L’indicatore del valore complessivo dei beni e dei servizi prodotti all’interno di un Paese, il prodotto interno lordo (PIL), fu inventato negli anni Trenta dello scorso secolo negli Stati Uniti d’America, in piena grande crisi. Pochi anni dopo il suo inventore, Simon Kuznets, dichiarava che «il benessere di una nazione non può essere facilmente desunto da un indice del reddito nazionale». Il PIL è l’indice della produzione complessiva dei beni e dei servizi venduti sul mercato. Non è quindi una misura del benessere (e nemmeno del reddito) di un Paese o di una comunità, ma piuttosto una misura dell’attività economica complessiva. È un indicatore quantitativo. Lo si compara nel tempo, quale percentuale maggiore o minore rispetto a un periodo precedente, come previsione di crescita o di decrescita. Lo si compara con altri Paesi o comunità, se cresce di più o di meno. Lo si rapporta al deficit. Esso svolge varie funzioni nell’immaginario, nella comunicazione, nelle scelte individuali e collettive dei decisori economici, nelle scelte delle istituzioni pubbliche, nella regolazione delle relazioni fra istituzioni. Il PIL ha, particolarmente in Europa, decisive funzioni per le politiche dei governi.

Sono noti da tempo i limiti «informativi» del PIL, gli errori che talora comporta, le distorsioni nella comprensione dell’economia e della società, della vita delle persone e delle relazioni sociali. Una celebre critica sulla limitatezza del PIL fu quella espressa, nel marzo del 1968, in un discorso all’università del Kansas da parte del senatore Robert Kennedy.
Uno dei contributi più interessanti e attuali viene da un recente studio di due ricercatori britannici, Richard Wilkinson e Kate Picklett. Nel loro volume «The Spirit Level: Why More Equal Societies Almost Always Do Better», i due autori dimostrano che in molti casi, nelle economie avanzate, crescita ed eguaglianza si trovano agli opposti. Quando la crescita si consuma ai danni dell’eguaglianza le condizioni di vita all’interno del sistema peggiorano, anche se gli indicatori economici tradizionali – come il PIL – mostrano il segno positivo. Più una società è ineguale – cioè con ampie differenze di reddito e di opportunità tra le diverse classi e i differenti gruppi sociali – e più aumentano i problemi per tutti. L’aspettativa di vita diminuisce, la violenza cresce, le condizioni di salute peggiorano, le situazioni di marginalità aumentano. Le relazioni tra individui e gruppi sociali si deteriorano, con danno dell’intera collettività. Quindi più eguaglianza vuol dire più benessere. Per sapere se una società sta bene occorre dunque «misurare» l’eguaglianza.
La presente proposta di legge intende cominciare a tradurre praticamente alcune di queste considerazioni. D’ora in avanti, bisognerebbe accompagnare il numero del PIL con una parentesi grazie alla quale lo stesso «prodotto» assuma anche un profilo qualitativo. Non un valore alternativo e non un indicatore sostitutivo.
Da decenni si ipotizzano e si sperimentano indici qualitativi di benessere economico (l’ISEW ad esempio), PIL cosiddetti «verdi» (in Cina ad esempio), aggiustamenti del PIL (valorizzando il lavoro domestico, contabilizzando sperequazioni sociali eccetera). Oppure sono fissati indici nuovi in sedi internazionali (pensiamo all’ONU e, sotto diversi punti di vista, all’Unione europea). Il più famoso indice alternativo di benessere è l’indice di sviluppo umano (Human Development Index, HDI) che è utilizzato dall’ONU nel suo rapporto annuale e costruito sulla base di tre indicatori relativi alla speranza di vita, al grado di istruzione e alla media del PIL pro capite.
Il Presidente della Repubblica francese Sarkozy ha istituito una commissione con nomi di grande importanza: Joseph Stiglitz, Amartya Sen, Jean Paul Fitoussi. La commissione non chiede l’eliminazione del PIL. L’indicatore di Kuznets rimane importante per valutare i risultati di un sistema economico. Tuttavia va integrato con statistiche che rendano conto del benessere sociale e ambientale, nelle sue diverse e complesse dimensioni. L’8 settembre 2009, quasi contemporaneamente al rapporto francese, la Commissione europea ha presentato ufficialmente agli Stati membri un’importante comunicazione COM(2009)433 del 20 agosto 2009. Si riconosce che il «PIL è un indicatore fondamentale per valutare l’efficacia dei piani di ripresa dell’Unione europea e dei governi nazionali». Tuttavia l’esigenza di costruire «un’economia a bassa emissione di carbonio, che faccia altresì un uso efficiente delle risorse» e di proteggere coloro che «sono maggiormente colpiti dalla crisi e i più deboli della società» deve portare l’Europa a dare vita a «indicatori più completi della sola crescita del PIL, che includano in maniera concisa le conquiste sociali ed ambientali». La realizzazione di questi indicatori, di concerto con l’Unione europea, è compito degli Stati membri.
