Clamoroso

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Il gran tabù dell’Antimafia: silenzio sulle stragi del ’93

L’unico obiettivo sembra quello di trovare un nesso tra la bomba di via D’Amelio e la solita inchiesta “Mafia e Appalti”

Le stragi del 1993 che hanno insanguinato l’Italia continentale, il loro movente, la connessione con la stagione precedente delle stragi in Sicilia del 1992 sono un tabù per l’Antimafia guidata da Chiara Colosimo. Come le questioni relative ai rapporti tra la mafia e la politica nel passaggio tra prima e seconda repubblica nei primi anni ‘90. Questi temi non interessano l’attuale Commissione Parlamentare o meglio chi la guida e ne detiene il controllo. L’unico tema che interessa è la ricerca di un nesso tra la strage di via D’Amelio (e solo quella) con l’azione timida della Procura di Palermo sul rapporto di indagine ‘mafia e appalti’ del ROS dei Carabinieri.

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Ieri si è svolta questa scena a Palazzo San Macuto: un generale in pensione, Mario Mori, si è visto porre da due membri della commissione di inchiesta (rappresentanti del popolo, ancorché in minoranza) la garbata richiesta di dire la sua sul legame tra via D’Amelio e le stragi del 1993 e sui reali interessi politici di Cosa Nostra in quegli anni. Domanda non solo ammissibile ma inevitabile. Basti dire che la strage Borsellino nel 1992 è opera di Giuseppe Graviano, il boss delle stragi di Firenze e Milano e dell’attentato all’Olimpico di Roma, fallito il 23 gennaio 1994, tre giorni prima del suo arresto a Milano.
Da anni il generale Mori e il suo collaboratore dell’epoca, il colonnello Giuseppe De Donno, con libri e interviste connettono il movente di via D’Amelio all’interesse di Borsellino per la loro indagine mafia-appalti. Tesi mai dimostrata ma cara a buona parte del centrodestra. La Commissione Colosimo ha scelto una linea di ricerca che sposa le tesi di Mori e la convocazione dei due ex ROS è il botto finale dopo i fuochi delle audizioni pregresse.

Mori ha ribadito la sua lettura dei fatti, contenuta in una relazione consegnata alla Commissione e oggetto di una contro-relazione del gruppo M5S di cui ci occupiamo a fianco. Walter Verini e Giuseppe Provenzano del PD hanno cercato di riportare al centro la logica e i fatti. Hanno chiesto a Mori cosa pensasse delle bombe del 1993-94 e della connessione evidente con la strage di via D’Amelio; del rapporto tra mafia e politica in quegli anni che non può essere ridotto al tema degli appalti. Mori ha evitato di rispondere a Verini opponendo la ‘regola di San Tommaso’. Provenzano ha riproposto le domande invitando Mori a fregarsene del ‘non vedo non credo’ fornendo invece le sue valutazioni sui temi sollevati da Verini. Provenzano ha chiesto soprattutto a Mori di dire la sua su Marcello Dell’Utri e Antonio D’Alì, due politici di FI condannati per concorso esterno mafioso e poi gli ha riproposto il tema principale: “il legame tra le stragi del 1992 e quelle del 1993 (…) difficilmente può essere mafia-appalti”. Poi, dopo essersi lamentato del clima da ‘fan zone’ con gli applausi a Mori, il deputato Pd ha chiuso con un pò di veleno chiedendo a Mori “se anche in altre funzioni, al SISDE (servizio segreto civile guidato dal generale con Berlusconi nel 2001-2006, Ndr) ha avuto modo di entrare in contatto con i fratelli Graviano”. La presidente Colosimo alla fine ha redarguito Provenzano: “i qui presenti non sono sottoposti a interrogatorio quindi è loro libertà decidere se rispondere; non è carino imboccare gli auditi con le risposte (loro) sono qui per indicare perché Borsellino ha indicato la Procura di Palermo come un covo di vipere non per far suggestioni sull’allora situazione politica. Ferma restando la liceità delle domande la prego di avere rispetto delle risposte che vogliono o non vogliono dare (…) è mio dovere mantenere il motivo dell’audizione”. Un richiamo stonato con quanto era accaduto prima. Il deputato De Corato di FDI ha potuto citare il libro dei due auditi chiedendo chi fosse ‘l’architetto’ del passaggio alla seconda repubblica. Il leghista Gianluca Cantalamessa ha chiesto dell’indagine napoletana del ROS nel 1996 sugli appalti TAV. E de Donno ha concionato liberamente per 15 minuti sulle gesta dell’infiltrato del ROS Verricchio-Paticchio, con verve salernitana. La presidente lo ascoltava colpita dalla ‘geniale’ indagine senza domandarsi cosa c’entrassero quelle gag ambientate nel 1996 con la strage che ha insanguinato Palermo nel 1992. Però quando i membri del PD hanno osato chiedere a Mori di rispondere alle domande sulle stragi del 1993, su Dell’Utri e la politica, Colosimo è intervenuta. Non erano domande astruse. Dell’Utri è stato condannato per i suoi rapporti con Cosa Nostra ed è indagato per le stragi del 1993 realizzate da Graviano come quella di via D’Amelio.

Mori non ha risposto, come era suo diritto. Quel che non torna è la limitazione di ciò che è ‘carino’ con la scusa dell’oggetto dell’audizione. Forse bisogna davvero cominciare a parlare di un conflitto di interesse in Antimafia. Non quello sollevato dal centrodestra contro i senatori Roberto Scarpinato e Federico Cafiero De Raho per quanto fatto nel loro ruolo precedente di magistrati.
Il conflitto di interesse che ieri è emerso è quello del centrodestra e di Mori. Perché oggi il generale è indagato dalla Procura di Firenze per concorso nelle stragi del 1993 a Firenze e a Milano e per gli attentati di Roma del 1993 e 1994, indagine nella quale era indagato fino alla sua morte il leader ventennale del centrodestra Silvio Berlusconi e resta indagato Marcello Dell’Utri, cofondatore di Forza Italia.