Uno dei capitoli centrali su cui lavorano i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano con la Procura di Pavia per ricostruire la scena del crimine e la dinamica dell’omicidio di Chiara Poggi è la cucina della villetta di Garlasco. Un dato rimasto sotto traccia, ma che ora emerge dagli ultimi accertamenti. La cucina, viene spiegato al Fatto, presenta una serie di anomalie che certamente vanno valutate. “Tutta la fotografia della cucina è strana”, è detto a più riprese. La posizione di chi indaga, dunque è netta. E le argomentazioni degli inquirenti mettono sul piatto una concreta possibilità di sviluppi. Il senso del ragionamento è questo: quell’ambiente dovrà essere valutato anche in relazione alla ricostruzione della dinamica dell’omicidio. A quel punto, infatti, si potrebbe effettuare una valutazione più attendibile e circostanziata sia sulla presenza immediatamente precedente all’aggressione, sia sul numero degli autori.
Se la cucina è un primo dato inedito, il secondo è la foto agli atti dell’indagine alternativa che ritrae un cestino all’interno della casa con dentro cellulare, mazzi di chiavi, il telecomando per attivare e disattivare l’allarme, e una chiavetta Usb, quella dove Chiara aveva raccolto le sue ricerche sugli abusi sessuali all’interno della Chiesa americana. Ora, però, dalla foto scattata il 13 agosto 2007 nelle ore successive alla scoperta del cadavere, la chiavetta risulta essere posta sopra al telecomando dell’allarme. Su questo si interrogano gli inquirenti. Se Chiara usa il telecomando per disattivare l’allarme alle 9:12 e pochi attimi dopo viene aggredita, come può essere finita la chiavetta in quella posizione?
Ma andiamo con ordine. La cucina prima di tutto. Due foto scattate il 13 agosto ritraggono il tavolo e le sedie della cucina. La posizione delle tre sedie, secondo la nuova inchiesta che vede indagato Andrea Sempio in concorso con ignoti, può dire molto di quella mattina. Tutte sono poste con angolazioni oblique e spostate dal tavolo, come a raccontare di tre persone sedute. Uno di questi soggetti forse poi era nervoso e sminuzzava un fazzoletto di carta, i cui pezzettini sono visibili sulla tovaglia. Di quelle tre sedie solo una fu repertata. Poco più indietro, su un mobiletto di legno, si osserva il portacenere, ritrovato con tracce di cenere. Per quel che risulta agli inquirenti, nei capelli di Chiara era presente nicotina. Il papà Giuseppe era all’epoca un fumatore, ma si trovava in Trentino dal 5 agosto. Gli inquirenti lavorano poi su diverse tracce. Quattro tra palmari e papillari. Sono la 13: contatto quadruplice sull’anta della cucina, la papillare 57 sul mobiletto della tv, la 58 palmare sul pensile sopra al frigo e la 59, una digitale verso la parete con la finestra. Queste quattro nel 2007 furono definite “di nessuna utilità”, ma potrebbero svelare un’identità se ci fosse un match su i reperti che si stanno analizzando nella nuova inchiesta.
Poi ve ne sono altre due analizzate con il test per il sangue. La 56 sulla tovaglia con esito negativo, e la 61 trovata sul mobiletto sotto al microonde che rivela il sangue della vittima. Un dato, quest’ultimo, ritenuto importante per capire i fatti svoltisi in cucina. Sono poi otto le tracce di scarpe individuate e all’epoca ritenute non definibili. Tutte sono tra il salotto e all’interno della cucina. In particolare le tracce nominate c1, c2, c3, c4 tutte rilevate “tra porta e tavolo della cucina” sono molto evidenti. La c2, pur definita non misurabile nel 2007, mostra l’intera forma con un disegno a pallini accentuato. Gli inquirenti si concentrano poi sulla c3, un gruppo di tracce che sembra evocare movimenti convulsi di più piedi.
Insomma, se la cucina nella nuova scena del crimine può confermare l’assunto investigativo che in casa Poggi quella mattina ci fossero più persone, la posizione della pennetta Usb sembra poter aprire altri scenari rispetto all’orario in cui si ipotizza sia iniziata l’aggressione. E però, così come per il telefono nel cui vano della cornetta fu individuata una traccia di sangue, anche per la Usb, la cui posizione è ritenuta cruciale dagli inquirenti, non furono prese le impronte.


Siamo finiti a parlare del Fruttolo. A rimanere appesi alla verità che solo un Fruttolo può rivelare. Ad attendere che quel vasetto, dopo 18 anni, finalmente parli. A sperare che questo oracolo gusto fragola chiarisca le idee a noi e, soprattutto, a chi sta indagando, perché la sensazione è che l’attesissimo incidente probatorio – fin qui – non abbia riservato sorprese.
Non c’era materiale ematico nell’impronta 33 e – a quanto pare – non c’è neppure sull’impronta 10, che doveva essere il jolly dell’accusa. Su quest’ultima impronta trovata sulla parte interna della porta d’ingresso di casa Poggi si reggeva infatti buona parte della tesi del famoso omicidio in concorso. E invece niente, non è di Sempio, non è di Stasi, non è di alcun membro della famiglia Poggi. E non è insanguinata. Arrivati a questo punto potrebbe essere di un testimone di Geova, o di Fabrizio Corona.
