*Burocrazia, no alla nuova tirannia* di Vincenzo D’Anna*
Liberato, negli anni, da pochi intellettuali, filosofi ed economisti di quell’orientamento, oltre che dalla proposta politica di Silvio Berlusconi (cui va ascritto il merito di averne fatto una bandiera), il Liberalismo è tornato, almeno nelle enunciazioni, alla ribalta. Negli anni bui dell’egemonia culturale della Sinistra e dalla pratica statalista dei governi che si sono succeduti in quel periodo, le tesi liberali e liberiste (liberalismo economico, il cosiddetto “mercato di concorrenza”) sono state oggette di una feroce discriminazione che molte volte ha assunto la veste di una perpetua menzogna. Un periodo delicato per la storia della Repubblica, un vero e proprio ghetto al cui interno debito pubblico e assistenzialismo clientelare (che ne era il presupposto) sono cresciuti a dismisura con il risultato, troppo comodo, di addebitare al capitalismo ed al liberal-liberismo tutti i guai provocati dalla gestione socialista e statalista della “cosa pubblica”.
Allorquando, infatti, fallivano le iniziative statali ecco che si provvedeva alla cessione degli asset statali ai privati con una vera e propria “svendita”, salvo poi a riacquistare, in molti casi in perdita, quel che si era ceduto in precedenza. Coloro che avevano fatto inizialmente l’affare, privatizzavano gli utili ricavati e pubblicizzavano le perdite, attraverso un ulteriore esborso dello Stato!! Quest’ultimo sempre soccombente per poter “salvare” le migliaia di posti di lavoro in bilico dal minacciato nuovo fallimento!! E’ accaduto con le acciaierie, le autostrade, la telefonia, i trasporti aerei e marittimi, la chimica, l’industria agro alimentare. Tutti grani dello stesso rosario, della cervellotica prassi e dell’inefficienza degli apparati statali ai quali l’opinione pubblica del Belpaese si è, via via, assuefatta neanche si trattasse di eventi ineluttabili. Il tutto solo per evitare di dover ricorrere al principio della libera concorrenza, della misurazione della produttiva e della qualità di servizi e dei prodotti secondo criteri meritocratici, di economicità e di efficienza. In fondo tutti quelli che gestiscono le aziende statali hanno fatto e ancora fanno a meno delle regole del mercato e decidono come meglio e più gli pare, ben sapendo, in caso di necessità, di poter ricorrere allo Stato il quale ripiana puntualmente i debiti prodotti. Per dirla in breve: la conduzione di quelle imprese è di natura politica. Ha cioè l’obiettivo di curare interessi di potere più che guardare ai buoni risultati. In soldoni: stiamo parlando di un sistema improduttivo, che alimenta posti di lavoro, consorterie politiche e sindacali, rompendo ogni nesso esistente tra ricompensa e merito, disinteressandosi di ottenere il gradimento degli utenti ed il rispetto per i soldi del contribuente, ma solo delle rendite elettorali.
E tuttavia, nonostante lo sfascio economico, in quegli anni bui si è sempre trovato il tempo di indicare nella pratica liberal-liberista, più in generale nel capitalismo, il nemico da abbattere, la causa di tutti i mali!! Si sarebbe dovuto attendere la fine della partitocrazia e la nascita della “Seconda Repubblica” per iniziare ad accendere i riflettori su quel precipuo modo di fare e sui guasti che esso ha comportato. Uno dei pochi bastioni di fortezza del Liberalismo, in quel periodo di bugie e sperperi di pubblico denaro, è stato l’Istituto Bruno Leoni di Torino fondato dall’economista Sergio Ricossa, che ha tenuto convegni, dibattiti, editato libri di autori liberali (grazie al contributo di qualche piccola casa editrice), con testi di nicchia, difficili da reperire quanto preziosi da leggere. Da questo autentico “tink tank” sono giunte e ancora arrivano riflessioni e critiche all’operato dei governi quando questi imbroccano vecchie strade fallimentari, l’ultima delle quali è di fresco conio essendo riferita alla necessità di mettere mano ad una riforma della burocrazia, alla cancellazione dei mille vincoli a cui sono sottoposte le imprese italiane. Vincoli che tarpano le ali a chiunque intenda intraprendere. Peccato però – è notizia di questi giorni – che il Parlamento abbia appena approvato norme sulla semplificazione ancora più pletoriche e complicate da attuare, per poter proteggere la salute dei lavoratori, l’ambiente, la sicurezza sui luoghi di lavoro,ottenere permessi ed autorizzazioni per intraprendere l’attività. Sì, perché maggiori sono le cautele da richiedere più difficile diviene districarsi per ottenere concessioni con il risultato di moltiplicare funzioni e funzionari, firme da apporre, perizie tecniche, elaborati grafici da realizzare, manuali e linee guida da vergare. Insomma: l’ennesima nuova montagna di documenti da scalare con il risultato, anche questa volta, di rasentare l’assurdo!! Il governo in carica ha finora ignorato questo stato di cose, dimenticando completamente la “semplificazione del sistema”. Ci fu un tempo in cui il governo di Centro Destra predicava l’auto-certificazione per dare vita ad un’impresa commerciale oppure industriale e professionale, salvo poi verificarne successivamente la corretta attuazione. Oggi invece quella impostazione liberale, fiduciaria, e’ ignorata e ci ritroviamo al cospetto di una nuova idolatria per la barriera burocratica insormontabile. Un muro che miete vittime ogni giorno, che disincentiva la libera impresa e la spinta propositiva al fare. Diciamocelo chiaro e forte: i rivoluzionari non sono quelli che, sbracati e vocianti, sfilano nel cortei di protesta, ma quelli che in silenzio operano per tutelare gli interessi generali della Nazione. Per questo diciamo no alla riproposizione della tirannia della burocrazia e della pavida incapacità, l’atavica disonestà di chi dovrebbe servire uno Stato moderno, amico del cittadino.
*già parlamentare