La parola del giorno è

Contrariare

[con-tra-rià-re (io con-trà-rio)]

SIGN Contrastare, ostacolare; seccare, irritare

voce dotta⬀ recuperata dal latino tardo [contrariare], da [contrarius] ‘opposto’, derivato di [contra] ‘contro’.

es. «La tua gentilezza nei suoi confronti mi ha molto contrariato.»

Per quanto ‘contrariato’ possa collocarsi chiaramente in una zona di significato — il ‘contrario’ ci torreggia dentro, ed è una parola chiarissima — ha una sottigliezza interessante, e quando viene usato dà profondità al discorso. Vediamo da dove parte, e dove ci porta.

Parliamo di un’opposizione fra due: il contra latino, da cui scaturisce il contrarius che ci porta in zona, è un derivato di ‘con’, e delinea un insieme… contrapposto, contrario (ci stiamo già mordendo la coda).
Naturale che il contrariare, recuperato a partire dal latino tardo, sia quindi innanzitutto un contrastare. In particolare è un ostacolare qualcuno nel raggiungere il suo scopo, in un senso molto pratico, molto fattivo: in assemblea l’opposizione contraria la mozione della maggioranza con tutti gli strumenti che ha, io contrario il tuo desiderio per mero dispetto, e pur contrariate certe vocazioni sono invincibili. Ma il contrariare, e quindi il contrariato, non restano qui.

Subire un’azione diretta di ostacolo non ci fa piacere. Anzi ci irrita, ci infastidisce (nella più blanda delle ipotesi). Ed essere contrariato è proprio essere seccato, irritato, infastidito — ma capiamo bene con che sfumatura.
Il contrariare presuppone un piano, un’aspettativa, un proposito, diciamo in genere un movimento verso una certa meta, e quindi un pensiero strategico, poco o molto strutturato che sia. Lo presuppone perché lo contrasta. La seccatura del contrariato è quella di chi non è compiaciuto, di chi si confronta con una realtà che non fila liscia nella direzione attesa e desiderata, una realtà riottosa, che non ottempera. Il contrariato è sostanzialmente scontento, mostra un disappunto irrequieto e irritato. La contrarietà in cui s’incappa non è tale da accendere una rabbia schietta, ma solo una forma di stizza delusa.

Posso essere contrariato per il risultato scarso nonostante il grande impegno di risorse; la mia risposta supponente e sbracata può lasciarti contrariata; e mi insospettisce come la notizia, che credevo del tutto innocua, renda all’improvviso contrariato.

Certo, l’irritato e il seccato sono buoni sinonimi, efficaci, incisivi. Sono un po’ epidermici, però, significano e svicolano per vie metaforiche; il contrariato ha il coraggio della semplicità, ed è eloquente nel suggerire le implicazioni psicologiche del contrasto.
Se temo di contrariarti, non ho solo paura di contraddirti (significato che può essere coperto dal contrariare, ma non univocamente). Ho paura di scontentarti presentandoti un contropelo rispetto allo scorrere della tua mano. Ho paura di ostacolarti, e perciò di ingenerarti fastidio. Temo di non essere accondiscendente
Un nesso di pensiero sofisticato, quello del contrariare, ed è bello che partendo da tanta semplicità sia ampiamente accessibile.

Una parola al giorno

17 Aprile 2025

La parola del giorno è

[ul-tra-cre-pi-dà-rio]

SIGN Chi o ciò che si pronuncia su cose di cui non s’intende

attraverso l’inglese [ultracrepidarian], dalla locuzione latina [Sutor, ne ultra crepidam], ‘Ciabattino, non oltre il sandalo’.

es. «È stato un intervento smaccatamente ultracrepidario, perché hanno chiamato lui a parlare su questo argomento?»

Apelle di Coo è forse il più celebre pittore di cui non si hanno dipinti. Vissuto nella seconda metà del IV secolo a.C. (e campato poco), si è comunque guadagnato fama immortale.
Intorno a lui girano attribuzioni e aneddoti di grande interesse — per esempio Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, la Treccani della latinità, attribuisce a lui il motto Nulla dies sine linea, sintesi della necessità di un esercizio quotidiano della propria arte, e che nel caso dell’arte di Apelle significava letteralmente «Nessun giorno senza una linea».

Ora, Apelle teneva in gran conto l’opinione popolare riguardo alle sue opere (sempre stando a quel che ci dice Plinio, libro 35, paragrafi 84-85), tant’è che, una volta finite o quasi, usava esporle in una pergola fuori dalla bottega, restando nascosto in modo discreto così da sentire i commenti dei passanti.
Una volta un ciabattino ebbe a criticare la sua rappresentazione di un sandalo — e, Apelle convenne segretamente, a ragione. Così nottetempo corresse l’errore che il ciabattino aveva notato. Questi, vedendo la correzione di Apelle, il giorno dopo ripassando inorgoglì ed ebbe anche a ridire pubblicamente riguardo alla raffigurazione di una gamba. Al che Apelle balzò fuori (col pennello fra i denti, immagino) e ringhiò, nelle parole latine con cui più spesso è resa la battuta, «Sutor, ne ultra crepidam!» cioè ‘Ciabattino, non oltre il sandalo!’ (l’originale sarebbe «ne supra crepidam sutor iudicaret», ‘che il ciabattino non giudichi più su del sandalo’).

