IL DECRETO

Festeggiano il 1° maggio coi sussidi alle imprese

E LA MANCETTA ELETTORALE SLITTA AL 2025 – Oggi in Cdm. Deduzioni da 8mila euro ad assunto per 2 anni coi fondi di coesione Ue; il bonus da 100 rinviato a gennaio per non pesare sui conti del 2024

30 APRILE 2024

Dopo lo sfregio al 1° maggio 2023, quando il governo si riunì per approvare il decreto che aboliva il reddito di cittadinanza, stamattina il Consiglio dei ministri si ritrova per vendere fumo ai lavoratori alla vigilia della loro festa: il nuovo decreto illustrato ieri all’ora di cena a Palazzo Chigi ai sindacati – testimonial involontari dello spot meloniano – è un mix di cose che c’entrano poco, mancette elettorali a scoppio ritardato, provvedimenti riciclati e sussidi alle imprese dal dubbio impatto sull’occupazione.

Partiamo dall’inizio. Un anno fa il governo Meloni alla vigilia del 1° maggio abolì il sussidio anti-povertà e rese più facile per le imprese usare i contratti precari, ma contemporaneamente tentò di ammansire i sindacati e l’opinione pubblica potenziando il taglio del cuneo fiscale già varato dal governo Draghi contro l’inflazione (al momento è finanziato fino al 31 dicembre e vale 10 miliardi l’anno). Il 2024, però, è un anno brutto per la finanza pubblica e c’è poco da vendersi agli elettori. L’idea dello staff di Meloni, che cerca voti per le Europee, era il “bonus tredicesime”, anche ribattezzato “bonus di Natale”, da inserire in un decreto attuativo della riforma dell’Irpef: fino a 100 euro una tantum a chi guadagna al massimo 28 mila euro e ha un coniuge e un figlio a carico. Una mancetta per una platea non enorme dal costo di 100 milioni, per la quale il Tesoro non è però riuscito a trovare le coperture quest’anno. Risultato: la distribuzione della mancetta, istituita per decreto e strombazzata in tv oggi, passa da Babbo Natale alla Befana visto che arriverà nelle buste paga a gennaio 2025.

Il capolavoro vero, però, sono gli sgravi per le assunzioni, che – giova ricordarlo – sono sussidi diretti alle imprese, spesso per personale che avrebbero ingaggiato comunque: memorabili in questo senso i 17 miliardi in tre anni che accompagnarono il Jobs Act. La Meloni vende due tipi di sgravi. I primi sono un caso di economia circolare: sono stati decisi a ottobre, sempre nell’ambito della riforma dell’Irpef, e inseriti in un decreto legislativo del 30 dicembre, che stabilisce che le normali deduzioni per le assunzioni a tempo indeterminato nel 2024 vengono aumentate del 20%, che diventa il 30% per alcune categorie “svantaggiate”, a patto però che il lavoro stabile totale in azienda a fine anno sia superiore a quello di 12 mesi prima. Ma se è già in vigore, cosa si vende Meloni? In sostanza, i suoi ritardi: i ministeri dell’Economia e del Lavoro dovevano produrre un decreto attuativo della misura “entro 30 giorni”, cioè entro gennaio, solo che non l’hanno fatto e ora torna buono per il 1° maggio.

Poi ci sono gli sgravi inseriti nel cosiddetto “decreto Coesione”, cioè quello che riforma governance e procedure di spesa dei fondi di coesione Ue (è in arrivo l’ennesima “cabina di regia”): nel testo che va oggi in Consiglio è previsto che per due anni sarà in vigore un bonus pari al 100% dei contributi previdenziali dovuti – circa 8 mila euro l’anno al massimo – per chi assume giovani e donne o nel Mezzogiorno; stessa deduzione anche per chi assume lavoratori di grandi imprese in crisi. Per gli under 35 che invece coltivano l’idea di “mettersi in proprio” sono previsti fondi di vario genere per l’autoimpiego attraverso due programmi: uno destinato al Centro-Nord e uno al Sud, più ricco.

Queste misure dovrebbero essere finanziate, in tutto o in parte, proprio rimodulando i Fondi di coesione europei 2021-2027 (non proprio soldi freschi): anche se nelle bozze del decreto molte cifre sono lasciate in bianco, il conto totale – se fosse tutto confermato, specie gli sgravi per le assunzioni nell’intero Sud Italia – dovrebbe superare i 2 miliardi di euro.

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