Palamara e la lettera scarlatta* di Vincenzo D’Anna*

Chissà quanti, ancora oggi, ricordano la vicenda politico-giudiziaria di Luca Palamara, magistrato già componente del Consiglio Superiore della Magistratura, nonché segretario, a soli 39 anni, dell’Associazione Nazionale Magistrati. La sua è stata un carriera brillante, che lo ha visto – alla guida di una corrente di centro (Unità per la Costituzione) – contribuire a determinare le decisioni dell’organo di autogoverno dei giudici, oltre a tessere rapporti con il mondo della politica. O meglio: con quel Pd (e con la sinistra in generale) che è di fatto, egemone nel novero delle preferenze politiche di certe toghe fin dal lontano 1946, anno in cui il governo di solidarietà nazionale guidato da Alcide De Gasperi con l’allora segretario del Pci Palmiro Togliatti, ministro di giustizia, varò la legge di amnistia per i reati politici confermando nei loro ruoli tutti i magistrati allora in carica. Insomma in nome della pacificazione nazionale e per l’affermazione dell’anti fascismo come dottrina fondante della Costituzione (e della neonata Repubblica), l’amnistia, per mezzo dei magistrati e delle ambiguità presenti nel testo di legge, diventò, di fatto, generale, finendo per insabbiare anche delitti scomodi commessi nel corso della guerra civile che insanguinò ulteriormente l’italia tra partigiani e fascisti . La società italiana, per motivi diversi, interpretò quel provvedimento di legge come una sorta di autoassoluzione, trasformandola l’amnistia in “amnesia”. Arriverà, successivamente, nel 1951, sempre su proposta del leader comunista, la legge Togliatti che congelò ogni riforma dell’oramai disciolto ordinamento giudiziario fascista. Rimasero però in vigore le norme inerenti le modalità di assunzione dei magistrati, il trasferimento dei pretori nei ruoli della magistratura ordinaria secondo il loro grado di anzianità di servizio e, soprattutto, una ben lauta retribuzione (molto più ricca rispetto a quelle normalmente previste per i pari grado nella pubblica amministrazione). Insomma iniziò in questo modo lo stretto legame tra una certa parte politica e quella fetta di magistratura orientata politicamente a sinistra: un nesso tra beneficiati e benefattori. Tutto filò liscio fino a quando, dopo le vicende di Tangentopoli, nel corso delle quali si indagò sopratutto sul finanziamento occulto procurato ai partiti di governo, la politica, pressata dalla protesta di piazza si disarmò del tutto, rinunciando alla immunità parlamentare previste dall’articolo 68 della Magna Carta. Cominciò così quel fenomeno che ha consentito all’ordine giudiziario di trasformarsi in “potere”, l’unico per il quale restavano le garanzie costituzionali, determinando uno squilibrio nel rapporto tra i poteri dello Stato. La magistratura cavalcando sia l’onda della strumentalizzazione politica sia la voglia di salire in alto di coloro che si dichiaravano “nuovi” e quindi puri, assurse al ruolo di setaccio della classe politica e finanche degli esiti stessi del voto, con il risultato di ritrovarci una democrazia sub iudice, prigioniera degli atti giudiziari. Insomma: una clima da pubblica gogna per chiunque riceva anche un avviso di garanzia. E’ così, in fondo, che nascono gli “impresentabili” ed ogni principio o garanzia di presunzione di innocenza finisce alle ortiche!! Il combinato disposto tra intervento della magistratura e giornali di riferimento di quest’ultima, aizza il sentimento rancoroso di un popolo di clienti e beneficiati politici, trasformando gli Italiani in una setta moralista ed intransigente. Anche nella magistratura operano e si rafforzano le correnti politicizzate che colpiscono secondo pregiudizi ed indirizzi ideologici. Questi ultimi, pur messi in pratica per anni, sono stati stranamente denegati e contestati sia dalla sinistra politica che dagli stessi magistrati con un “non è vero” che, con il tempo, è diventato una sorta di mantra. Una specie di “j’accuse” rinfacciato ai “colpevoli”, alla casta dei politici corrotti. Tutto questo fino a quando un bel giorno il cielo plumbeo di un sistema che spadroneggiava in lungo ed in largo, inattaccabile ed impunito per qualunque abuso, non ha finito per squarciarsi, irradiando la realtà di una luce rivelatrice: i magistrati (non tutti ovviamente) si spartivano gli incarichi di vertice delle Procure con il manuale Cencelli, neanche fossero parte di una setta politicizzata e protetta chiamata a decidere su se stessa in maniera inconferente ed irresponsabile!! Chi ce lo ha fatto sapere? Chi ha vuotato il sacco? Chi ci ha detto che era tutto vero? Ma proprio lui: Luca Palamara, l’ex magistrato. E’ stato lui, l’ex leader dell’Anm, infatti, a privarsi di tutti i vari paludamenti e delle cento menzogne che ancora coprivano le magagne della corporazione delle toghe, con un Vera e propria denuncia . In un libro, l’ex magistrato ha messo, nero su bianco, fatti, nomi, ruoli e circostanze. Era però un anello debole nella catena dei potenti che fanno e disfano come vogliono. Palamara che pur si era ribellato al ruolo di capro espiatorio, confessando quel che era inconfessabile, scoperchiando il classico vaso di Pandora delle spartizioni e della prassi in uso in certi ambienti togati, per eliminare gli avversari interni ed esterni di quella potente categoria. Palamara, insomma, qualora non lo si fosse capito, ha rivelato come con l’uso del combinato disposto del reato di concorso esterno in associazione mafiosa ed il diligente utilizzo dei pentiti (beneficiati dai vantaggi loro accordati dai pubblici ministeri che li hanno in gestione) si sia potuto cancellare dalla scena politica chiunque non fosse gradito o, peggio ancora, fosse provvisto di consenso elettorale nel campo avverso!! Palamara è stato processato e radiato dall’ordine togato, con la lettera scarlatta del “traditore”. Tutto questo nel mentre i “beneficiati” hanno continuato a farla franca ed a spartirsi il potere a gestire quella che chiamano giustizia. Innanzi a questa ipocrisia ed agli abusi io preferisco Palamara. E ne tesso le lodi.

*già parlamentare

FONTE:

P.S.: Nota del direttore.   Io sono con Palamara e ammiro D’Anna per il suo coraggio e per la sua conoscenza dello scibile umano –