*Catechesi del terzo millennio*

di Vincenzo D’Anna*

Sarà forse l’età non più verde, il tipo di educazione impartita, l’istruzione ricevuta ad aver fatto di tanti anziani degli emarginati: estranei al mondo che li circonda. Tuttavia credo abbiamo ancora il diritto sia di sindacare che di protestare. In fondo le prerogative costituzionali riconosciute ai cittadini del Belpaese non perdono la loro forza con il passare degli anni, anzi, risultano corroborate dall’esperienza e dal bagaglio di conoscenze maturate. Ora, se queste ultime risultano accresciute dal non aver mai smesso di studiare oppure dall’aver fatto fruttare quel che si è appreso col tempo, ecco che il portato culturale dei “non più giovani” risulta adeguatamente aggiornato. Un vecchio aforisma ci avverte che imparare è un esercizio faticoso come vogare controcorrente. Ebbene, nel momento in cui si smette di remare, aggiungiamo noi metaforicamente, non si resta più in quel punto bensì, spinti dall’avverso senso, si torna indietro, inesorabilmente, verso un analfabetismo di ritorno. Una condizione che oggi è largamente diffusa più tra le “nuove leve” che tra gli anziani, per la scarsità della attuale didattica scolastica e per la poca propensione allo studio degli studenti, sovente sostenuti a spada tratta dai genitori anche in quelle circostanze che richiederebbero un atteggiamento più severo ed educativo. Le aggressioni e le contestazioni volgari ai docenti sono all’ordine del giorno e gli istituti democratici introdotti dai decreti delegati della scuola sono utilizzati perlopiù come paravento per fare il proprio comodo, ossia perorare tutte le cause degli asini e degli sfaticati!! Insomma: una civiltà, quella del terzo millennio, che facendo leva sui sussidi forniti dalla tecnologia, vicarianti del sapere vero e proprio, ha emarginato il ragionamento sugli argomenti contrapposti, sostituendolo con convincimenti “epidermici” che confluiscono dentro gruppi organizzati che si contrappongono ai loro, altrettanto sprovveduti, antagonisti. L’aria che tira nella scuola è quella del 1968: quella della contestazione generale al sistema, della faziosità indotta e preconcetta che sostituisce quella acculturata ed organica delle “ideologie” di un tempo. Ma il movimento studentesco di quegli anni poggiava su ragazzi più istruiti che, ancorché politicizzati, avevano gli strumenti dialettici e politici per indicare una strada di cambiamento sociale. I loro “eredi”, i millennial e i fanciulli della “generazione zeta”, sono cresciuti, invece, nell’opulenza e nell’arroganza, orfani della famiglia che educava, dei valori che indirizzavano la visione avveduta del mondo. Costoro protestano non contro il sistema ma contro quello che si para innanzi a loro come “ostacolo” alle proprie convenienze. Parliamo di ecologisti che però non rinunciano ad inquinare, di moralisti e severi giudici ma solo delle cose che non procurano alcun tornaconto: li vediamo marciare e protestare per sentirsi alla moda, per darsi un tono ed un peso. Quasi sempre anonimi e saccenti, i contestatori dei questi anni maramaldeggiano sui social con sfrontarezza e violenza verbale, sempre sostenuti da babbo e mamma, il cui senso di colpa si trasforma in difesa ad oltranza dei propri pargoli, ad espiazione di separazioni, divorzi, sfascio della famiglia o di nuclei aperte, spesso monogenitoriali o omosessuali. Indecisi a tutto, finanche nell’individuazione del proprio genere. L’assenza di conoscenza e di cultura adeguata costringe i “contestatori” ad optare per le scelte indeterminate. Non a caso sulle mura della Normale di Pisa campeggia la scritta: “Sempre e comunque contro chiunque”, che somiglia tanto a quella che, sulle mura della Sorbona, nel 1968, recitava: “Non sappiamo cosa vogliamo ma lo vogliamo subito”. Altro che la filosofica indicazione “l’immaginazione al potere”!! Insomma, per immaginare bisogna avere gli strumenti di base ed una generazione che non riesce più a scrivere in corsivo, che conosce appena duecento vocaboli, quale ragionamento potrà mai fare se non è capace nemmeno di esprimersi? Purtroppo alle mamme ed ai papà, ai cattivi maestri, quelli che siedono in cattedra oppure in Parlamento, poco importa se le richieste e le proteste possono essere messe al servizio della loro precipua convenienza e del minore dei fastidi possibili. Sia ben chiaro: non stiamo lodando il passato tout cuort, ma “solo” quello che di buono esso conteneva, magari ignorato oppure dissipato da figli e nipoti. In questo brodo di cultura possono nascere solamente sottospecie protestatarie, simulacri di rivoluzione sociale, sanculotti che vestono in cachemire, forgiati dalla militanza attiva di compleanni, ricorrenze, feste, palestre, vacanze ed happy hour!! Ed allora, per sgranchirsi le gambe, per sentirsi interpreti degli eventi, lindi, lustri e ben vestiti, sfilano in cortei ed inneggiano ad idee loro propinate ed accolte senza alcun discernimento. Affrontano, impavidi, i “figli del popolo”, quelli che di mestiere indossano la divisa. Giovani ai quali, per poco più di un migliaia di euro al mese, è stato impartito l’ordine di difendere lo Stato, di farsi garanti della pacifica e civile convivenza. Giovani che vengono trasfigurati in truci repressori, manganellatori al servizio di un regime oppressivo, da coprire di insulti, sputi e, perché no, mazzate. Questa la catechesi della modernità. Io sto con i poliziotti e me ne frego.

*già parlamentare