A noi
di Arrigo Petacco

A proposito della manifestazione fascista a braccia tese e grida “A noi!” dell’altro giorno

Prospero Gianferrari (2° da destra) negli stabilimenti Alfa Romeo

«Il 7 dicembre 1931 Starace si insedia a Palazzo Vidoni, sede della segreteria del PNF. Il giorno stesso, in attesa dell’arrivo del Duce, il nuovo segretario farà provare un nuovo rituale di saluto di sua invenzione: all’ingresso di Mussolini, spiega Starace ai camerati, lui griderà: “Saluto al Duce!” e gli altri risponderanno, in coro e col braccio teso nel saluto romano: ”A noi!”. L’innovazione non è ben accolta, e si mormora sia una pagliacciata. Ma Mussolini accoglierà la fiera deferenza con il petto gonfio d’orgoglio; da allora entrerà a far parte dell’iconografia popolare del fascismo»

Macchia non di poco conto nella ”fascistissima” figura di Starace è la sua manchevolezza sul fronte della virilità: si mormora infatti che egli sia omosessuale. L’accusa è gravissima e subito viene mobilitata l’OVRA. Una nota anonima riferisce che «A Lecce, dove S.E. Starace ha trascorso la propria giovinezza, è molto diffusa la convinzione che il Segretario del Partito sia un pederasta passivo. Per questa sua debolezza egli sarebbe anche stato espulso dal Collegio Nazionale dove studiava da ragazzo. Inoltre c’è a Lecce un certo Ramundo che si vanta apertamente di essere stao ’il primo profittatore fisico della sua fanciullezza’». Altre informative che giungono sul tavolo di Mussolini sono però di tutt’altro tenore, in esse si definisce Starace come «un gran consumatore di ballerine», e si dice che «l’attività di puttaniere di S.E. Starace non ha un’attimo di sosta», inoltre la lettera di un vescovo riferisce che «in un castello di Santa Severa, presso Roma, Starace, Scorza e altri gerarchi organizzano orge neroniane» . Non può essere escluso che questa campagna diffamatoria sia stata organizzata dallo stesso Starace per rassicurare il Duce della propria virilità.

Fra il Duce e Starace c’è una certa sintonia, trascorrono insieme intere ore chini sui modelli di nuove divise come una coppia di moderni stilisti, insieme ideano la campagna contro la “donna-crisi”, la donna robusta e di seno prosperoso fattrice di italiani, come piace a Mussolini. Starace pecca d’eccesso di zelo quando dopo la conquista d’Etiopia del 1936 propone di integrare il “saluto al duce” nella formula “Salutate nel Duce il fondatore dell’Impero” alla quale si risponderà con il canonico ”A noi!”. Mussolini commenta: ”Invece di A noi! vien voglia di rispondere Amen ”. Il Duce lusingato accetterà il nuovo saluto anche se riderà di gusto quando gli riferiranno la storiella che circola secondo la quale Starace, incapace di mandare a memoria la formula, se la scriverebbe sul palmo della mano. Verrà invece rifiutata la proposta di far concludere ogni lettera con “Viva il Duce”, sul modello dell’“Heil Hitler!” tedesco: si ritiene che dopo una lettera di condoglianze o di licenziamento non sia conveniente una tal conclusione.

Starace sarà utilizzato da Mussolini oltre che per compiti “scenografici” anche per operazioni poco pulite, come il siluramento di Leandro Arpinati, potente sottosegretario dell’Interno, legato al Duce dalla vecchia militanza socialista rivoluzionaria. Spirito libertario, Arpianti si rifiuta di ordinare ai dipendenti del ministero di iscriversi al Partito, iniziativa dello stesso Starace, inoltre protegge il giornalista Mario Missiroli, l’ex direttore del “Resto del Carlino” messo al bando dal regime che si mantiene svolgendo piccole collaborazioni al “Messaggero” sotto falso nome. Starace proporrà al capo del Partito un rapporto pieno di accuse nei confronti di Arpinati, che lo affronterà alla Camera e lo schiaffeggerà senza che questi reagisca, come non reagirà ad un biglietto che inequivocabilmente lo sfida a duello e che mostrerà al Duce, il quale deciderà per il licenziamento ed il confino di Arpinati dopo che questi avrà rifiutato di scusarsi con Starace ed anzi avrà commentato: «Duce, se dovessi scrivergli tutti i giorni, ripeterei sempre che Starace è un fesso».

