L’interesse di Salvini a “blindare” i Servizi
E forse non è un caso che ieri sul Corriere sia uscito un articolo in cui si raccontavano i timori del numero due della Lega Giorgetti che evocava una guerra di dossier che coinvolge il mondo dei Servizi. “Si prospettano mesi d’inferno” ha preconizzato Giorgetti, più preoccupato di questo che dei vaccini o del Recovery. Il titolare del Mise ipotizza che dopo gli incontri tra Renzi e Salvini con Mancini usciranno altri dossier preoccupanti, per la guerra che sarebbe in corso tra 007.
Sarà anche per questo che la Lega ora si muove come i renziani: provare a delegittimare Report. Il capogruppo in Vigilanza Massimiliano Capitanio e il deputato Fabrizio Cecchetti attaccano la trasmissione su un servizio del 26 ottobre scorso sulla Regione Lombardia e la gestione dei test sierologici: “Per attaccare la Lega, Report si è affidato a un falso medico”. Peccato che sia falso, come ha spiegato Sigfrido Ranucci: per quel servizio Report non ha mai “né intervistato né menzionato” il medico oggi indagato per abuso di professione.
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Carta straccia
“La condanna di Berlusconi: non ci furono irregolarità”
“Plotone di esecuzione”. Il racconto all’ex premier
Tutto parte dall’audio di Amedeo Franco, che davanti a Berlusconi parla di un “plotone di esecuzione” e di “pressioni”. Il giudice dice anche che era stata fatta “una porcheria” nell’assegnazione del processo alla sezione feriale. Era il 6 febbraio del 2014 e quella registrazione sarà depositata nel 2016 dalla difesa dell’ex presidente del Consiglio nel ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nel 2020 la vicenda ritorna alla ribalta sui quotidiani e in alcune trasmissioni televisive. Il 6 luglio 2020 Sansonetti è ospite di Quarta Repubblica, dove – ricostruiscono i pm – parla della trattazione del processo alla feriale e definisce Antonio Esposito (presidente di quel collegio che condannò Berlusconi) “un giudice sicuramente sospettabile se non altro per essere editorialista del Fatto Quotidiano”. Circostanza vera, Esposito a volte scrive per questo giornale, per i magistrati però – come hanno ricostruito nel corso delle indagini – non ci furono anomalie nell’assegnazione alla feriale. Dopo la trasmissione Esposito presenta un esposto contro Sansonetti. La Procura di Roma indaga per vilipendio Sansonetti (posizione poi archiviata) e svolge anche una serie di altri accertamenti.
Sulla genesi dell’incontro “poca chiarezza”
Per arrivare a Berlusconi, Franco si rivolge all’attuale deputato di Italia Viva, Cosimo Ferri. Per i pm vi è “poca chiarezza” “in ordine alla ‘genesi’ degli stessi incontri, con particolare riferimento al ruolo svolto da Ferri”. E spiegano il perchè: “Lo stesso ha affermato di non avere avuto con il Franco alcuna pregressa frequentazione o rapporto di amicizia, se non una conoscenza occasionale, sicché deve ritenersi quantomeno singolare che quest’ultimo si fosse rivolto proprio al Ferri per chiedergli di accompagnarlo e presenziare ad un appuntamento dal contenuto così delicato e sensibile…”. Una volta davanti all’ex premier parte ciò che i pm definiscono una sorta di “travaglio interiore”: “I colloqui del giudice Franco – è scritto nella richiesta di archiviazione – con Berlusconi dunque, lungi dall’apparire un reale e serio tentativo di ‘riparare a un danno fatto’ per porre fine a un autentico tormento interiore, vanno interpretati come un tentativo di compiacere il proprio interlocutore (non si comprende a quali fini), esonerandosi parimenti dalle responsabilità del proprio operato”.
Feriale: “Illazioni su attribuzione ad hoc”
Altra questione affrontata dai pm romani nella richiesta di archiviazione è l’assegnazione alla feriale e quindi al collegio presieduto dal giudice Esposito. Su questo la Procura scrive: “Nessuna censura o distorsione di sorta appare configurabile in ordine all’attribuzione alla sezione feriale del procedimento in questione, atteso che il periodo feriale indicato nel decreto del Presidente era fissato dal 22 luglio al 14 settembre e che la prescrizione del reato sarebbe maturata il primo agosto, periodo certamente ricadente in quello indicato. Peraltro, anche ove la prescrizione fosse maturata il 14 settembre (così come rettificato dalla Corte di Appello di Milano con successiva comunicazione…) il procedimento sarebbe stato comunque assegnato alla sezione feriale, così come normativamente imposto”. I magistrati poi aggiungono: “Appaiono fuorvianti, illogiche e prive di fondamento le illazioni relative a una ‘attribuzione ad hoc’ alla sezione feriale, cui il procedimento sarebbe stato assegnato sia nel caso in cui la prescrizione fosse maturata al primo agosto 2013, sia nel caso in cui la prescrizione fosse maturata al 14 settembre 2013”. Per questo, secondo i pm, le affermazioni di Franco a Berlusconi (“in effetti là hanno fatto una porcheria, perchè che senso ha mandarla alla feriale?”) costituivano “un tentativo di imbonire il proprio interlocutore, prospettando come elementi di ‘porcheria’ scelte imposte dall’ordinamento”.
