*La sindrome cinese*

di Vincenzo D’Anna*

Coloro che sono nati nel secolo scorso hanno vissuto sulla propria pelle il terrore della “sindrome cinese”. Non si trattava di un virus né di un’epidemia, bensì di una condizione “mentale” che tendeva ad aborrire ogni tentativo di costruire centrali nucleari. Una forma di energia che, a quei tempi, si riteneva essere la più pulita ed economica nonché alternativa a quelle più inquinanti, come il carbone ed il petrolio. L’espressione “sindrome cinese” fa riferimento ad una teoria, mai verificata nella pratica, che presuppone che in caso di incidente e di conseguente fusione del nocciolo radioattivo del reattore, niente riuscirebbe a frenarne la terribile e mortale deflagrazione, con effetti devastanti finanche per la tenuta della stessa crosta terrestre. Una boutade bella e buona, quasi ironica ma che ebbe effetti terroristici assurdi nel modo di intendere e di valutare la questione. A creare ulteriori pregiudizi fu poi l’uscita, negli Stati Uniti, di un omonimo film con Jack Lemmon e Jane Fonda, che fu proiettato, paradossalmente, poche settimane prima dell’incidente che provocò la parziale fusione del nocciolo nella centrale di Three Mile Island. Insomma, la realtà superava la fantasia. Altri incidenti si sono verificati nel tempo in questi veri e propri templi della tecnologia avanzata, complessa ed a volte pericolosa, il più famoso dei quali fu certamente quello avvenuto in Ucraina a Chernobyl nel 1986. In quel caso si ebbe, forse per vetustà degli impianti o per la mancanza di adeguati controlli, la fusione di uno dei reattori nucleari e l’irradiamento di radioattività, su vasta scala, in buona parte dei paesi dell’Est Europa. Intere città furono evacuate ed un cordone sanitario cinse un’area immensa, dedita a coltivazioni, anch’esse inquinate insieme con suolo, aria ed acqua. Molti furono i deceduti tra gli addetti ai lavori che si sacrificarono eroicamente per coprire il reattore con polvere di boro e sostanze inerti, fino a rinchiudere in una bara di acciaio tutto il nucleo. Come è costume in Italia, i toni, le paure, gli allarmismi ed i pregiudizi archiviarono definitivamente il progetto di costruire centrali nucleari, chiudendo quella posta sul Garigliano, in attività dagli anni Sessanta del secolo scorso, tra Campania e Lazio e quella, molto più grande e costosa, di Trino Vercellese già in avanzata fase di realizzazione. In quest’ultimo caso il danno si sommò alla beffa. Alla perdita dei miliardi già spesi, infatti, si unì la “scelta” di recuperare quel danaro (e la perdita di energia prodotta a basso prezzo) con un addizionale (accise) imposta sulla bolletta dell’Enel!! Balzello che, come da italica tradizione, non fu più tolto e che gli italiani hanno continuato a pagare per anni sui generi di consumo. Non so quanti siano quelli che oggi sanno che la penuria di energia a basso costo ha indotto lo Stato, monopolista, a far pagare non solo i consumi in kilowattore ma anche un fido sul cosiddetto impegno di potenza. In pratica è come se il salumiere vi facesse pagare non solo il prosciutto che comprate ma anche una aliquota per renderlo disponibile. Se ci aggiungete un altro indice per l’uso della carta e della bilancia ecco che alla fine avremo pagato sia quel che abbiamo effettivamente acquistato, sia la possibilità di averlo trovato in salumeria sia la bilancia stesso per la pesa. Uno stato di stato di cose che ricorda le gabelle sul chiaro di luna che il Principe del Fucino imponeva ai poveri cafoni così come descritto da Ignazio Silone in “Fontamara”. Assurdità di uno Stato che detiene “privilegi” diffusi, contrabbandati come uno strumento sociale privilegiato in nome di una presunta superiorità etica!! Tuttavia se non ci sono profitti ci saranno sicuramente delle perdite da accollare ai contribuenti. Un contesto, quello descritto, che per anni ci ha lasciati con costi altissimi dell’energia elettrica e termica, con svantaggi per la nostra imprenditoria che, non a caso, ha dismesso produzioni come acciaio ed alluminio con altissimo impiego di risorse energetiche. Il quadro è ben noto: industrie decotte svendute ai privati che privatizzando gli utili hanno pubblicizzato le perdite ricattando lo Stato fino a costringerlo a “ricomprare” quelle aziende per mantenere inalterati i livelli occupazionali. Taranto, Bagnoli, Teramo, le Miniere del Sulcis sono esempi di scuola di quelle scelleratezze. Ora compriamo dalle vicine centrali nucleari francesi le quali lucrano sui costi oppure ci mettiamo (ancora) ad usare gas e petrolio! Siamo maestri nel progettare e costruire centrali super sicure in tutto il mondo eppure non lo facciamo per noi ancora in balia sia della “sindrome cinese”, sia del caro bollette.

*già parlamentare

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