Nostalgia / Desiderio malinconico del passato, di luoghi e situazioni in cui si vorrebbe tornare

ETIMOLOGIA composto moderno formato dal medico alsaziano Johannes Hofer nel 1688 con elementi greci, nóstos ‘ritorno’ e -algia, da álgos ‘dolore’.

  • «Ho nostalgia di casa.»

Nel 1688 uno studente di medicina alsaziano di diciannove anni, Johannes Hofer, era impegnato nella stesura della sua tesi di ricerca presso l’Università di Basilea. Stava osservano una particolare affezione che pareva colpire in maniera  i soldati mercenari svizzeri  all’estero: si trattava di una mancanza di casa che acquistava un grado morboso, e che visto l’impatto sull’efficienza delle truppe suscitava un interesse medico particolare. Come chiamare questo male , addirittura noto come ‘mal svizzero’ (Schweizerkrankheit)?

Il laureando Hofer in realtà la parola giusta ce l’aveva già, e già corrente: Heimweh — ‘mal di casa’. E però era una parola con un difetto: era, ed è, una parola tedesca. Se nell’evo moderno discettiamo di medicina, servono le lingue classiche per impostare il giusto tono, al che Hofer si stillò il cervello (e pasticciò un po’) con elementi antichi. Philopatridomania (‘follia da amor di patria’)? Pothopatridalgia (‘dolore da frustrato amor di patria’)? Nostomania (‘follia da ritorno a casa’)? Sono parole che seminò, ma per il titolo scelse nostalgia — Dissertatio medica de nostalgia (sottotitolo per intendersi, Vulgo Heimweh).

La costruzione è relativamente semplice, e per un orecchio  al greco è piuttosto . Ora, -algia in effetti è un elemento dalla fortuna universale, in medicina, visto che indica il dolore (da álgos), e dà forma ai nostri più variegati Nóstos è meno diffuso nelle composizioni profane ma spicca per altezza: i nóstoi in greco sono i ‘ritorni’, ma potevano essere specificamente i racconti dei ritorni da Troia dei singoli eroi — l’ è il nóstos più celebre. La nostalgia è il dolore di un ritorno che odora di Ritorno con la maiuscola, e c’è chi avanza che il greco nóstos sia da collegare a una radice protoindoeuropea ricostruita come nes-, che indica il ‘ritornare salvi a casa’ (che tenerezza, nelle  eterne).

La nostalgia nasce come malattia, quindi. E lo rimane per due secoli buoni buoni. Fino all’inizio del Novecento, anche quando la troviamo in letteratura continua ad avere una sfumatura patologica, una tristezza che nasce dalla lontananza dai propri luoghi e che si fa malattia. Poi si smussa.

Si smussa la concezione patologica della nostalgia, che si avvicina a un genere di malinconia. E si sfoca il riferimento a ‘casa’ — in un certo senso si arricchisce, perché la lontananza inizia a implicare anche, e soprattutto, una lontananza nel tempo.  malinconico del passato. Che idea folgorante — e che impressione pensare che appena appena i miei nonni e le mie nonne hanno vissuto in un mondo in cui ci fosse questo nome per questo sentimento universale ed eterno, che non è roba dei tempi dei Nóstoi, anche se in quelle storie ce lo riconosciamo.

Però un profilo d’affezione continua a conservarlo. La nostalgia ha l’aria di una certa tenerezza di sé, che rilegge e forse comprende (o crede di comprendere) per la prima volta appieno qualcosa della propria storia — si ha nostalgia anche della noia, della difficoltà. Il passare del tempo fa dimenticare, la dimenticanza lascia lo spazio necessario agli  che possono costruire un racconto di noi, racconto di una memoria. Ma i racconti possono invischiare, e amiamo rendere universale la nostra nostalgia; senza contare che di ogni situazione che ci pare nuova, indecifrabile, decadente, altra gente poi avrà nostalgia, perché la nostalgia — desiderio malinconico del passato — è nostalgia di sé, del mistero dei sei, dei quattordici, dei venti anni che abbiamo testimoniato e che non possiamo ripetere.

I secoli e le generazioni ci hanno messo del loro, ma che bella trovata per la tua tesi, Johannes!