ci transita un quinto del traffico mondiale di petrolio. Le navi non possono uscire e andare nell’Oceano Indiano. E’ un collo di bottiglia, un po’ come se chiudessimo l’Adriatico all’altezza di Brindisi. Non passerebbe più nessuno. La differenza è che nel Golfo Persico c’è petrolio e il traffico navale, militare e mercantile, è intensissimo, con una media giornaliera di 14 navi petroliere che, però, navigano, per ragioni di pescaggio, in un canale largo appena 3 km.

Nel golfo di Oman, l’altro giorno, due petroliere sono state colpite. Il termine”colpite” è molto ambiguo, non dice nulla., ma è evidente che qualcuno ha sparato. Colpire una petroliera è facile, è come sparare a un fagiano grasso e fermo. Basta poco, il combustibile prende fuoco e così via.

Però, non basta un colpo di fucile. Un missile? Ma le traiettorie sono seguite su tutti i radar attrezzati. Non sembra. Sparato da chi? Mistero. Oppure è stato un cannone, una mina o un siluro. Tutta roba che non si trova sul mercato o dal rigattiere. Per un siluro, poi, ci vuole anche un sommergibile in agguato. In realtà, delle due petroliere”colpite” non si sa nulla, tranne che una, con bandiera norvegese, portava un carico di petrolio in Giappone e, vedi caso, il Premier giapponese è in visita di Stato, sembra, proprio da quelle parti, nel Sultanato di Oman, dopo essere stato a Teheran. Qualcuno sostiene che era latore di una lettera conciliante di Trump al leader persiano. Una coincidenza curiosa.

Poi, c’è stato una specie di miracolo, sembra: nessun inquinamento e nessun ferito.  La marina iraniana avrebbe tratto in salvo gli equipaggi al completo. Però, le varie TV hanno trasmesso immagini delle petroliere in fiamme.

Cosa c’è dietro tutta questa storia? Se le due petroliere sono state “colpite”, qualcuno l’ha fatto avendo un obiettivo preciso. Chi ha interesse a suscitare questo casino?

Tra la costa iraniana e quella araba non corre buon sangue. Guardando la cartina, a sinistra ci sono il Kuweit, Baherein, il Quatar, gli Emirati arabi e il Sultanato di Oman, tutti Paesi a maggioranza sunnita, in genere, di osservanza wahabita, tutti fedeli alleati dell’Arabia Saudita, ad eccezione del Qatar che, accusato di fomentare e finanziare il terrorismo, ha buone relazioni con Teheran e contesta la leadership saudiana. Dall’altra parte della costa c’è l’Iran, che è di osservanza sciita.

Fra l’Arabia Saudita e l’Iran c’è una guerra in corso non dichiarata. La guerra si svolge in un Paese fra i più disgraziati del mondo, lo Yemen. Gli Yemeniti sono divisi in due fazioni religiose contrastanti. Da cinquant’anni si ammazzano fra loro per svariate ragioni. L’ultima, quella attuale, è che una parte della popolazione è di osservanza sciita, come in Iran, e dall’Iran è aiutata a combattere contro altri Yemeniti, di osservanza sunnita, foraggiati dall’Arabia Saudita.

I rapporti USA-Iran sono altrettanto tesi. Ragioni politiche contingenti hanno visto Americani e Iraniani combattere assieme contro i Jihadisti e il Califfato islamico in Iraq e in Siria, ma la volontà di Teheran di diventare un Paese nucleare è un ostacolo molto forte a una ripresa delle relazioni diplomatiche con Washington, dopo l’abbandono dell’accordo nucleare con l’Iran da parte di Trump e le conseguenti sanzioni americane.

Tornando al Golfo Persico e all’incidente delle petroliere, incidente che ha fatto rialzare di quasi 5 punti il prezzo del greggio in tutto il mondo, la domanda cui nessuno dà una risposta è perché e a chi giova.

Prima di tutto, giova ai produttori di greggio, perché guadagnano di più, ma è l’ipotesi meno credibile.

Non giova all’Arabia Saudita, perché il blocco dei traffici navali danneggia tutti i Paesi del Golfo, alleati di Riad.

Potrebbe giovare agli Stati Uniti, come dimostrazione di forza, tanto per intimidire Teheran e far capire che la flotta americana è in grado di bruciare tutti i ponti attorno all’Iran.

Potrebbe giovare all’Iran, interessato al controllo delle acque del Golfo Persico, così importanti dal punto di vista economico, sia come segnale di espansione d’interesse politico sia dal punto di vista militare: sugli Stretti non si passa se non vuole Teheran. Più volte, in risposta alle sanzioni americane, Teheran ha minacciato la chiusura dello Stretto di Hormuz.

Ma sono tutte ipotesi da quattro soldi.

Intanto, Cina e Russia si affrettano a consigliare Washington a non alzare la tensione in Medio Oriente, che è già troppo alta. L’80% circa delle esportazioni petrolifere del Golfo è diretto in Cina e in Giappone. Un rialzo dei prezzi sarebbe un disastro per le loro economie. Ma la questione è particolarmente delicata e i giochi, coperti o scoperti, sono ancora tutti da fare.

L’Europa, che tanto dipende almeno in parte dagli approvvigionamenti petroliferi medio-orientali, al solito, sta a guardare. Se sulle tensioni internazionali fosse così puntigliosa come lo è sui conti italiani, le cose andrebbero decisamente meglio per tutti. Purtroppo, è più facile fare il contabile che fare politica estera.

Roma, 15/06/2019