Per i pm non ci fu neanche “una forzatura per l’assegnazione del processo alla feriale e più specificatamente al collegio presieduto da Esposito”. E poi aggiungono: “Se è vero che il Presidente Esposito in data 11 luglio 2013 era a conoscenza della diversa data di prescrizione (14 settembre 2013) e che, revocando i provvedimenti in precedenza adottati, avrebbe potuto (non dovuto) individuare altra udienza che consentisse 30 giorni liberi, è vero anche che tale circostanza era patrimonio certo di conoscenza della difesa che sul punto ha interloquito con Esposito”. Infine in un altro passaggio della richiesta di archiviazione, la constatazione dei pm: “La morte del Franco, il tempo trascorso e la connessa prescrizione precludono indagini su eventuali reati intervenuti nel corso dei menzionati incontri”. Qui torniamo, secondo i magistrati, nel campo delle circostanze che non potranno essere verificate. E intanto i legali di Berlusconi hanno depositato a Brescia istanza di revisione di quella condanna definitiva.
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Perché ora Cairo può perdere il “Corriere”
La situazione è questa. Quanto a Rcs, archiviata recentemente anche l’inchiesta penale per usura, le resta solo l’impervia strada di un ricorso contro l’arbitrato. Nel frattempo, però, a New York ripartirà la causa per danni presentata da Blackstone (sempre nel 2018 il contenzioso le ha impedito di vendere il palazzo ad Allianz per 250 milioni): il fondo chiede 300 milioni a Rcs e 300 milioni a Cairo in persona, che però ha ottenuto la manleva totale dal cda dell’azienda che lui controlla col suo 65%. Cifre che la ex Rizzoli è lontanissima dal potersi permettere: capitalizza 400 milioni e non ha appostato neanche un euro al fondo rischi.
Una soluzione, la più razionale, sarebbe un accordo tra le parti, ma difficilmente Blackstone vorrà arrivarci con chi li ha definiti usurai. Per questo a Milano e tra gli altri azionisti forti di Rcs – che non hanno mai amato l’uomo che li aveva messi in mutande nel 2016 – si ricomincia a parlare di una nuova proprietà: Del Vecchio, i Pesenti o chissà chi altro. Una soluzione che non dispiacerebbe neanche a Intesa, che da advisor sarebbe stata – secondo l’accusa – oggettivamente complice dei “cravattari”. Brutte giornate per Cairo, che ha perso l’arbitrato e si trova pure col suo Torino in lotta per non retrocedere in Serie B e una mezza rivolta dei tifosi: potrebbe mai reggere se non fosse più il padrone di Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport?
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L’arsenale in cantina del giudice corrotto che scarcerava i boss
È la domanda cui sta cercando di dare una risposta il procuratore di Lecce, Leonardo Leone de Castris, che, dopo aver arrestato il giudice e un avvocato stimatissimo, Giancarlo Chiariello, in un’inchiesta di mazzette che sembra però l’incipit di un mondo di mezzo (scarceravano i boss per qualche decina di migliaia di euro: ma che lavoro facevano in realtà per loro? Di chi era quel milione in contanti trovato a casa dell’avvocato, in pacchetti sotto vuoto?), si è trovato quasi per caso nel mezzo dell’arsenale.
De Benedictis è un collezionista: era stato già arrestato anni fa e poi assolto in Cassazione. Assoluzione che gli aveva consentito di tornare a fare il giudice. “Con le armi ha evidentemente un rapporto patologico”, raccontano oggi gli inquirenti. Ma, altrettanto evidentemente, è da considerarsi “un trafficante di armi da guerra”, con collegamenti “sia istituzionali che non istituzionali anche di criminalità organizzata, non solo a livello personale”.
La lista del materiale sequestrato è impressionante: il 75%, secondo l’analisi che ne ha fatto Repubblica, sono da considerarsi armi da collezione. Aveva un museo di mitragliatori della seconda guerra mondiale, compresi i rari Mp43 usati dalle Ss. Sono armi che quasi certamente arrivano dalla ex Jugoslavia e, per quanto funzionanti e in grado di fare una strage, sono di difficile utilizzo. “Purtroppo è bello, è storico ma non è efficiente. O meglio, il mestiere lo fa ma è troppo pesante…” diceva non a caso il giudice di un grosso mitragliatore che stava per arrivare. Nell’elenco c’è poi il mitra Franchi 57, arma utilizzata dai mercenari katanghesi nei massacri africani. E il rarissimo mitra Socimi, prodotto negli anni 80 in pochi esemplari. E micidiale. Come gli esplosivi e gli inneschi del giudice, come l’Ar15, il fucile d’assalto, i Kalashnikov, le pistole Cz (usate anche dall’Isis) e altre decine di armi in grado di uccidere.
Quello che emerge dalle indagini è che la collezione è frutto di decenni di raccolta da parte del giudice. Consentita anche da chi, in Cassazione, lo aveva assolto. E che de Benedictis usava tutti i canali illegali per procurarsi le armi. L’armiere ufficiale era un caporal maggiore dell’esercito, Antonio Serafino, ora in carcere. “Tra gli accertamenti da espletare vi sono quelli di una possibile sottrazione di armi all’Esercito – scrive la gip – con il contributo di altri pubblici ufficiali infedeli, che hanno garantito copertura”. C’era anche un’altra persona di primo livello, “mister X”, che aiutava De Benedictis. “L’importante è che non arrivino a quello” si preoccupava il giudice.
È chiaro però che de Benedictis avesse un filo diretto con la criminalità organizzata. Le indagini mirano ad accertare se le comprasse soltanto, magari in cambio di scarcerazioni (le inchieste hanno accertato che il gip aveva venduto la sua funzione, scarcerando mafiosi pugliesi di primo livello). O se le detenesse anche per conto dei clan. Certo, era consapevole della delicatezza della questione: aveva preparato un trasferimento di armi “con l’aiuto di cinque carabinieri”. Avevano organizzato la scorta al carico. “Devi fare le vedette, se là ti prendono con un carico del genere è meglio che ti spari perché si rischiano 20 anni”, diceva De Benedictis. Che, ora, chiuso nel carcere di Lecce, sa che ne rischia anche di più.