Un dato su tutti: anche in queste elezioni europee il primo partito italiano si conferma quello dell’astensione. Quest’ultima corroborata dalla diserzione in massa del Sud. Ebbene sì: la metà degli aventi diritto al voto non ha ritenuto di esercitarlo. Abbiamo ormai toccato il minimo storico!! Un dato allarmante (siamo scesi sotto il 50%!!) per una democrazia che possa definirsi realmente in buona salute. A farne le spese è stato sopratutto il Movimento Cinque Stelle che crolla sul piano nazionale perdendo sette punti. I grillini hanno confermato grosso modo lo stesso risultato delle precedenti europee rimanendo, sia pure di poco, al di sotto della soglia del 10% delle preferenze, ben lontani, tuttavia, dal 17% raccolto alle ultime politiche. Le ragioni di un simile flop possono essere ricercate nella mancata elargizione del reddito di cittadinanza e del bonus casa, gli storici cavalli di battaglia di Giuseppe Conte. Non a caso alle ultime politiche il leader pentastellato, nel suo giro elettorale, non si mosse granché dai territori meridionali e quindi da quell’elettorato che da sempre era maggiormente abituato alle promesse ed alle elargizioni statali. Ma non possiamo fermarci solamente a questo elemento per interpetrare la grave défaillance della partecipazione al voto se in una grande città come Napoli l’affluenza non ha raggiunto neanche il 30%!! Pensate: nella città partenopea due elettori su tre hanno preferito rimanere a casa, così come a Reggio Calabria ed a Palermo. Insomma, a decidere chi mandare a Bruxelles da quelle parti è stata soltanto una minoranza. Preferisco immaginare che, chiuse le vecchie segreterie politiche, luogo di ricevimento degli elettori e di ascolto di problemi ed esigenze, sia quasi tramontata l’illusione populista della rivoluzione farlocca dei grillini, i quali, esecrando tutto il pregresso politico, avevano rinnovato, sotto altre forme, la speranza di un ritorno del tempo delle pratiche clientelari su vasta scala. Molte sono state le motivazioni di chi ha deciso semplicemente di “non votare”, nel solco di quell’aforisma che “chi non ha una ragione per vivere non ne ha neanche una per morire”, ossia: venute meno le speranze del patto con i candidati è venuta meno anche la voglia di votare. Eppure, al di là delle promesse particolari, i risultati del governo Meloni sono positivi sia sotto il profilo degli indici di occupazione, sia della ripresa economia. Il Pil è aumentato, lo spread è sceso di cento punti, la borsa ha guadagnato il 30%. Se ne deve, quindi, dedurre che al Sud interessano poco i dati economici nazionali e gli indici generali che lo determinano. Interessa invece il “do ut des” che va sotto il nome di “scambio di voti”. Insomma: laddove i clienti fanno di mestiere gli elettori c’è poco da da ragionare !! Il meccanismo delle speranze e delle attese particolari tra elettori ed eletti è atavico e ben collaudato, fin dai tempi narrati nel libro “Un viaggio elettorale” scritto da Francesco De Santis alla fine dell’800. Come dicevamo, dai dati dello scrutinio è emersa la conferma di Fratelli d’Italia come primo partito d’Italia: il movimento di Giorgia Meloni ha incrementato i dati delle ultime politiche sfiorando la soglia del 29% delle preferenze. Con il M5S scende anche la Lega che cede un punto percentuale (e la seconda posizione dentro la coalizione di Centro Destra ) agli azzurri di Forza Italia. Mantiene, tutto sommato bene, il Pd che si conferma seconda forza del Paese. E si rinforza la sinistra antagonista che verosimilmente incamera il voto di protesta pro Palestina e quello dei pacifisti a senso unico che chiedono una pace in Ucraina che lasci agli aggressori i territori occupati da Putin. Insomma più che il successo del generale Vannacci ad incidere sugli esiti elettorali pare siano stati i sostenitori di Ilaria Salis che dalle carceri ungheresi si trasferirà a Bruxelles per le sue “benemerenze barricadere”. Guardando oltre l’orizzonte nazionale, fa decisamente scalpore la vittoria in Francia di Rassemblement National il partito di Marine Le Pen che ha ottenuto il 31,5 per cento dei voti, vale a dire oltre il doppio del partito del presidente francese Emmanuel Macron (fermatosi sotto il 15%). Un risultato che ha spinto l’inquilino dell’Eliseo a sciogliere le camere e convocare le elezioni anticipate per il prossimo 30 giugno. In Germania invece vincono i democristiani della Cdu, ma avanzano anche Alternative für Deutschland, partito di estrema destra (mai entrato in un governo federale o regionale finora), diventato il secondo partito ed i socialdemocratici dell’Spd. Volendo comunque riepilogare: il dato complessivo delle elezioni in Europa non cambia. Il partito popolare europeo, il vero vincitore della contesa, incrementa di una decina di seggi e verosimilmente si riformerà la maggioranza uscente con il Pse (il partito socialisti europeo). Insomma si conferma quella che veniva definita la maggioranza “Ursula” dal nome di Ursula Von der Leyen, presidente uscente della Commissione europea. Alla fine della fiera i successi delle destre nazionali non incideranno sul Governo Europeo. Nel Belpaese avremo un mese di commenti, polemiche ed enfatiche celebrazioni. Nel centrodestra assisteremo al trionfo della superstar Meloni con le truppe ex berlusconiane pronte a festeggiare l’essere sopravvissuti e così i leghisti sia pure un poco sotto tono. Nel centrosinistra si vedrà un profondo sospiro di sollievo in casa Pd per aver tenuto e migliorato con la Schlein (la quale, però, nel duello a distanza con la rivale di FdI è stata subissata) e l’altra sinistra fare altrettanto per il risultato raggiunto. In fondo la solita politica perche Bruxelles è ancora lontana…
*già parlamentare