Nel tentativo di suicidarsi, colpì la fidanzata che tentava di fermarlo. Lei si rifiutava di convivere a Napoli – Era una giovane operaia del setificio De Negri di San Leucio  di Ferdinando Terlizzi

 Raffaele Gargiulo, capo della Squadra Mobile di Caserta,  inviò alla Pretura un rapporto con il quale significava che verso le ore 12,45 del giorno precedente, il suo ufficio era stato informato telefonicamente che sulla strada del Molino Militare di Aldifreda di Caserta, due persone giacevano a terra ferite ed avevano urgente bisogno di essere  trasportate in ospedale. Inviati immediatamente sul posto i dipendenti Brigadieri Marino Maiorino e Vincenzo Matarazzo, con altri agenti e mezzi della Questura, appresero che i feriti arano già stati trasportati al locale Ospedale.  Mentre  il Brigadiere Matarazzo rimase sul posto per raccogliere notizie inerenti i fatti  il Brigadiere Maiorino  con la Guardia di P.S. Giovanni Colaiuto si portarono all’ Ospedale ove  identificarono i feriti per Vincenzo Trapani e Michelina Carluccio i quali presentavano entrambi ferite da punta e taglio alla regione epigastrica, penetrante in cavità addominale, shock gravissimo da sensibile collasso circolatorio (giudicati entrambi con prognosi riservata). La Carluccio anche interrogata verbalmente, confermò quanto asserito dal fidanzato precisando che in precedenza, non c’era mai stato un litigio tra loro, né il fidanzato le aveva rivolto alcuna minaccia o comunque aveva manifestato idea suicida.

In possesso del Trapani fu trovata una agendina su cui, in prima pagina era scritto “Mi uccido da me”. La predetta agendina fu sequestrata ed è allegato al processo. L’arma del delitto, l’acuminato coltello – con il quale rimasero feriti i due fidanzati –  venne rinvenuto dall’operaio serico Luigi Iannarelli, di anni 31, da Piedimonte d’Alife, abitante alla via San Giovanni,47 il quale era accorso sul posto dopo il ferimento per soccorrere i due ragazzi e rinvenne il coltello sotto la schiena del Trapani. Il coltello fu consegnato al vice brigadiere Sabato Cirillo, alla presenza della guardia Antonio Cucciniello,  entrambi appartenenti alla Scuola di Polizia di Caserta che si trovarono, per caso e di passaggio, nel frangente dell’accadimento. Testimoni del tentativo di omicidio e conseguente tentativo di suicidio furono numerosi operai che erano nei pressi: Rosa Iannelli, di anni 22, da Casolla; Maria Cuomo, di anni 17, da San Leucio; Maria Grande, di anni 23, da Puccianiello; Anna Sanguedolce, di anni 35 da Sala; Anna Bornesco, di anni 23, da Pucciniello; Francesco Ventriglia, di anni 25 da Curti; Giovanni Burrelli, di anni 59 da Piana di Caiazzo. I predetti erano tutti operai del setificio di Alfredo De Negri i quali concordemente dichiararono che mentre erano fuori dallo stabilimento nell’ora di ricreazione, avevano rinvenuto la loro compagna di lavoro Michelina Carluccio per terra accanto al proprio fidanzato entrambi feriti ma nessuno aveva visto quando egli aveva commesso l’insano insano gesto. Il Burrelli precisò che aveva trovato i predetti feriti l’uno accanto all’altro e che il Trapani stringeva nella sua mano sinistra la mano destra della fidanzata appoggiandole la testa sulla sua spalla. Luigi Iannarelli precisò, inoltre, che circa un mese prima del fatto la Carluccio – sua compagna di lavoro nello stesso reparto del setificio De Negri – gli aveva riferito che circa un mese prima del fatto aveva litigato col suo fidanzato e si erano anche restituite le lettere e i regali.  Fu anche sentito il padre della Carluccio in merito ai rapporti tra i due fidanzati il quale precisò che il Trapani si recava presso la sua casa ogni domenica e gli altri giorni festivi e dimostrava di avere molto affetto per la propria fidanzata senza aver mai manifestato idee criminose. Negli ultimi tempi aveva proposto alla ragazza di andare a convivere con lui a Napoli promettendo di sposarla in seguito, ma la ragazza non aveva mia voluto aderire. Anche Mario Trapani, fratello del Vincenzo, interrogato in proposito dichiarava che quella mattina il fratello era uscito da casa calmo, che non aveva visto mai il coltello e che sapeva che andava ‘d’amore e d’accordo’ con la sua fidanzata.

