OMICIDIO PLURIAGGRAVATO, 23 ANNI DI RECLUSIONE: NESSUNA PROVVISIONALE, AGGRAVANTI EQUIVALENTI ALLE GENERICHE. IN APPELLO SI PUNTA SUL VIZIO PARZIALE DI MENTE

Ventitré anni di reclusione per ventidue coltellate mortali. La sentenza di condanna per il militare Paolo Scarano  – per il delitto commesso a settembre 2023 –  è arrivata quasi come un conteggio: poco più di un anno per ogni fendente inferto al corpo della vittima, Paolo Menditto, un pusher di Aversa di 56 residente alle palazzine di via Saportio. Ma dietro i numeri resta l’eco brutale di una violenza che nessuna matematica può davvero spiegare: una sequenza serrata di colpi, culminata con quelli al cuore, risultati fatali.

Nonostante la gravità dei fatti — un omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dalla crudeltà — la pena inflitta è stata contenuta in 23 anni, appena due in più del minimo edittale previsto per l’omicidio semplice, che va da 21 anni all’ergastolo. Una scelta che apre scenari rilevanti per l’impugnazione della sentenza.

La Corte di Assise di Napoli – dove si è svolto il processo in quanto a Napoli Nord non è ancora attiva – ha riconosciuto le aggravanti contestate, ma le ha ritenute equivalenti alle attenuanti generiche, non richieste dal pubblico ministero. Di conseguenza, non si è verificato un aggravamento ulteriore della pena. Inoltre, non è stato riconosciuto alcun risarcimento a titolo di provvisionale alle parti civili: l’unica somma liquidata riguarda l’onorario del difensore, pari a 7.000 euro. I familiari della vittima sono stati assistiti dall’avvocato Mario Griffo.

Secondo la ricostruzione degli investigatori, Scarano avrebbe agito in preda a una gelosia delirante, dopo aver scoperto che la ragazza conosciuta pochi giorni prima — tossicodipendente e senza fissa dimora — riceveva dosi di droga gratuite da Menditto in cambio di prestazioni sessuali.

Al centro della strategia difensiva in appello, portata avanti dagli avvocati Natalina Mastellone e Giuseppe Cipullo, c’è il vizio parziale di mente, non riconosciuto in primo grado nonostante una consulenza psichiatrica depositata agli atti. Lo psichiatra incaricato dalla difesa, prof. Raffaele Sperandeo, figura di spicco nelle aule delle Corti d’Assise campane, ha diagnosticato all’imputato un disturbo antisociale di personalità sulla base di test psicodiagnostici standardizzati.

La Corte, tuttavia, non ha disposto alcuna perizia d’ufficio e il pubblico ministero non ha nominato un proprio consulente. In assenza di valutazioni tecniche alternative, la mancata considerazione della perizia della difesa potrebbe configurare un vizio procedurale rilevante, in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale delle Sezioni Unite, secondo cui una consulenza tecnica di parte può essere superata soltanto da un’altra valutazione tecnica — e non da una generica motivazione discrezionale.

Il profilo psichiatrico dell’imputato si inserisce in un contesto personale fortemente compromesso: una relazione appena nata con una persona fragile, gli spostamenti frequenti legati al servizio militare, l’abuso di sostanze, e una lunga serie di messaggi inviati ad amici nei giorni precedenti il delitto, in cui Scarano chiedeva aiuto e confessava di non riuscire a controllarsi. Segnali inequivocabili di un disagio psichico preesistente, acuitosi nelle settimane immediatamente antecedenti al delitto.

Ulteriori elementi a favore della linea difensiva sono rappresentati dal comportamento dell’imputato: ha collaborato con gli inquirenti fin dal primo momento, ha ricostruito i fatti e in carcere ha sempre mantenuto una condotta esemplare, tale da essere considerato un detenuto modello.

Il mancato riconoscimento del vizio parziale di mente, in un contesto dove la pena è comunque rimasta contenuta, lascia ampi margini d’intervento in secondo grado. La prospettiva è quella di una possibile riduzione ulteriore della pena, qualora una perizia ufficiale accerti l’effettivo disturbo psichico dell’imputato al momento del fatto.

In definitiva, si tratta di una condanna pesante, ma che non chiude affatto la vicenda giudiziaria. La struttura della sentenza — che ha evitato il massimo della pena, ha escluso la provvisionale e ha ignorato la perizia psichiatrica — apre a un secondo grado destinato a riaccendere il dibattito, sia tecnico che giuridico, su uno dei casi più inquietanti degli ultimi anni