Il detto può anche essere citato così com’è in latino per rintuzzare qualcuno che si spinge oltre le proprie competenze. Ma in inglese, a partire dal detto, nell’Ottocento sono state coniate e sono invalse parole come ultracrepidarianism, che indica l’atteggiamento di chi giudica riguardo a cose di cui non s’intende, come il ciabattino dell’apologo. L’ultracrepidario è giusto modellato sull’ultracrepidarian inglese — ennesimo di casi innumerevoli in cui una lingua europea pesca o reinventa una parola dal bacino classico e fa scuola fra le altre lingue del continente.

La figura di chi ciarla senza cognizione, pur pensando di poter affermare con autorevolezza, è onnipresente — non si trova solo nelle bettole, né in habitat olimpici. Ma senz’altro ‘ultracrepidario’ è un attributo che appartiene a un registro aulico. Più che letterario, è proprio di un linguaggio polemico e scherzoso, che da una posizione elevata ma aperta intende sminuire e irridere tentativi di partecipazione presuntuosa e incompetente.
C’è sprezzo, nell’ultracrepidario, ma badiamo, non uno sprezzo semplice: tenendo fermo quello di Apelle, notiamo che è estremamente complesso, frammisto di consapevolezza, di generosità tradita e quindi di rabbia, così come di apertura e di dileggio (la disponibilità di Apelle alla considerazione del giudizio altrui era reale).

Così posso parlare dell’articolo ultracrepidario scritto dal grande stimato esperto su questioni di cui capisce poco, dei consigli ultracrepidari che ci vengono dati spassionatamente dalla professionista a cui ci siamo rivolti per tutt’altro, o delle persone ultracrepidarie che intervengono a commento della lezione, all’incipit ultracrepidario «Non sarò un esperto, ma…».

L’ultracrepidario non è vagamente supponente, e tantomeno saccente (che può anche essere molto esperto); né c’è necessariamente l’atteggiamento (nemmeno a dirlo) sentenzioso dello sputasentenze. In questo panorama l’ultracrepidario, in quanto chi o ciò che si spinge oltre ciò di cui s’intende, ha una vanità e una presunzione molto specifica.

Certo ha ancora l’aura del neologismo, e la sua ricercatezza richiede di spenderla con proprietà; ma il tempo passa in fretta, la parola — sesquipedale e bizzarra — continua a diffondersi e sta iniziando a entrare nei dizionari. Un successo che può contare anche sulla sua simpatica storia, che rispetto a una parola è sempre motivo di interesse, e di complicità fra chi la conosce.

24 Aprile 2025

La parola del giorno è

Crisostomo

[cri-sò-sto-mo]

SIGN Facondo, eloquente, specie detto di oratori

voce dotta⬀ recuperata dal greco⬀ [chrysóstomos], propriamente ‘bocca d’oro’, composto di [chrysós] ‘oro’ e [stóma] ‘bocca’.
es. «Non sapevo che fosse un crisostomo tale…!»

Siamo davanti a un epiteto tradizionale quanto pochi altri. Coglie una virtù eterna, probabilmente apprezzata da molto prima che se ne abbia testimonianza; e lo fa con un tono alto e classico che la rende una moneta grossa da spendere, poco adatta ai discorsi spiccioli, ma di una schiettezza immediata e invincibile.

Bocca d’oro è la traduzione letterale del chrysóstomos greco, composto con elementi non dei più arcinoti ma che, riferendosi a ‘oro’ e ‘bocca’, sono comunque celebri e variamente ricorrenti (pensiamo all’oro del cel criselefantino, del crisantemo e dell’elicrisio, alla bocca o apertura cui si riferiscono termini medici, come stomatite).
Viene da pensare che forse questa qualità poteva farsi sentire con forza singolare specie in un passato remoto. Quando la deprivazione culturale aveva modo di essere davvero abissale e senza appello, quando la formazione elevata era un appannaggio raro, e soprattutto quando la lingua dispiegava il proprio potere quasi solo da bocca a orecchio, le capacità di una persona di parlare bene potevano spiccare in un modo che oggi facciamo fatica a immaginare. Ed è questo il senso in cui il ‘crisostomo’ è bocca d’oro: è facondo, parla meravigliosamente, con facilità fluente e ricca, con scioltezza ed espressività ornata. Ed era un epiteto per oratori di particolare eloquenza.

In questa veste è stato legato per eccellenza ad alcune personalità, come san Giovanni Crisostomo, vescovo e teologo greco vissuto nella seconda metà del IV secolo, ma possiamo considerarlo con versatilità, sostantivo e aggettivo.