L’ultima speranza a cui rimangono flebilmente aggrappati la procura, la difesa di Alberto Stasi e gli innocentisti da bar, è l’immondizia. Perché Chiara – quella mattina – con t-shirt e micro-pantaloncini del pigiama potrebbe aver fatto colazione con i suoi assassini. I quali, diabolici, mentre consumavano un Fruttolo gusto fragola e banana, aspettavano che lei si voltasse per colpirla alle spalle con un alare da camino. Del resto è plausibile che un finto amico sia entrato in casa Poggi il 13 agosto con 37 gradi con un alare da camino sotto braccio e alla povera Chiara non sia sembrato strano. Ma no, non era un alare da camino. Forse era una stampella. Con cui forse l’assassino ha perfino mescolato il contenuto del Fruttolo. Nel vasetto troveranno il Dna della stampella.
O magari l’arma era davvero un martello con cui l’assassino, prima di fare colazione, ha sbriciolato i cereali da mettere nel Fruttolo. Che poi, non dimentichiamolo, l’arma del delitto poteva anche essere una mazzetta da muratore, e in quel caso è evidente che chi è entrato lavorava in un cantiere. Magari, come ipotizzato da Lercio, l’assassino è davvero Bossetti in concorso con le gemelle Cappa, le sorelle Boccoli, i fratelli Karamazov, Milo Infante e Andrea Sempio, che comunque sta sempre bene su tutto. Del resto, ricordo che all’inizio di questa vicenda Sempio – secondo i giornali – “era ossessionato da Stasi”, salvo poi apprendere che Sempio e Stasi neppure si erano mai incrociati nella vita. Comunque se proprio il Fruttolo non ci dovesse parlare, c’è ancora l’Estathè e se anche l’Estathè si trincerasse dietro un ostinato silenzio, c’è la buccia di banana. E mi stupisco che i difensori di Stasi non abbiano ancora avuto l’idea di inserire nella lista dei possibili sospettati tutti gli scimmioidi di zona. Per prudenza, pare che al Parco naturale di Bussolengo, anche se non vicinissimo a Garlasco, tutti gli scimpanzé abbiano già contattato un avvocato.
Si attende dunque la nuova prova in mano alla procura – quella che metterà a tacere gli scettici su questa nuova appassionante indagine – nel frattempo l’incidente probatorio ha riservato un unico colpo di teatro: mentre si cercava di far luce su Garlasco una volta per tutte, nella questura di Milano è andata via la luce. Nel vero senso della parola, al punto che i continui black-out hanno rallentato gli esami durati alla fine più di 10 ore. Ovviamente, ospite di Del Debbio, l’avvocato De Rensis sosterrà che quando si è spenta la luce di botto il generale Garofano, consulente di Sempio, ha leccato lesto il vasetto di Fruttolo per confondere i genetisti. Specificando che non vuole accusare nessuno, in verità, e che comunque Garofano è un gran bell’uomo.
A proposito: l’avvocata di Alberto Stasi, Giada Bocellari, all’uscita dall’incidente probatorio era sola ad affrontare l’esercito di giornalisti curiosi di conoscere l’esito degli esami. De Rensis, quando bisogna dare cattive notizie, diventa improvvisamente allergico alle telecamere. E in effetti, anche la sua collega sempre spavalda, quella che fino a pochi giorni fa parlava con supponenza di “impronta 33 carica di materiale biologico”, ha farfugliato con aria sconfitta e affranta: “Io non sono una genetista…”, “La banana per 8 mesi era insieme ad altri reperti… se ci darà dei dati bene, altrimenti…”, “Se non ci sarà Dna ne prenderemo atto e la procura farà la sua valutazione…”. “L’incidente probatorio si fa per l’acquisizione dei dati scientifici, non c’è una vittoria o una sconfitta…”, “I risultati sulla presenza di sangue nelle impronte erano tutti negativi, era ovvio, si vedeva già dalle foto, l’unico dubbio personalmente ERA… è sull’impronta 10”. Insomma, ci mancava solo che dicesse: “Va bene è stato Stasi. Scusate”. E corresse via piangendo. De Rensis intanto ha trovato il nuovo storytelling da portare in tv: il giallo della cornetta del telefono. Siccome – secondo lui – c’erano due macchie di sangue da schizzo sotto la cornetta del telefono, “è emerso un dato che potrebbe riscrivere la dinamica dell’aggressione, perché quelle macchie non potevano essere in quella posizione!”, ha dichiarato. Ma anche questo elemento d’indagine è quantomeno controverso: secondo la criminologa Roberta Bruzzone, di macchia ce ne è una sola, perché sotto la cornetta c’è una fessura e lo schizzo di sangue è passato attraverso la fessura. In ogni caso, non penso che questo elemento riscriverà la dinamica del delitto. Ma, al massimo, la scaletta delle nuove ospitate in tv di De Rensis.
Non so voi, ma arrivati fin qui, vorrei aver sognato tutto. Come l’avvocato Lovati e la pista degli esorcismi nel santuario.