Uno sguardo oltre confine
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Newsletter del 18 GIUGNO 2024
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LA FABBRICA DEI REPLICANTI IN CINA
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Replicare le espressioni facciali e le emozioni umane, per un salto ulteriore della robotica nel mondo del lavoro. Questa la mission di Ex-Robots, un’azienda con sede a Dalian, città costiera del nord-est della Cina, impegnata a creare robot umanoidi iperrealistici per poi utilizzarli nei settori dell’accoglienza, della sanità, dell’istruzione. Grazie al perfezionamento dei materiali, i robot assumono sembianze umane e vengono addestrati a replicare le espressioni e le emozioni. Un video dall’interno della fabbrica mostra i robot mentre muovono la testa, sorridono, tirano fuori la lingua, imitando i movimenti dell’ingegnere davanti a sé, grazie a minuscoli motori installati nella testa, tecnologie avanzate per il dialogo vocale intelligente, tecnologie cognitive per interagire direttamente con i visitatori, mentre grazie all’intelligenza artificiale possono riconoscere e riprodurre il comportamento umano. Ex Robots, fondata nel 2009, ha iniziato lo sviluppo di robot umanoidi nel 2016. “Il modello che stiamo creando” spiega il ceo Li Boyang, “può percepire l’ambiente circostante e produrre un feedback facciale appropriato”. Servono da due a quattro settimane per produrre un robot umanoide, con prezzi che vanno da 190mila a 260 mila euro. In prospettiva, i robot potranno svolgere alcuni lavori a contatto con il pubblico, come “nei musei, nelle attrazioni turistiche, negli ambienti scolastici”, ma anche “la psicologia e la salute sono certamente scenari applicativi futuri”. Grazie alla interazione emotiva, inoltre, secondo il Ceo, avranno “applicazioni più ampie nei settori dei servizi, ad esempio quelli rivolti ai bambini”. Secondo il rapporto 2023 sulla tecnologia robotica e lo sviluppo industriale in Cina, l’industria cinese sta nel complesso progredendo costantemente. Le regioni chiave sono Pechino-Tianjin-Hebei, il delta del fiume Yangtze e il delta del fiume Pearl. Ex Robots si trova a Dalian, nella provincia di Liaoning, ma il ceo non ritiene che sia uno svantaggio, perché la regione”ha una solida base industriale, con molti talenti nel campo dell’automazione dei macchinari e dello sviluppo di software”. Le tre province nord-orientali di Liaoning, Heilongjiang e Jilin sono state per lungo tempo fondamentalmente agricole, ma con lo sviluppo dell’economia di mercato l’economia locale si è ritrovata in gravi difficoltà e in forte arretratezza rispetto al resto della Cina, con un circolo vizioso di esodo della popolazione e declino economico. “Dall’industria tessile e dell’abbigliamento, all’industria degli elettrodomestici e alla successiva era dell’elettronica fino a quella digitale e di Internet, quando si tratta di questi prodotti di alto consumo non si trova quasi traccia di aziende nella Cina nordorientale” spiega Li Kai (Northeastern University). Industrie emergenti come EX Robots rappresentano uno dei tentativi di cambiare passo e trasformare la struttura industriale della Cina nord-orientale.
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Una vetrina sul carcere più duro del mondo, che sta stroncando le bande criminali che hanno insanguinato per anni El Salvador. Il presidente Nayib Bukele, da questo punto di vista, non ha alcuna intenzione di nascondere nulla. Anzi, l’ufficio stampa del governo ha diffuso fotografie e immagini del trasferimento di altri 2 mila esponenti delle gang Mara Salvatrucha (MS-13) e Barrio 18 nella mega-prigione di massima sicurezza Cecot (Centro di Confinamento Antiterrorismo) a Tecoluca: otto padiglioni, 19 torri di avvistamento, un muro di cemento alto 11 metri e lungo 2,1 chilometri sormontato da cavi elettrificati, per ospitare 40mila detenuti a 74 km a sud-est della capitale San Salvador. In una recente intervista rilasciata a Tucker Carlson, Bukele ha dichiarato vittoria nella “guerra spirituale” contro organizzazioni diventate “sataniche”. A Carlson che gli domandava come sia riuscito a ottenere una drastica riduzione del tasso di omicidi – in otto anni da 103 per 100mila a 2,4 ogni 100mila persone, il più basso in America Latina – in quello che è stato a lungo considerato il centro mondiale del crimine, Bukele ha risposto che la versione ufficiale “è l’applicazione di un piano in più fasi, con uno stato di emergenza, un rafforzamento della polizia e dell’esercito, che ha prodotto risultati. Ma la versione vera è semplicemente che si è trattato di un miracolo”. Quasi 80mila salvadoregni sono finiti dietro le sbarre, oltre l’1% della popolazione. Dentro Cecot, poi, entrano i criminali più pericolosi e finora, nessuno di coloro che sono entrati ammanettati è uscito, in quello che le ong definisco il “buco nero dei diritti umani” e l’Onu chiama una “fossa di cemento e acciaio”, costruita per disfarsi dei prigionieri senza applicare la pena di morte.