Lo sviluppo sostenibile, partendo dalla considerazione del carattere «finito» delle risorse, si pone responsabilmente il problema di un’utilizzazione al presente di tali risorse in modo da non pregiudicarne la disponibilità anche da parte delle future generazioni. Obiettivo della presente proposta di legge è quello di sperimentare una diversa misurazione dei beni e dei servizi che entrano a fare parte del PIL, attraverso l’adozione di indici di carattere ambientale volti a verificare qualitativamente la loro sostenibilità sull’ecosistema.
Si intende pertanto attivare uno strumento, l’Indicatore nazionale di impatto ambientale (INIA), da mettere a disposizione principalmente del Governo e del Parlamento – ma anche dei cittadini e delle imprese – per consentire, una volta entrato a regime, la comparazione delle utilità e dei costi connessi alla valorizzazione o alla compromissione delle diverse componenti ambientali.
L’INIA, mediante una o più unità di misura, convenzionalmente definite, dovrà misurare le esternalità positive e negative di tutti i beni e i servizi rispetto all’atmosfera e all’ambiente idrico, al suolo e al sottosuolo, alla vegetazione, alla flora, alla fauna e agli ecosistemi, al paesaggio e alla salubrità dell’ambiente.
Lo studio e la definizione delle suddette unità di misura convenzionali sono attribuiti all’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), che riceverà le proposte della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministri interessati, nonché delle Commissioni permanenti competenti in materia di ambiente e in materia di bilancio della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Vorremmo evitare l’istituzione di un’apposita Commissione parlamentare, la cui complicata composizione (e la certa lunga durata) rischierebbe di dare all’INIA un significato più culturale che economico. Del resto, l’ISTAT è una pubblica istituzione, autonoma e indipendente, che ha già promosso attività nel senso indicato dalla presente proposta di legge (soprattutto in connessione con progetti dell’Unione europea) e può utilmente integrare il Programma statistico nazionale, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 aprile 2008, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 252 del 27 ottobre 2008.
L’ISTAT potrà altresì avvalersi, per la definizione di questo strumento, della consulenza tecnico-scientifica e istituzionale di specifici organismi di supporto, nonché di esperti di settore. Esso potrà inoltre acquisire il parere delle principali associazioni ambientaliste e di altri soggetti sociali. In particolare, i beni e i servizi contenuti nel PIL saranno misurati in ordine alla loro capacità di contribuire, tra gli altri, all’emissione di gas serra; al risparmio energetico o al ricorso a fonti alternative di energia pulita; alla produzione o all’utilizzazione di fonti di energia rinnovabili o non rinnovabili; alla produzione di polveri sottili nelle aree metropolitane; alla produzione di inquinamento acustico o elettromagnetico; alla dispersione di idrocarburi o di altri agenti inquinanti nelle acque; alla quantità di rifiuti prodotti, alla loro tipologia e al potenziale smaltimento degli stessi; all’impatto sul patrimonio forestale e boschivo o a quello sul sistema delle risorse idriche; all’incentivazione del trasporto pubblico o di quello privato; alla salvaguardia delle biodiversità. Connaturale a questa finalità è l’obbligo previsto per il Governo di allegare tale indicatore, una volta entrato a regime, a tutti i documenti finanziari e di bilancio che si avvalgono dell’indice PIL.
Il testo della presente proposta di legge riprende un analogo progetto di legge presentato dagli onorevoli Calzolaio ed altri, nel 2005 (atto Camera n. 6214, XIV legislatura) e poi ripresentato nella XV legislatura (atto Camera n. 102). Essa non ha la pretesa di essere una risposta esaustiva e definitiva, tuttavia si ritiene importante portare in Parlamento un tema che è sempre più sentito e discusso nell’opinione pubblica e nella comunità scientifica, cercando di trasformarlo in un’iniziativa concreta.
Convinti della necessità di nuovi strumenti conoscitivi e suffragati da quanto viene fatto a livello di Unione europea e da parte di Paesi attenti a verificare la condizione di vita dei propri cittadini, ci auguriamo che, nella discussione più ampia e condivisa possibile, questa proposta di legge possa essere una base di discussione in Parlamento e nel Paese.