*Sindaco di Napoli, gli esterni e gli eterni…* di Vincenzo D’Anna*

I politici dovrebbero avere buona memoria. Se così fosse, quelli che oggi dirigono i partiti di centrodestra nell’area metropolitana di Napoli, dovrebbero darne valida prova. Ahinoi, così non è ai giorni nostri!! Innanzitutto perché mancano i partiti, ossia quelle organizzazioni politiche governate con metodi democratici che organizzano le proprie originali proposte prima di consegnarle al vaglio degli alleati ed, in ultimo, degli elettori. Le ditte personalizzate che li hanno rimpiazzati sono un lontano ricordo di quegli “apparati” ed agiscono più che altro per procura. Da Roma, cioè, i titolari nominano dei proconsoli il cui precipuo compito consiste nel tenere a bada l’ambito territoriale, tutelando e garantendo il controllo di quei “simulacri”. Al di là della celebrazione di qualche sporadica assemblea, ampollosamente elevata al rango di “congresso”, i dirigenti di quei movimenti sono dunque tutti cooptati dai vertici nazionali, con il forzato e silente beneplacito dei gruppi parlamentari, ossia di quei soggetti che, gratificati dalla candidatura, godono di un comodo seggio alle Camere. Così formate, tali “compagini” vivono alla giornata, alla stregua di un comitato elettorale: riprendono vita e voce solo allorquando si avvicina il tempo di una specifica tornata. Se poi la posta in gioco è di quelle prestigiose, come, ad esempio, la “partita” che elegge il Consiglio comunale ed il sindaco di Napoli (oltre che presidente della Città metropolitana), ecco che la discussione si avvia per tempo, spesso influenzata da altri fattori. Questi ultimi in genere appartengono al novero dei centri di potere accessorio come, ad esempio, le società partecipate, oppure l’indicazione di altre candidature, come quella del governatore della Regione. Un gioco di specchi che mette a dura prova l’efficacia del “Manuale Cencelli”, ossia dei criteri di valutazione del peso politico e della conseguente assegnazione delle cariche di gestione. Un complicato contesto che ne consiglia l’uso purché si attagli alla competizione partenopea. Una complessità fatta anche di scontri ed alleanze, di nomi dati in pasto alla stampa salvo poi essere bruciati, con specifici veti, innanzi al tribunale dell’opinione pubblica. Sì, ormai lo si è capito: ci sarebbe tanto da fare eppure della politica e del progetto amministrativo poco o niente ci si cura, rimandandone la redazione ad un comitato di sedicenti esperti. Insomma: siamo al cospetto di una liturgia che verrà celebrata secondo le pessime costumanze del passato prossimo e remoto, unica eredità sopravvissuta della prassi in vigore nella cosiddetta Prima Repubblica. E tuttavia toccherà interessartene dal momento che la politica utilizza quello che passa il convento e l’elettore napoletano spesso non è disinteressato come pure si vorrebbe lasciar credere. Per dirla in parole chiare: le elezioni comunali a Napoli somigliano più ad una classica riffa, una sorta di gioco a premi (i voti) per chi compra più biglietti. La partecipazione è scarsa e non supera il cinquanta percento degli aventi diritto, per poi dimezzarsi ulteriormente in caso di ballottaggio. In soldoni: il primo inquilino di Palazzo San Giacomo sarà scelto da un cittadino su quattro, nel secondo turno elettorale. Quali e quante le cause di questa decadenza civile, di questo disimpegno, sarebbe lungo da elencare dovendosi scomodare sociologi, politologi e storici. Comunque sia quello che maggiormente incide è la diserzione di massa del ceto intellettuale, imprenditoriale, professionale e più in generale, di chiunque abbia talento da poter spendere per il servizio alla città. Nonostante si sia innanzi a questo evidente disimpegno c’è chi, sul versante di Forza Italia, propone, per il Comune di Napoli, un candidato civico nel mentre Fratelli d’Italia ribatte con una stessa tipologia di leadership per la presidenza della Regione. Una contraddizione in termini che appare vieppiù avvilente, frutto di una prassi politica priva di sintesi tra alleati di governo che, all’opposto, dovrebbero intendersi tra loro!! Risultato? Con l’avallo di una sempre più sparuta schiera di elettori che si recheranno alle urne, si rischia di veder concretizzata l’apologia, di dover assistere al trionfo di un qualunquismo del quale, in questa fase, francamente non si sente affatto bisogno!! In un tempo in cui occorrerebbe rilanciare il primato della politica ma questa non sa o non vuole trovare, tra le proprie fila, chi la rappresenti, ecco che sovviene alla mente l’epoca in cui, dovendo superare una crisi interna (ed un calo dei consensi), la Democrazia Cristiana scelse di affidarsi a Benigno Zaccagnini come segretario politico nazionale. Un galantuomo che avrebbe ridato slancio (e momentaneamente ripulito) alla pratica Dorotea della gestione del potere per il potere in casa scudocrociato. Zaccagnini aprì anche all’ingresso degli “esterni” negli organismi di partito così da spezzare le reni alle “correnti” interne. Ci fu però chi al congresso nazionale precisò che il problema non era tanto scegliere tra interni ed esterni, quanto sbarazzarsi degli…eterni. Sbarazzarsi, cioè, delle nomenclature, e sé civica deve essere la scelta, per disimpegno dei partiti, essa potrebbe ben nascere da un movimento popolare. Un movimento che rispettando l’area politica di appartenenza, possa indicare chi debba rappresentarla. Si eviterebbero le scelte fatte da pseudo dirigenti politici che, a ben guardare, poggiano su deleghe dei nuclei familiari che a Roma chiamano partiti oppure, peggio ancora, dai loro compagni di merenda!!

*già parlamentare