La doppia vita di Emanuele De Maria: da Bollate a Cadorna, alla reception dell’hotel e di notte in cella

di Matteo Castagnoli e Cesare Giuzzi

Quando l’omicida in fuga Emanuele De Maria ha raccontato la sua esperienza di detenuto nel programma di Mediaset «Confessione reporter»:

La doppia vita di Emanuele De Maria: da Bollate a Cadorna, alla reception dell’hotel e di notte in cella

De Maria è uno dei 200 detenuti di Bollate che godono del permesso di lavorare all’esterno

 

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Non lo definirei lavoro. Lo faccio con passione, perché stare a contatto con clienti diversi mi rende libero. Dà un senso alla mia quotidianità». Emanuele De Maria, napoletano di 35 anni, parla da dietro il bancone della reception dell’hotel Berna, in via Napo Torriani. È in «divisa»: cravatta arancione, completo scuro e targhetta con il nome sul petto. Lo scorso 30 novembre ha raccontato la sua storia di detenuto-impiegato alle telecamere di Mediaset. Da poco più di un anno era dipendente del quattro stelle vicino alla Centrale. Il servizio segue le giornate dei carcerati con il permesso di lavorare fuori. Ma da venerdì De Maria è evaso. Era in cella per omicidio. L’ultimo avvistamento è l’aggressione a coltellate con cui ha mandato in terapia intensiva il barista del Berna.

La doppia vita di Emanuele De Maria: da Bollate a Cadorna, alla reception dell’hotel e di notte in cella

«A mio parere sta andando molto bene. Mi sento molto accettato da parte dei colleghi. Il feeling è positivo», spiegava in tv De Maria. Poi l’inquadratura si stacca. E il 35enne inizia a dare indicazioni in inglese a un cliente. Il ricercato parla cinque lingue. Ha una moglie e una figlia in Olanda (in quella zona infatti era fuggito nel 2016 dopo aver ucciso Oumaima Rache a Castel Volturno). Era stato condannato a 14 anni e tre mesi. La pena sarebbe finita a dicembre 2030. Intervistato, il 35enne si riferiva alla sua storia come un «percorso travagliato», passando da Secondigliano («venivi gettato in una cella sovraffollata e dimenticato lì») fino ad essere trasferito a Bollate, dove le cose erano cambiate: «Qui la dignità è ripristinata. La fiducia accarezza anche l’anima», raccontava sorridendo. Adesso è in fuga e la polizia e i carabinieri gli danno la caccia. Su di lui c’è anche il sospetto che possa aver ucciso un’altra collega, Arachchulage Dona Chamila, scomparsa sempre venerdì. Il 35enne andava a lavoro seguendo un percorso obbligato cinque giorni su sette: Rho, poi M1 fino a Cadorna e M2 verso la Centrale. Aveva un’ora e mezza sia per arrivare al Berna che per tornare. Pausa pranzo di un’ora. Poteva incontrare alcune persone autorizzate. Giovedì era in ferie.

Nel servizio tv poi compare anche il responsabile della reception. Che parlando di De Maria dice: «Lui non viene per lo stipendio. Viene per la sua libertà, per il suo riscatto. È contentissimo». De Maria è uno dei 200 detenuti di Bollate che godono del permesso di lavorare all’esterno (40 quelli in semilibertà). E finora non aveva mai dato problemi.

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È finita male, nel peggiore dei modi possibili. Ed è finita nel modo più platealmente tragico la fuga di Emanuele De Maria: con un lancio nel vuoto da una delle terrazze del Duomo di Milano. Ma non è finita: perché pochi minuti dopo il suo suicidio è arrivata anche la notizia del ritrovamento del corpo senza vita della dipendente dell’hotel Berna che era misteriosamente scomparsa venerdì; il suo cadavere affiorava dalle acque di un laghetto del Parco Nord della città.
De Maria e Chamila Wijesuriyauna si sono portati via per sempre la verità di una storia che ora potrà essere ricostruita, forse, solo dall’unico sopravvissuto di questa tragedia: il 51enne italo-egiziano ferito gravemente a coltellate dal detenuto che godeva di un permesso di lavoro, nonostante il gravissimo precedente penale e la condanna per l’omicidio di una ragazza nel Casertano.

