DELITTI ALLO SPECCHIO DELL’ITALIA
Giovani vittime e giovani assassini: da Garlasco a Perugia, il Paese dei delitti che non guarisce
(di Ferdinando Terlizzi – Cronache Agenzia Giornalistica)
Un Paese che non smette di contare i morti
L’Italia dei delitti torna a riflettersi, come in uno specchio opaco, nelle cronache di questi giorni.
A Perugia, dove un ventunenne è stato arrestato per l’omicidio di Hekuran Cumani, il sangue scorre ancora una volta per una lite banale, nata da uno sfottò calcistico. È accaduto nella notte del 18 ottobre: un coltello, un colpo al petto, una vita spezzata per nulla. Cumani aveva 23 anni. Dietro l’arresto del presunto assassino, la stessa trama che si ripete: l’assenza di controllo, la sfida, l’orgoglio ferito che diventa delitto.
A pochi chilometri e a distanza di diciotto anni, la stessa città continua a evocare un altro nome che non smette di inquietare: Meredith Kercher. L’ex pubblico ministero Giuliano Mignini, che coordinò allora le indagini, è tornato a parlare. Ha rivelato “un nuovo nome”, qualcuno che sarebbe scappato all’estero dopo il delitto. La ferita del “caso Meredith” – con la parabola giudiziaria di Amanda Knox e Raffaele Sollecito – resta uno dei simboli della difficoltà italiana di chiudere, davvero, le tragedie.
Dal delitto di Garlasco alla fuga di Elia Del Grande
La cronaca non concede tregua.
A Garlasco si torna a discutere sull’orario della morte di Chiara Poggi, uccisa nel 2007. Nuovi elementi – e l’ipotesi di una corruzione – riaprono dubbi che parevano sopiti. Il “romanzo di Garlasco”, come lo ha definito Il Giorno, è diventato un labirinto giudiziario: Dna ignoti, indagati alternativi, e un Paese che osserva ogni sviluppo come fosse una serie televisiva, dimenticando che dietro ogni pagina c’è una vittima vera.
Intanto, da tutt’altra parte d’Italia, un nome riemerge dalle cronache nere: Elia Del Grande, condannato per triplice omicidio, è evaso. La notizia, riportata da Il Fatto Quotidiano, scuote l’opinione pubblica: come può un pluriomicida sparire nel nulla?
Anche qui, la memoria ritorna a casi simbolo – il “mostro” che fugge, la paura che risale alla superficie. La cronaca italiana non dimentica mai del tutto.
Delitti in famiglia, silenzi e ombre
C’è poi la tragedia dei delitti domestici, quelli che avvengono dietro le porte chiuse.
A Bologna, la figlia del medico Giampaolo Amato, condannato all’ergastolo per l’omicidio della moglie Isabella Linsalata e della suocera Giulia Tateo, ha scritto una lettera aperta: “Mio padre non è un mostro, ma un uomo malato e disperato”.
Parole che riportano a un dolore privato e insieme collettivo, a quella zona grigia dove la cronaca incontra la pietà. Sono storie che rivelano l’altra faccia del delitto italiano: non solo il sangue, ma la solitudine, la follia, il crollo dei legami familiari.
L’Italia dei casi senza colpevole
Secondo un recente dato riportato da L’Identità, quasi un quarto degli omicidi in Italia (23,9%) resta senza un colpevole.
Dietro questa percentuale c’è un sistema che spesso non riesce a dare risposte: indagini difficili, depistaggi, archiviazioni che lasciano sospesi i familiari delle vittime. È il silenzio dei “delitti senza volto”, quelli che non trovano soluzione e si dissolvono nella memoria collettiva.
Ogni generazione, in fondo, ha i suoi delitti-simbolo: da via Poma a Cogne, da Avetrana a Garlasco, fino a Perugia. Diversi nei dettagli, uguali nella dinamica mediatica: l’attenzione spasmodica, i processi paralleli sui social, il fiume di parole che si spegne solo quando arriva un altro caso.
Una società che si specchia nel sangue
I delitti, oggi, sono più che cronaca: sono specchi sociali.
Ogni omicidio racconta una frattura collettiva. I giovani che uccidono per uno sfottò, i genitori che si trasformano in carnefici, i processi che diventano spettacolo: tutto questo compone un mosaico inquietante dell’Italia contemporanea.
Eppure, in questa ripetizione di orrori, resta un filo sottile di responsabilità comune. Quella di una società che osserva, commenta, dimentica – ma raramente si interroga.
Il delitto come fotografia del tempo
Da Garlasco a Perugia, passando per Bologna, le cronache di novembre raccontano un Paese che continua a fare i conti con se stesso.
Ogni caso è diverso, ma tutti parlano dello stesso vuoto: la fragilità dei rapporti, l’assenza di limiti, la perdita di controllo.
Come scriveva Leonardo Sciascia, “ogni delitto dice qualcosa del potere e della paura”.
E forse è proprio qui che l’Italia dei delitti trova la sua immagine più nitida: non nel sangue, ma nello specchio in cui tutti, prima o poi, siamo costretti a guardarci.
Cronache – Agenzia Giornalistica
(Bollettino speciale sui delitti italiani, novembre 2025)









