*Carità, fede e comunismo* di Vincenzo D’Anna*
Da quando è assurto al sacro soglio di Pietro, con il nome di Francesco, Jorge Mario Bergoglio ha incentrato il proprio pontificato intorno alla cura dei poveri. Lo spirito gesuita e missionario che lo caratterizza, ha prevalso su tutti gli altri obiettivi e doveri che pure farebbero capo al vicario di Cristo in terra. La missione ecumenica si è quindi focalizzata su di una specifica catechesi, un unico obiettivo, così la visione del mondo che il Papa argentino ha ricondotto dalla sua complessa e variegata composizione a quella delle favelas sudamericane. Insomma nessuna o poca attenzione verso le tante altre questioni sociali che pure affliggono il miliardo di cattolici sparsi nel mondo. Una perseveranza ed uno zelo che ha reso il suo Papato monotematico riducendo, al contempo, la vasta missione della Chiesa di Roma. Intendiamoci: niente di male ad occuparsi dei derelitti e degli svantaggiati se non fosse per la progressiva secolarizzazione della Chiesa, l’incipiente mutazione dei valori morali ed etici, l’emarginazione dei principii sui quali si poggia la fede, la crisi delle vocazioni con i seminari e le parrocchie sempre più vuote. Aspetti che avrebbero certamente meritato eguale cura da parte di chi è pastore del gregge al vertice della piramide ecclesiastica. Scarse anche le encicliche attraverso le quali i Pontetici affrontano tematiche particolarmente complesse. Numerose invece le apparizioni televisive e gli atteggiamenti piuttosto informali. Insomma si è radicato in Bergoglio il convincimento che coloro che non soffrano la povertà non abbiano più diritto all’attenzione della Chiesa. Lo stesso dicasi per la levità con la quale l’ex vescovo di Buenos Aires affronta la vicenda del multiculturalismo religioso parificando spesso il retroterra dei valori cattolici con quelli professati da altri credo. Contrariamente a Benedetto XVI che, con il discorso di Ratisbona, aveva ben evidenziato le differenze esistenti tra una fede d’amore e tolleranza verso il prossimo e le una fede violenta, sottolineando la divergenza che insiste tra il portato dei valori civici propri del cattolicesimo e quelli proposti da religioni basate su modelli e stili di vita illiberali se non arcaici e discriminanti. Per Francesco evidentemente questi elementi sono marginali innanzi allo scopo del “vogliamo bene comunque” e “pensiamo ai fratelli bisognosi”. Insomma una dottrina, la sua, che evidenzia l’impostazione culturale missionaria della Santo padre , preponderante ed assorbente innanzi a distinzioni che non sono affatto marginali. Così con la dottrina sociale della Chiesa che viene intercettata in maniera originale, se non stravolta, finendo con l’essere equiparata a quelle pauperistiche di matrice laica. Tuttavia il Papa ha tenuto a precisare, durante il suo viaggio nella lontana Indonesia, che la carità e la compassione non vanno confuse con il comunismo. Compassione, ha detto Francesco: “vuol dire anche abbracciare sogni e desideri di riscatto e di giustizia, prendersene cura, farsene promotori e cooperatori, coinvolgendo anche gli altri, allargando la rete e i confini in un grande dinamismo espansivo di carità. Questo non vuol dire essere comunista, vuol dire carità, vuol dire amore”. Ora, per quanto auliche ed ispirate siano queste parole, sul piano politico e sociale non tutte sono condivisibili. Innanzitutto perché il comunismo, oltre che ateo, è anche illiberale denegando la originalità di ciascun individuo per piegarlo al forzoso ruolo indistinto nella grande massa degli eguali. Che la dottrina sociale della Chiesa – incartata nell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII – sia stata redatta, alla fine dell’800 per distinguere i valori e le finalità sociali dei cattolici sia dai marxisti che dai capitalisti, non può essere negato né stravolto dai fatti e dai gesti che Francesco pratica ed asserisce con le parole. In sintesi se il Papa riconosce come degni di attenzione e cura solo i poveri allora egli opera in un’ottica che contraddice il dettato di quella stessa dottrina che non fu pensata come un accettabile surrogato del comunismo per renderlo compatibile con i valori cristiani, bensì come alternativa ad esso. Un’alternativa che partiva dalla concezione stessa dell’Uomo posto al centro della società con tutto il suo corredo di diritti civici e libertà, prima tra tutte quella di intraprendere, possibilità, quest’ultima, che il socialismo combatte ritenendola contraria all’edificazione dello Stato tirannico degli eguali ottenuto con la negazione delle libertà individuali. Ho appreso fin dall’azione cattolica che la carità sia una virtù teologale cioè che riguarda direttamente Dio e la ritengo, insieme alla fede, essenziale per un cristiano, senza la prima diventa vana la seconda. Il Papa avrebbe potuto chiarire compiutamente con un enciclica la sua idea, nonché la differenza tra carità e dottrina socialista, senza affidarsi ad interviste estemporanee che in verità valgono poco e che sovente lasciano i fedeli nel dubbio interpretativo. Spesso, infatti, molti cattolici si sono illusi sulla matrice pseudo socialista dell’insegnamento custodito nei Vangeli definendo la figura di Cristo come il primo socialista. Eresia madornale. Di questi tempi nei quali il caos etico la fa da padrone, un po’ di chiarezza dottrinale in più non guasterebbe, in fondo chi più del Papa può distinguere ed argomentare sulle verità di fede?
*già parlamentare