L’ORRORE

La sequenza che sconvolge i termini di questa assurda storia si consuma all’improvviso, e in meno di un’ora. Attenzione agli orari. Alle due del pomeriggio il 35enne di origini napoletane riesce incredibilmente a guadagnare – nonostante i controlli serrati e la caccia aperta che gli davano le forze dell’ordine – uno degli ingressi del Duomo, sale su una delle alte terrazze e, sotto gli occhi di decine di testimoni terrorizzati, si getta nel vuoto, morendo sul colpo.
«Ho sentito un botto tremendo e poi le grida e la gente che scappava – racconta Tommaso, il gestore di un chiosco che si trova a pochi passi dal luogo in cui è avvenuto il fatto – A terra c’era un uomo per terra – ha detto – poi sono arrivate le forze dell’ordine, si è svuotata la piazza in un attimo e ho pensato che poteva esserci qualcuno che sparava».

Delle persone che stavano passeggiando lungo corso Vittorio Emanuele II e che hanno assistito alla scena hanno spiegato invece di avere sentito un grido prima del salto nel vuoto di De Maria dal Duomo.
Altra testimonianza, quella di Emanuele Sanità, titolare di una nota pizzeria napoletana del centro storico, che spiega di essere arrivato per primo vicino al corpo di De Maria. Anche lui racconta di avere sentito un rumore come uno sparo di pistola, molto forte: «Poi un urlo e le persone che sono scappate via perché pensavano ci fosse una sparatoria. Mi sono avvicinato e ho visto questa persona a terra, il viso era integro ma mi è sembrato di avere visto ferite alle orecchie e al cranio. Si è creato subito il vuoto totale attorno a lui, tranne che per un poliziotto e due medici che sono accorsi subito».

LA SCOPERTA

Passa meno di un’ora ed ecco la scoperta del cadavere della 50enne di origine cingalese dipendente dell’hotel Berna della quale si erano perse le tracce da venerdì sera. A seguito di una telefonata fatta da un passante, i carabinieri di Sesto San Giovanni intervengono all’interno del Parco Nord, scoprendo il cadavere di una donna che sarà poi riconosciuta come Chamila Wijesuriyauna.
Saranno le indagini a spiegare – soprattutto quando si potranno raccogliere le dichiarazioni dell’egiziano ancora ricoverato in prognosi riservata al Niguarda – se prima di togliersi la vita Emanuele De Maria abbia stroncato anche quello della orientale; e se, sullo sfondo di questa tragedia nerissima, il motivo di tanta violenza sia riconducibile a una qualche pista passionale. Fatto sta che sugli ultimi istanti di vita della sfortunata 51enne (sposata e madre di un figlio) difficilmente Hani Abdelghaffar Nasri saprà o potrà dire qualcosa. Il dramma prossimo a trasformarsi in tragedia lo si era intuito quando un addetto dell’Atm, venerdì, aveva trovato il cellulare della donna in un cestino alla fermata Bignami della metropolitana, non distante dal Parco Nord. Il marito la cercava dopo essere stato avvertito che la consorte non si era presentata al lavoro al Berna. Il cellulare potrà servire a chiarire i rapporti tra i due.
Restano ancora molti altri punti oscuri in questa vicenda. Com’è possibile che De Maria sia riuscito ad eclissarsi per due notti, a tentare di sgozzare il collega di lavoro probabilmente dopo aver già tolto la vita alla donna attirandola nelle radure del Parco Nord. Mentre scattava una formidabile caccia all’uomo estesa anche all’estero, mentre si visionavano centinaia di filmati degli impianti di videosorveglianza, e la polizia ferroviaria passava al setaccio le presenze a bordo dei treni e nelle stazioni italiane, ebbene il fuggitivo era in pieno centro di Milano. Chissà se questi interrogativi troveranno mai risposte.
Sembrava aver recuperato fiducia e autostima, Emanuele De Maria, quella «che accarezza l’anima», come aveva raccontato in un’intervista rilasciata nello scorso novembre a “Confessione Reporter”, programma in onda sulle reti Mediaset. E invece nonostante fosse stato definitivamente assunto dall’hotel Berna dove lavorava e gli mancassero poco più di cinque anni per uscire definitivamente dal tunnel del carcere, ha deciso di uccidersi a 35 anni, non prima di aver probabilmente messo fine anche alla vita di Chamila