Possiamo parlare delle personalità crisostome che intervengono alla manifestazione, del crisostomo che vive al nostro stesso piano e c’incanta con modi deliziosi di raccontare fatti prossimi e lontani, della studente crisostoma che si fa notare subito alle interrogazioni. Un uso fine ma anche un po’ pretenzioso; si presta bene all’ironia, e a riferirsi al figuro crisostomo che sciorina un turpiloquio ininterrotto alla fermata del bus, ma anche a una serietà che vuole scegliere le proprie parole con cura molto evidente.
Inoltre, curiosamente, dal figurato si può tornare indietro.

Se parlo delle fortune di un rapper crisostomo, può darsi che io non mi riferisca tanto alla maestria dei suoi versi sciolti e trascinanti, quanto al suo sorriso, e al revival estetizzante dei denti incapsulati d’oro: recuperando il senso originario, si può scherzosamente ripassare al concreto.

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Grazie a Luisa per il suggerimento!

A domani, con la parola del giorno!

La parola del giorno è

Fluido

[flùi-do]

SIGN Sostanza liquida o aeriforme, e detto di tale sostanza; sciolto, scorrevole; che non ha una forma determinata, che è mutevole, instabile; energia misteriosa, che specie si sprigionerebbe da persone con poteri particolari

voce dotta⬀ recuperata dal latino [fluidus], derivato di [flùere] ‘scorrere’.

es. «Non riesco a stargli vicino serenamente. Intorno ha un fluido maligno.»

Certe parole ci danno l’impressione di non avere misteri. Ma dobbiamo considerare che spesso hanno accezioni molteplici, e quindi sono in grado di piegare un medesimo concetto a usi dei più diversi, con significati inusitati, che gli conferiscono tonalità molto differenti. Insomma, anche nella parola più comune ci può essere una svolta di ricercatezza — anzi, più d’una.Il significato più scontato del fluido è quello che, come sostantivo o aggettivo, lo contempla come una sostanza liquida o aeriforme: posso parlare di come un composto sia fluido, o di come i fluidi scorrano in certi vasi. In effetti il fatto che il fluido scorra è una tautologia: il fluidus latino è un evidente derivato di flùere, che è proprio ‘scorrere’, e quindi il fluido s’individua perché scorre.Una delle caratteristiche più tipiche di fluidi è che non hanno una forma determinata, anzi tendono a prendere la forma del recipiente che li contiene. Il fluido, pare buffo a dirsi, è sciolto: e così si dice fluido ciò che è sciolto in un senso più o meno figurato, pensiamo ai movimenti fluidi, al discorso fluido, alla trama fluida.
Ma ancora e diversamente, il fluido appare mutevole e instabile — e tale diventa concettualmente. Una situazione diplomatica fluida, un’identità fluida, una classifica fluida si caratterizza per indeterminatezza, per un cambio continuo e imprevedibile di assetto — senza che sia del tutto volatile, però: il fluido, per quanto mutevole e instabile, ha corpo e peso, e non è inconsistente né evanescente. Può anche adombrare una stabilizzazione attesa in futuro, ma non prendiamola come necessità, il fluido può solidificarsi o può restare fluido.
Già qui tocchiamo una certa finezza, si sente. Questo modo di ragionare dei fatti del mondo dando loro la consistenza di un fluido è su un livello di pensiero metaforico abbastanza elevato, ma il fluido si spinge oltre, con un’accezione particolarmente potente che oggi ha una forza quasi letteraria.

Fra Sette e Ottocento la scienza prese un abbrivo straordinario, ma insieme alle branche e alle teorie che avrebbero retto col loro paradigma alla prova del metodo, o sarebbero state rifondate e ripensate, ce ne furono tante che furono sconfessate, spernacchiate e sepolte. Possiamo ad esempio ricordare il mesmerismo di Mesmer, che curava tramite l’esercizio del magnetismo animale… ma non era certo l’unico caso in cui s’immaginassero passaggi di energia, materiale o psichica, come fluidi.
Il fluido, in questo contesto, è un’emanazione energetica che muove da una volontà, che la trasmette, o che trasmette un’influenza, o un pensiero. Una forza dai caratteri ignoti che si sprigiona da individui ovviamente molto speciali e carismatici, e ancor più in genere una potenza che si diffonde e pervade di sé cose e persone, o semplicemente un’affinità, una simpatia.

È per il retaggio di questa suggestione antiquata ma estremamente attraente che posso parlare del fluido invincibile dell’amica, che ogni volta riesce a convincermi ad accompagnarla alla festa del circolo, che detesto; parlare del modo in cui ci siamo orientati verso una certa disciplina, quasi mossi da un fluido magico; parlare di come io abbia tenuto duro, sorretto dal fluido del tuo ottimismo.

Quest’accezione si fa notare: la parola è comune, ma non in questo caso. Si manifesta ricercata, sottile, di grande rappresentatività — specie se la sua figura è condivisa, naturalmente. Ma tanto comune è il fluido e tanto immediata l’impressione che quest’uso fa, che resta fascinosa in ogni caso. Dopotutto, è un fluido intrinsecamente