*La guerra tra turbanti e kippah*

di Vincenzo D’Anna*

La guerra in Medio Oriente sta mostrando il suo vero volto. Mandanti e sicari stanno uscendo finalmente allo scoperto. I numerosi e ripetuti appelli alla pace, che la comunità internazionale continua a rivolgere alle parti in causa, continuano a perdersi sistematicamente nel nulla cosmico. Così come nel vuoto pneumatico stanno cadendo i commoventi inviti a posare le armi lanciati dal capo della Chiesa Cattolica, Papa Francesco, ormai “disarmato” dalla protervia fideistica dei belligeranti. Lo scontro, come tutti ricorderanno, è iniziato con il proditorio assalto ai kibbutz israeliani da parte dei terroristi islamici di Hamas: un raid sanguinario che ha preso di mira uomini, donne, vecchi e bambini. Il blitz è stato fatto passare come “atto rivendicativo” della libertà del popolo Palestinese. Tuttavia, col tempo, si è capito che il massacro che ne è scaturito, non ha avuto motivazioni “solo” politiche ed ideologiche bensì anche fideistiche essendo stato etero diretto, nonché indotto ed armato, dall’Iran degli ayatollah sciiti, con la complicità di altre cellule come gli Hezbollah libanesi e gli Houthi dello Yemen. Insomma: la causa Palestinese ha “funzionato” da corollario rivendicativo per quel tipo di operazione. Il motivo primo, però, quello vero, che poi è alla base della guerra, è da ricercarsi nel fideismo musulmano contro il quale si è opposto il governo di Tel Aviv, fortemente dipendente, a sua volta, da alcuni partiti della destra religiosa ebraica. Da questo “stato di cose” è nata la violenza priva di misura ed altrettanto crudele con la quale lo Stato della stella di Ddvid ha risposto all’aggressione. Anche sul versante ebraico, infatti, esistono varie tipologie confessionali: aschenaziti, sefarditi, mizrahì, ebrei berberi, italkim, romanioti, falascia, ebrei di Cochin. A dividere in sette religiose questo popolo vi è, tra l’altro, la diversa interpretazione ermeneutica dei testi sacri come la Torah ed i diversi stili di vita assunti in aderenza al proprio credo. L’identica cosa che accade per la lettura delle cosidette Sure del Corano. Per verità storica anche il Cristianesimo ha avuto, nelle epoche lontane, devianze violente. Basti citare i Giansenisti che ritenevano l’uomo corrotto e quindi, senza la grazia di Dio, destinato a fare il male, a peccare ed a disobbedire. Dal rigore interpretativo di tutte le sacre scritture che si alimentano di “verità rivelate”, sorgono frange estremiste e come tali violente nel professare la fede nella massima ortodossia ma anche nei confronti di chi non professa il proprio credo nel modo che si vorrebbe. E’ così che si sono scatenate le guerre di religione in mezza Europa nei secoli scorsi. Occorre però anche dire che il cristianesimo ha un proprio portato “civico e laico”, ossia professa amore e rispetto per il prossimo. Un dato rivelatosi provvidenziali per superare tali forme ottuse di professare la fede. Questo non può onestamente dirsi per i musulmani e per gli ebrei che, nelle loro espressioni più ortodosse, continuano a comportarsi in modo radicale. Ora, comunque sia e qualunque sia l’esegesi di quelle religioni, resta l’evidenza dei guasti e della violenza prodotti dai fanatici della jiad islamica (la guerra santa agli infedeli) e dalla condotta degli ebrei ultraortodossi. Se in Medio Oriente siamo tornati alla legge del taglione, occhio per occhio dente per dente, lo dobbiamo a quel contesto politico religioso. Ed allora il gioco è quello di mostrare i muscoli, colpire chi ti ha colpito a dispetto dell’arte della mediazione diplomatica e della logica: un odio che non conosce tregua e che si nasconde dietro altre cause. Se il popolo, che paga il tributo di sangue, si rivoltasse, prima nelle urne e poi nelle piazze cesserebbe questa lotta tra regimi ottusi e confessionali, nei quali non si deve battere un nemico ma eradicare una razza di infedeli. Se i musulmani non lo comprendono facilmente per il retaggio culturale e storico che gli è proprio, per la mancanza di libertà e di democrazia, dovrebbero farlo gli Ebrei. Chi, infatti, più di quel popolo ha saputo edificare uno Stato laico e democratico in quel contesto territoriale, ha subito la violenza delle altre fedi religiose, è stato sparpagliato, ghettizzato e perseguitato in ogni angolo del mondo? Ed allora il “tira e molla” dovrebbe finire prima sul versante della stella di Davide perché ormai quella che rischia di diventare una guerra su vasta scala non ha niente a che vedere con la civiltà di agire e la libertà di esistere che Israele invoca giustamente. E la comunità mondiale può ben trovare le soluzioni politiche per risolvere i problemi etnici e politici in Palestina. Quello che non si può sanare è la guerra retrograda tra le barbe ed i turbanti degli Ayatollah ed i capelli coi boccoli che fuoriescono dai neri cappelli degli ebrei ortodossi o dai loro copricapi chiamati “kippah”.

*già parlamentare