*Leone XIV, buona la prima* di Vincenzo D’Anna*

L’elezione del primo Papa statunitense poteva suscitare vari interrogativi che, in verità, sono già stati tutti citati nel mare magno dei talk show televisivi. Quello che, però, è stato più frequentemente evidenziato è il grado di continuità oppure di cambiamento nell’azione pastorale e dottrinaria del Pontefice agostiniano rispetto al suo predecessore gesuita e che tipo di rapporto sarebbe scaturito tra la Santa Sede e la politica di Washington.
Mentre Bergoglio non aveva mai visitato gli Usa e poco o niente conosceva di quella grande nazione, Prevost vi è addirittura nato e ben conosce la storia politica e sociale di quel Paese. Francesco ha manifestato molte volte una malcelata antipatia per quello che veniva da oltre oceano, soprattutto nel periodo in cui alla Casa Bianca risiedeva Donald Trump. Leone XIV invece ha dichiarato, in precedenti interviste, di aver votato per i Repubblicani ancorché rappresentati da altri leader.
Tuttavia è ancora presto per poter dedurre qualcosa di significativo nel modus operandi del nuovo Papa, sia per quanto concerne il tipo di magistero ecclesiale sia per la tipologia di rapporto che intenderà instaurare con il tycoon newyorkese. Spesso però, sono i piccoli segni ad essere significativi, le prime tracce del cammino ad indicare la direzione del tragitto. Questo piccolo segno è venuto dall’intervento di Leone durante il tradizionale incontro che il neo eletto tiene con tutti i cardinali che hanno preso parte al Conclave.
Nel corso dell’incontro, tenutosi nell’aula del Sinodo, il Vescovo di Roma ha spiegato per quale motivo egli abbia scelto il nome di Leone come Papa, affermando di essersi voluto riferire al tredicesimo tra quelli che scelsero tale nome per la cattedra di Pietro. Il riferimento è a quel Giuseppe Pecci che “regnò” tra il 1878 ed il 1903 e che il 15 maggio del 1891 scrisse la Rerum Novarum (le “cose nuove”), la prima enciclica sociale della Chiesa. Leone XIII ridisegnò un quadro “politico” del pensiero della Chiesa che, fino a quel momento, rappresentava un indirizzo vincolante per l’agire tutti i cattolici.
La condizione politica dei fedeli, infatti, era quella di astenersi sia dall’elettorato attivo, sia da quello passivo, ossia non votare e non candidarsi. Era quanto aveva decretato Papa Pio IX nel 1874, con la formula “non expedit” – ovvero, in latino, “non conviene” – all’indomani della presa di porta Pia (20 settembre 1870) che aveva sancito il “passaggio” di Roma all’Italia da poco unita e la fine del potere temporale della Chiesa. Tuttavia i cattolici non trassero alcun giovamento da quella misura che, chiudendo ogni rapporto con lo Stato italiano, vietava esplicitamente di prendere parte alla vita pubblica della nazione. Di lì a poco dunque Papa Leone XIII ritenne di dover chiarire il pensiero ecclesiastico sulle tematiche politiche e sociali che caratterizzavano quel periodo turbolento, caratterizzato da durissimi scontri tra socialisti massimalisti (marxisti leninisti) e borghesi liberali. Tema centrale di quel conflitto fu la natura della proprietà che i socialisti ritenevano un “furto”. Ne scaturirono sanguinose lotte tra quanti volevano espropriare le fabbriche occupandole e quanti, invece, difendevano la proprietà come espressione del lavoro e del legittimo (e lecito) guadagno.
Ebbene, secondo la “Rerum Novarum” così come era da ritenere sacro il salario del lavoratore così doveva esserlo la proprietà realizzata con i propri risparmi. La società ed il sistema economico dovevano essere di natura interclassista, vale a dire: tutte le classi sociali venivano poste sullo stesso piano e chiamate a cooperare tra loro. Ora, venendo ai giorni nostri, proprio come in quegli anni, anche in questo scorcio di Terzo Millennio la Chiesa, secondo Papa Prevost, deve avere una sua visione sulle principali questioni che investono, velocemente, la società globale e tecnologica. A molte di queste Bergoglio ha evitato di rispondere definendosi paradossalmente “colui che non è chiamato a giudicare”. Ebbene, se non può giudicare (per il popolo dei credenti) il Vicario di Cristo, chi altri potrebbe essere legittimato a farlo? Leone credo non vorrà sottrarsi a questo dovere anche a costo di perdere quelle interessate simpatie conquistate a buon mercato dal suo predecessore. Perdita che per i cattolici non sarebbe certo un grande danno…
*già parlamentare