Dopo la caduta di Arpinati iniziano ad arrivare sulla scrivania di Mussolini diversi rapporti sulle attività di Starace, del quale si denuncia l’appartenenza alla Massoneria e del quale inoltre si narrano imbarazzanti gesta oratorie che comprendono l’aver invitato alcune signore, durante una cerimonia ufficiale a Mantova, a valutare le sue capacità amatorie, o la figuraccia raccolta a Padova quando dopo aver perso il filo del discorso durante un incontro con alcune autorità, perse anche il foglietto sul quale l’aveva appuntato e che teneva nel polsino, e vista l’intenzione di qualcuno di raccorglielo se ne risentì, salvo poi, dopo essersi di nuovo trovato a balbettare, raccoglierlo da sè stesso.

Il 31 ottobre del 1939 Starace, l’inventore del salto nel cerchio infuocato, fu sostituito alla guida del PNF dal giovane e carico di gloria Ettore Muti. Il fedele e servizievole gerarca viene trasferito al comando della Milizia, perché fosse meno clamorosa la defenestrazione dal precedente prestigioso incarico. Ma il 16 maggio 1941 Mussolini licenzierà Starace in maniera brutale, dichiarandosi insoddisfatto della sua opera e comunicandogli che lo chiamerà quando avrà bisogno di lui in Africa Orientale, dove si attende una ripresa. La ripresa non ci sarà mai, in Etiopia è tornato il Negus e Starace è disoccupato. Uno dei motivi che hanno suscitato l’ira del Duce, oltre al fatto di essere stato costretto silurare Arpinati, è stato l’aver saputo che Starace manda in giro i suoi quattro cani accompagnati da un milite, “L’Italia ha ancora le scatole piene dei cani di D’Annunzio per sopportare quelli di Starace!”, così si espresse il Capo del Fascismo.

Starace invierà a Mussolini infinite lettere piene di dolore e dal tono patetico dell’amante tradito. Questi sfoghi non avranno mai risposta. Durante e dopo il 25 luglio e l’8 settembre 1943 Starace passa inosservato, e invece di approfittarne si reca senza indugio a Salò per “offrire il suo braccio” al Duce, che nemmeno stavolta vuol riprenderlo con sè. Per i cupi fascisti di Salò l’ex “coreografo del regime” è una figura anacronistica, sarà arrestato ed internato, nonostante ciò continuerà a scrivere lettere a Mussolini, nelle quali tenta, pur di convincere il suo amato capo, anche la carta della scaramanzia, dicendogli che la sua nomina a segretario del partito coincise con il momento più alto dell’impero e del fascismo e che quindi potrebbe essere di buon auspicio una sua reintegrazione. Starace rivedrà il “suo” Duce solo il 29 aprile del 1945, appeso a testa in giù al distributore di benzina di Piazzale Loreto. L’ex gerarca è stato arrestato dai partigiani il giorno prima con indosso una vecchia tuta da ginnastica, sarebbe potuto facilmente fuggire ma forse non si rendeva pienamente conto di ciò che stava accadendo. Quando qualcuno gli dice, irridendolo, “Saluta il tuo Duce”, senza un attimo di esitazione scatta sull’attenti e leva il braccio teso nel saluto romano, poi con la faccia al muro, nell’attesa della scarica di pallottole dirà al plotone d’esecuzione: “Per favore, fate presto”.