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Non manca certo il coraggio politico a Nikol Pashinyan, che sta imponendo un profondo cambio di rotta all’Armenia. Con vista sull’Occidente, attraverso un progressivo allontanamento dall’area di influenza della Russia. Con vista su una pace che manca da oltre 30 anni in Nagorno-Karabakh, attraverso decisioni difficili e impopolari, considerate necessarie per concludere la lunga guerra con l’Azerbaigian. Se stavolta qualcuno crede davvero a una pace nella regione contesa del Caucaso meridionale è soprattutto per il lavoro che negli ultimi mesi sta facendo il primo ministro armeno. La reazione interna in Armenia è veemente, con proteste particolarmente accese per quello che è stato giudicato un tradimento: il fronte contrario è guidato dall’arcivescovo Bagrat Galstanyan e ha prodotto proteste di piazza e anche violenze negli scontri fra manifestanti e forze di sicurezza. Parallelamente, Pashinyan sta imponendo all’Armenia un altro cambio di rotta, di profilo storico. Il governo di Yerevan ha criticato pubblicamente i russi per aver abbandonato l’Armenia a sé stessa contro Azerbaigian (e Turchia) – e Mosca, che ha una base militare in Armenia, ha sostenuto che le truppe russe non avevano il mandato per intervenire. Proprio oggi i caschi blu russi hanno completato il loro ritiro dal Nagorno Karabakh, dopo che l’Azerbaigian lo scorso settembre ha ripreso il controllo della regione: il mandato durava fino al 2025, ma la Russia ha accelerato il ritiro (iniziato lo scorso aprile, concordato da Putin e l’azero Aliyev) probabilmente per riposizionare i soldati sul fronte ucraino. Così Pashinyan ha iniziato a volgere lo sguardo verso Occidente, puntando di più sull’Europa e sugli Stati Uniti.
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Il decano degli economisti cubani, Carmelo Mesa-Lago, racconta che l’isola di Cuba “sta vivendo il momento peggiore della sua storia, è una catastrofe”. Mesa-Lago lasciò l’isola di Cuba nel 1961 per andare in Spagna e poi negli Stati Uniti. Erano tempi di rivoluzione e di bloqueo, l’embargo imposto dall’America all’isola caraibica. Oltre sessant’anni dopo, non può sorprendere più di tanto il grande abbraccio con cui Cuba sta cercando di rimanere aggrappata alla Cina e alla Russia. Il mandato di Trump alla Casa Bianca hanno segnato un distacco profondo dall’America che gli anni di Biden non hanno minimamente colmato. Per stringere i legami con Mosca e Pechino, Cuba offre le armi migliori che ha, su tutte il turismo e la posizione geopolitica.
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IN ISLANDA LA CACCIA ALLE BALENE VA AVANTI ANCORA UN ANNO
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Nel mondo la caccia alle balene è consentita solo in Giappone, Norvegia e Islanda. Quest’ultima ha deciso di rinnovare per un anno la licenza di pesca alla Hvalur, l’unica azienda che caccia le balene per fini commerciali. Sebbene si tratti di un’attività storica per l’economia islandese, sono state veementi le proteste delle associazioni animaliste. Hvalur aveva chiesto un rinnovo quinquennale: il governo ha prolungato solo per la stagione 2024, da giugno a settembre, e solo fino a 128 esemplari: 99 nel tratto di mare che dall’Islanda va verso la Groenlandia, 29 nel tratto di mare verso le isole Faroe. La balenottera comune è a rischio estinzione, ma secondo il governo sono assicurati i fattori di tutela dell’ecosistema.
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