CHE MINISTRA

La Santanchè pignorata: va in ginocchio dagli islamici

IL TRUCCO – Condannata a pagare 30 mila € per aver diffamato Ucoii, chiese al giudice uno sconto per “indigenza”, ma non rispettò le rate

DI NICOLA BORZI E THOMAS MACKINSON 

10 NOVEMBRE 2022

Il 9 giugno 2016 a Milano è una bella giornata di sole. Un ufficiale giudiziario e il legale di un creditore sono in via Giovanni Battista Soresina, davanti a uno splendido villino bianco di quattro piani, fine 800, a due passi da corso Vercelli. Cascate di gerani rossi scendono dai quattro balconi. Sono lì per pignorare i beni di Daniela Garnero Santanchè, all’epoca deputata di Forza Italia, oggi ministro del Turismo di Fratelli d’Italia, a rischio di conflitto di interessi (sulle concessioni balneari), con una società quotata, Visibilia Editore, sulla quale pende una richiesta di liquidazione giudiziale e indagini per ipotesi di false comunicazioni sociali e che, in base a documenti in mano a Consob, teneva i dipendenti in cassa Covid a zero ore, facendoli lavorare lo stesso. Ma nel 2016 Santanchè è ancora deputata con delega del partito alle Pari opportunità, incarico che esercita con furore ideologico e telecamere al seguito. Tra i suoi nemici giurati c’è la Comunità islamica italiana. Arriva ad accusarla in tv di essere un’organizzazione integralista finanziata dai terroristi. Per quell’uscita, il 23 aprile 2015, il Tribunale di Milano la condanna a risarcire all’Ucoii 37mila euro, 30mila a titolo di danno, il resto per spese legali. Ma lei, donna di ferro, annuncia: “Mi pignorino anche lo stipendio da parlamentare, io non pagherò mai!”. I due sono davanti al villino proprio per questo.

Al suono del campanello, apre il maggiordomo filippino: Santanchè non c’è. I domestici la cercano al telefonino, lei urla che è a Roma, che è deputata, che non possono violare il suo domicilio. L’ufficiale giudiziario non se la beve, ha un mandato del giudice esecutore per inventariare beni da iscrivere a ruolo per le somme che la proprietaria di casa non versa al creditore. Entrano così a “Villa Santanchè”, una reggia di 980 metri quadri, 12 vani, giardino privato. L’ha comprata nel 2004, a prezzo di favore, dagli eredi di Giuseppe Poggi Longostrevi, il “re mida delle cliniche milanesi” arrestato nel 1997 perché pagava i medici di famiglia affinché prescrivessero analisi nelle sue cliniche. Tra quelle mura, quattro anni prima, si era tolto la vita.

L’arredamento è sfarzoso, eclettico. Gli ospiti non richiesti s’aggirano e scattano 82 foto da mettere agli atti. Inventariano di tutto, dalle valigie Vuitton all’affettatrice. Non s’accorgono del De Chirico in salotto sopra il camino. Più del water color oro e dei comò neri coi pomelloni argento, li incuriosisce il piano -1: originariamente c’era uno scantinato, ora ci sono una sauna e una piscina rivestita in madreperla. Accanto c’è un locale con letto e cucinotto. Lì vivevano i domestici di Villa Santanchè, tra una finestrella e l’umidità della piscina accanto. Alquanto dubbio che il locale sia abitabile, data l’altezza (2,4 metri, la minima è 2,7 salvo comunità montane). Infatti il seminterrato risulta accatastato come zona uffici/locali tecnici, così come tutto il piano rialzato, il che consente di frazionare l’immobile e ridurre la rendita catastale.

I poveri dovrebbero essere dunque i domestici a Milano. Ma non è quel che risulta dalle carte. Un mese dopo la visita in via Soresina, i legali della padrona inviano un’istanza al giudice delle esecuzioni in cui chiedono di convertire il pignoramento e rateizzare la somma dovuta. Spiegano che la cliente ha appreso del pignoramento solo il 29 giugno 2016. Si guardano bene dal riferire che aveva dichiarato ai giornali che mai si sarebbe piegata a pagare i danni. E allora? Nell’istanza del 4 luglio 2016 si legge che “la debitrice versa in gravi condizioni economiche” e che la sua morosità “non è dettata da egoistiche scelte volte a soddisfare interessi personali, ma dalla situazione di indisponibilità economica in cui si trova, che non le consente di soddisfare interamente il debito”. Sulla base di questo, chiedono di rinegoziare la cifra necessaria a “riscattare” statue, armadi in corso di esproprio e accordare il pagamento in 36 rate mensili “stanti le gravi difficoltà in cui versa la richiedente”. Che però aveva uno stipendio parlamentare, una società quotata ed era pur sempre socia del famoso “Twiga” a Forte dei Marmi, che macina 4 milioni l’anno (ma ne paga 20 mila di concessione).

Sia come sia, il 5 ottobre il giudice Monica Bancone asseconda la richiesta. Autorizza la conversione del compendio pignorato in 20.146 euro (di cui 6 mila già versati) e contestualmente ordina all’onorevole Santanchè di versare la differenza al debitore pari a 14.146 euro in 18 rate mensili da 786 euro “entro il 15 di ogni mese”. Non aveva stragiurato di non voler pagare? Passa un anno. Il 22 settembre 2017 Santanchè deve ancora all’Ucoii 2.356,52 euro. Con un’ulteriore istanza chiede al giudice di sospendere i versamenti mensili della rimanenza. Ma il giudice a quel punto si stufa e le intima di farlo a mezzo d’un libretto di deposito vincolato al suo ordine. Alla fine Santanchè paga fino all’ultimo centesimo, ma senza dirlo, e si tiene le sue cose. Anche la servitù è rimasta. Sarà che vive a bordo piscina.

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