GIUSTIZIA

Toghe contro Nordio “Le intercettazioni sono indispensabili”

CORTI D’APPELLO. L’ALLARME – Al via l’anno giudiziario. Meliadò (Roma) attacca la legge Cartabia: “Ci sta paralizzando i processi” Saluzzo (Torino): “Mafie, ci servono gli strumenti”

DI GIANNI BARBACETTO, VINCENZO BISBIGLIA, SAUL CAIA, FRANCESCO CASULA, E DAVIDE DEPASCALE

29 GENNAIO 2023

Gli effetti nefasti di una riforma sulla tutela delle vittime dei reati e l’analfabetismo giuridico di chi si scaglia contro un prezioso strumento d’indagine. Da Torino a Palermo, passando per Milano, Napoli e Bari, le relazioni dei procuratori generali e dei presidenti delle Corti d’appello per l’inaugurazione dell’anno giudiziario sono un coro di critiche, più o meno dirette, alla politica.

Piuttosto allarmanti le dichiarazioni di Giuseppe Meliadò, presidente della Corte d’appello di Roma, secondo cui “la riforma Cartabia rischia di produrre effetti paralizzanti per la giurisdizione penale”. Il riferimento è al fatto che il tribunale romano – nel distretto più importante d’Italia, con 50 mila processi in corso – sta dando priorità ai nuovi procedimenti (incardinati dal 2020 in poi), lasciando andare i vecchi, “anche se più gravi per la natura delle imputazioni e per l’allarme sociale che producono”. Tutto ciò in una città dove si processano non solo reati locali, ma anche vicende nazionali e internazionali.

Milano, inaugurazione dell’anno giudiziario con seduto in prima fila l’eurodeputato di FdI Carlo Fidanza, indagato per corruzione. “La riforma della giustizia non funzionerà senza più magistrati, più mezzi, più personale amministrativo”, ha detto il presidente Corte d’appello Giuseppe Ondei, che ha ricordato che manca il 31,4% del personale amministrativo e ha segnalato problemi anche alle reti informatiche.

Il procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo non le manda a dire al ministro Nordio, che la settimana scorsa aveva accusato i giudici antimafia di “vedere la realtà attraverso i propri pregiudizi”. “Non si tratta di fare polemica – ha replicato Saluzzo – ma di fare dialettica: è stato detto che i magistrati vedrebbero la mafia dappertutto. Ribalterei la questione: è la mafia a essere un po’ ovunque. E per colpirla servono strumenti adeguati, in linea con i tempi, come le intercettazioni telefoniche e telematiche”.

“Quindici magistrati in più fanno la differenza in un momento in cui Cosa nostra è in oggettiva profonda difficoltà dopo le indagini che hanno portato alla cattura di Matteo Messina Denaro. Le intercettazioni sono uno strumento fondamentale per il contrasto alle organizzazioni criminali”. Lo ha detto a Palermo il procuratore Maurizio De Lucia, che chiede un ulteriore sforzo allo Stato nel contrasto alle mafie dopo l’arresto di ’u Siccu. Ad aprire gli interventi è stato il presidente della Corte di appello Matteo Frasca, seguito dal vicepresidente del Csm Fabio Pinelli. L’importanza delle intercettazioni è stata ribadita dalla procuratrice generale Lia Sava.

Anche il procuratore generale di Lecce, Antonio Maruccia, ha espresso aspre critiche nei confronti della riforma Cartabia e ha spiegato che la separazione delle carriere è un “un vulnus per l’equilibrio del sistema di garanzie dei cittadini”, ma più in generale “pone notevoli problemi giuridici, amministrativi e organizzativi derivanti dai complessi adempimenti richiesti, dai tempi e dalle modalità di applicazione delle nuove norme di diritto sostanziale e processuale”.

Per il pg di Bari, Angela Tomasicchio, invece, con la nuova riforma “non vi è più la tutela della parte offesa se lo Stato si defila dal processo” e cita alcuni esempi: a Trani, prima provincia in Italia per furti d’auto, bande di criminalità organizzata “aumenteranno l’attività illecita, forti dell’improcedibilità” e a Foggia le vittime “ci penseranno due volte a sporgere la querela perché oltre al danno potrebbero subire la beffa e il pericolo dell’intimidazione”. Lo Stato, in sostanza, “abdica alla sua funzione di tutela dei diritti delle vittime”. Il pg di Potenza, Armando D’Alterio, infine, ha definito la riforma “incompiuta” in particolare in relazione ai collaboratori di giustizia: per loro gli “oneri per l’ottenimento di benefici penitenziari sono infatti divenuti più gravosi rispetto ai soggetti che non collaborano”.

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