Montella (Avellino), 1922 fu ucciso un giornalista e l’amante di uno dei presunti mandanti. Felice Sarni, ritenuto unico colpevole dell’uccisione di entrambi, veniva però prosciolto per totale infermità di mente di Ferdinando Terlizzi (*)

La sera del 22 febbraio 1922, una sera buia e piovosa, in Montella (Avellino), Ferdinando Cianciulli, fervente socialista, segretario della federazione provinciale irpina del partito socialista, consigliere del Comune e direttore di un battagliero giornale di propaganda Il grido degli umili, uscendo da un caffè gestito da tal Enrico Pizza, fu fatto segno ad un colpo di arma lunga, sparatogli contro da un individuo in agguato dietro un muro, distante dalla porta del caffè circa trentacinque metri. Il muro è alto oltre due metri, ed il fucilatore, per portarsi al livello del ciglione, si era servito di una scala. Il delitto fu consumato alle ore 19,30 circa.
Accorsero presso il ferito alcuni pietosi e lo trasportarono subito nella sua casa, ove egli, più tardi, interrogato dal Pretore, disse di non aver riconosciuto l’assassino, ma indicò come mandanti del delitto due famiglie: Varallo-Sarni, e dopo poche ore cessò di vivere. Giova a questo punto ricordare anche, che il Cianciulli in quindici anni e più di vita del suo giornale aveva condotto costantemente aspre campagne contro tutte le amministrazioni, del suo paese – ed anche di paesi vicini – fustigando con aspri attacchi personali gli esponenti più rappresentativi di esse. Inoltre, aveva fatto sempre altro particolare bersaglio dei suoi attacchi, il clero, molto rispettato a Montella.
E tale sua attività, aggressiva contro moltissime persone, gli aveva più volte procurato minacce; e una sera del 1911 subì una violenta bastonatura ad opera di sconosciuti, e che dette luogo ad un processo, nel quale gli incolpati furono assolti, per insufficienza di prove. In base alla dichiarazione del Cianciulli i carabinieri traevano in arresto tutti gli uomini della famiglia Varallo, che si trovavano in quel tempo a Montella: e cioè Salvatore, 65 anni, commerciante; un primo figliuolo di lui, a nome Antonio, ufficiale postale; un secondo figliuolo, Cesare, impiegato nelle ferrovie e soldato nel 2° regg. Granatieri, giunto in licenza il giorno prima, e un terzo figlio, Gerardo, studente universitario. Il giorno dopo, su mandato di arresto del Pretore, fu anche catturato l’avv. Antonio Sarni, marito di Antonietta Varallo, figlia di Salvatore Varallo e sorellastra dei figli di costui. Il Sarni fu arrestato alla stazione di Montella, mentre tornava da S. Angelo dei Lombardi, ove, dinanzi a quel Tribunale, aveva trattato nei giorni 22 e 23 febbraio alcune cause.
Egli era quindi assente da Montella, quando fu consumato il delitto; il Salvatore Varallo invece vi era giunto da pochi minuti, reduce da Avellino, dove si era recato la mattina. E la causale attribuita all’assassinio? Il 9 novembre 1920 la moglie del Sarni, figlia della prima moglie di Salvatore Varallo, aveva affrontato, assieme al figlio sedicenne Felice la maestrina comunale Gina Ceccacci, notoria amante del marito; e, durante un concitato, diverbio avvenuto tra le due donne, il Felice Sarni aveva esploso un colpo di rivoltella contro la Ceccacci, freddandola all’istante.
La Varallo, donna di grande energia in esilissimo corpo, si era data subito a gridare: L’ho fatta, ho ucciso la Cecacci. Mi ha rovinato tre figli. Quindi, entrambi, madre e figlio, si erano dati alla latitanza. I due furono arrestati il 10 gennaio 1922, nascosti in un cassettone in casa propria, dopo avere, pare, peregrinato per diversi paesi. Si determinarono così tre processure: una per omicidio premeditato in persona della Gina Ceccacci a carico di Antonietta Varallo e di Felice Sarni; un’altra per omicidio premeditato in persona di Ferdinando Cianciulli a carico di Antonio Varallo e Cesare, quali esecutori, e di Salvatore Varallo e Antonio Sarni, quali mandanti; una terza a carico di Virginia Carbone e Raffaele Di Giacomo per calunnia. Varallo Gerardo veniva prosciolto dalla Sezione di Accusa. Così il processo veniva incardinato alla I Corte Straordinaria di Assise di quest’ultima città, con la presidenza del comm. Raffaele De Filippis. Il dibattimento fu iniziato il 5 febbraio 1925 ed il verdetto e la sentenza si ebbero il 28 settembre consecutivo. E’ stato così uno dei più lunghi dibattimenti, che si siano svolti, dopo il processo Cuocolo. I giurati napoletani assolvevano tutti gli imputati con votazione quasi unanime. Il Felice Sarni, ritenuto unico colpevole dell’uccisione della Ceccacci, veniva anch’egli prosciolto per totale infermità di mente. Gli avvocati discussero ciascuno sette ore, e, in una causa che permetteva dense discussioni d’interi giorni, fu esempio di sintesi. A titolo di onore ricordiamo i nomi di tutti gli avvocati della causa. La parte civile Ceccacci fu rappresentata dagli avv.ti Ettore Cucciolito, Enzo Lucà, Giovanni de Leo e Matteo Schiavone Palumbo. Antonio Carbone, costituito parte civile contro i coniugi Carbone di Giacomo, fu assistito dagli avv. Franz Zaccaria e Guido de Ruggiero. Ganganelli, p. c. contro gli stessi coniugi, fu assistito dall’avv. Gaetano Auriemma. La vedova Cianciulli, dagli avv. Oreste de Cicco, Guido Cocchia, Alfredo Sandulli e sen. Gennaro Marciano. Difesero Felice Sarni gli avv. Eduardo Grella, Vincenzo Ferrante, e Francesco Saverio Siniscalchi: Antonietta Varallo fu difesa dagli avv. Elio Mazza e Luigi Goglia. I coniugi Carbone di Giacomo furono difesi dagli avv. Gennaro Saitta, Nicola Salerno, Bartolomeo Giglio e prof. Giovanni Lombardi. Difensori degli imputati dell’omicidio Cianciulli, gli avv. Gaetano Grimaldi-Filioli, Camillo Gurgo di Castelmenardo, Francesco Amatucci, Ettore Botti, Guido Coco, Gino Sarrocchi ed Alfredo de Marsico.
(*) Fonte, Alfredo de Marsico, Arringhe, Vol. I°, Jovene Editore Napoli, 1963

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