Il 19 novembre del 1957, l’avvocato Giuseppe Marrocco, difensore del Trapani, detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, presentò al giudice istruttore Bernardino De Luca,  una istanza con la quale chiariva che: “Il doloroso e tragico episodio di cui furono protagonisti il  Trapani e la giovane fidanzata, alla stregua delle risultanze istruttorie dovrebbe senz’altro far ritenere l’imputato responsabile di lesioni aggravate e non di tentativo di omicidio: In effetti il proposito era   quello di sopprimersi e fu solo in conseguenza dell’intervento alla ragazza che il Trapani colpi quest’ultima che energicamente tentò con le sue forze, far desistere l’uomo dal gesto suicida”. Il 12 dicembre del 1957, nel corso della istruttoria il giudice accertava, tra l’altro, che la madre di Vincenzo Trapani, Michelina Cino  era stata ricoverata numerose volte presso il manicomio “Leonardo Bianchi” di Napoli,  per depressione malinconica con deliri; e che il Trapani per le modalità del delitto, per lo strano  comportamento nel carcere, ove era detenuto, era da ritenersi all’atto dell’insano gesto – non del tutto capace di intendere e di volere e pertanto era necessario internarlo in un manicomio (da designarsi da parte del Ministero di Grazia e Giustizia) per esecuzione di una perizia psichiatrica. Il 18 gennaio del 1958, il Procuratore della Repubblica, Coppola Picazio, ordinava al direttore del carcere la traduzione del Trapani in un istituto psichiatrico ma che allora, purtroppo, si chiamava ancora manicomio.

 

 

 

La madre in manicomio – La perizia medica sulla vittima e quella  psichiatrica  sull’imputato – Una famiglia di “zombie”

 

 

Per accertare la gravità delle ferite e l’entità delle stesse fu affidato incarico peritale al Dottor Emiddio Farina, medico legale il quale presentò una dettagliata relazione chiarendo tutti i quesiti posti dal giudice istruttore che erano: ”Dite se Michelina Carluccio sia guarita dalle rilevate lesioni e in quale termine; se sussistono postumi di natura permanente e in caso affermativo quali essi sdiano. Se vi fu pericolo di vita. Il medico descrisse innanzitutto il fatto. Michelina Carluccio  era a Sala di Caserta e lavorava per lo stabilimento dei fratelli De Negri quando Vincenzo Trapani la mandò a chiamare. La Carluccio dichiara di essere la fidanzata del Trapani e per questo uscì dallo stabilimento e si sedette assieme al fidanzato fuori dello stabilimento stesso. Il Trapani disse alla fidanzata: “Tu stasera dovrai venire con me”; la Carluccio si rifiutò e perciò fu colpita alla regione gastrica con un coltello.

Al dottor Ugo Massari, sanitario del Manicomio giudiziario “Filippo Saporito” di Aversa il giudice istruttore, invece, chiese di “accertare se Vincenzo Trapani all’epoca del fatto avesse capacità di intendere e di volere, ovvero se la stessa fosse, per infermità di mente, scemata senza essere del tutto esclusa. Se, infine, lo stesso sia socialmente pericoloso”.

Il perito nella sua relazione esponeva l’antefatto del delitto e precisava  inoltre, che due giorni dopo ed esattamente il 16 maggio la Carluccio essendo migliorata, poteva rispondere alle domande del signor Pretore, al quale dichiarava  che mentre lavorava era stata avvertita che il fidanzato stava ad attenderla all’ingresso dello Stabilimento .De Negri. Raggiuntolo, aveva subito notato che egli aveva “un aspetto strano ed il viso color giallognolo”, per cui, preoccupata, non aveva aderito a recarsi con lui in località “Mulino Militare”. Alle insistenti e reiterate richieste del fidanzato “se volesse seguirlo a Napoli”, rispondeva negativamente perché non voleva arrecare un dispiacere alla famiglia e nello stesso tempo perché egli non disponeva di un’adeguata abitazione. Egli, nel confidarle il suo rammarico per dover continuare a vivere separati, le aveva confidato anche che il giorno precedente aveva meditato il suicidio ed a tale scopo aveva scavalcato un muro a Capodimonte per lanciarsi nel vuoto; ne era stato però trattenuto al pensiero che lei sarebbe rimasta sola.

Anche il Trapani depose innanzi al Pretore e fu in grado di rendere dichiarazioni in merito ai fatti di cui era stato protagonista. Quella mattina si era recato a Caserta per convincere  – ancora una volta – la fidanzata a seguirlo a Napoli, ma poco prima aveva acquistato un coltello con l’intento di suicidarsi se la fidanzata si fosse rifiutata di aderire alla sua richiesta. Al rifiuto della Carluccio egli le diceva che “sarebbe stato preferibile la morte al perdurare di una situazione che si protraeva da 4 anni”  ed avendogli ella risposto che l’unica soluzione possibile era proprio la morte, la quale solo avrebbe consentito di vivere uniti, aveva estratto il coltello colpendo prima lei  e poi se stesso. Precisava,  poi, di aver agito “sotto la suggestione delle sue parole e per un incontrollabile impulso”, non avendo alcuna intenzione di far male alla fidanzata, molto da lui amata. Il perito dottor Ugo Massari passò in rassegna l’anamnesi familiare dell’imputato. La famiglia del Trapani godeva buona fama; il padre era il custode della Reale Casa Santa dell’Annunziata. La madre aveva avuto 12 gravidanze ma era stata per ben due volte ricoverata presso il Manicomio “Leonardo Bianchi” di Napoli. La sorella di Vincenzo Trapani, Carmela,  alla notizia del reato commesso dal fratello manifestò grave eccitamento psico-motorio con convulsioni a carattere istiroide, per cui dovette essere ricoverata al Pronto soccorso dell’Ospedale Psichiatrico ”Morvillo”  di Napoli. Il nonno paterno, Carmine Trapani, infermiere presso l’Ospedale Incurabili di Napoli, si suicidò all’età di 33 anni mediante ingestione di sublimato corrosivo. Un cugino di primo grado dal lato paterno, Eduardo Trapani, fu ricoverato nell’Ospedale Psichiatrico di Napoli dal 1943 al 1949.

Vincenzo Trapani aveva frequentato come apprendista la sartoria di uno zio. Resosi poi esperto del mestiere volle perfezionarsi presso la Scuola Scimonelli  di Napoli e dopo un corso di oltre un anno conseguì il diploma di sarto tagliatore-modellista. Ma era un soggetto chiuso e timido. Il perito concludeva che il Trapani era   da considerarsi persona socialmente pericolosa

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 Il processo  per tentativo di omicidio, con il riconoscimento di vizio parziale di mente,  la condanna fu a tre anni di reclusione.

Ultimata la formale istruttoria, gli atti venivano rimessi al pubblico ministero presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il quale chiedeva al Giudice Istruttore di voler rinviare l’imputato al giudizio della Corte d’assise di Santa Maria Capua Vetere ritenendo non sussistessero dubbi sulla volontà omicida del Trapani per le sue stesse ammissioni e per le modalità dell’azione criminosa, la cui causale era stata dallo stesso messa in luce nel rifiuto della fidanzata di voler con lui convivere a Napoli. Il Giudice Istruttore, però, non era dello stesso avviso. Reputava egli infatti che il giudicabile avessi agito senza di qualche motivo sia nei confronti della fidanzata che contro la propria persone ed in difformità delle richieste del pubblico ministero riteneva necessaria una indagine psichiatrica onde accertare se lo stesso fosse al tempo del fatto capace di intendere e di volere, anche in considerazione della facies dell’imputato dei precedenti manicomiali della madre per depressione malinconica con deliri.

Iniziato il processo il  16 dicembre del 1958,  innanzi la Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere (Eduardo Cilento, presidente;  Guido Tavassi, giudice a latere; Nicola Damiani, pubblico ministero; Ubaldo Ciccarelli, Carlo Alicandro, Gaetano Della Peruta, Vincenzo Colella, Maria Ucci, Ferdinando Donadio e Angelina Iadevaia; giudici popolari) per il tentativo di omicidio, Vincenzo Trapani confermò i precedenti interrogatori ma volle precisare che “per le mie gravi condizioni non feci cenno nella dichiarazione resa alla Questura di Caserta delle frasi rivoltemi dalla Carluccio, con le quali la stessa mi manifestò il desiderio di voler morire anziché continuare nella nostra situazione”. Precisò, inoltre di aver risarcito il danno alla persona offesa. Poiché tale circostanza, però, non risultava agli atti venne richiamata la parte offesa Michelina Carluccio la quale confermò che da circa un anno era stata risarcita del danno; che non ricordava la somma percepita ma che si trattava del ristoro delle spese mediche sostenute e del mancato guadagno delle giornate perse per l’assenza dal lavoro.

A conclusione della sua requisitoria il pubblico ministero Nicola Damiani chiese la condanna dell’imputato per il delitto di tentativo di omicidio, e una condanna, con il beneficio della seminfermità mentale, delle attenuanti generiche ad anni tre e mesi due di reclusione ordinando, peraltro, il ricovero a pena espiata in una casa di cura e custodia per almeno un anno.

L’avvocato Giuseppe Marrocco, difensore del giovane, concludeva per una condanna con la esimente delle attenuanti generiche, con l’applicazione della scriminante della  seminfermità mentale e con la diminuente del motivo di particolare valore morale e sociale e per il porto abusivo del coltello il minimo della pena. La Corte dichiarava Vincenzo Trapani colpevole di tentato omicidio e con la diminuente del vizio parziale di mente, lo  condannava alla pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione. Ordinando, infine, che l’imputato fosse ricoverato in una casa di cura e custodia per un tempo non inferiore ad un anno prima dell’inizio della esecuzione della pena.