Ombrelloni e politica estera

(di Stelio W. Venceslai)

            La crisi nei rapporti con Mosca non è nuova e non è fatale. Putin ha giocato il suo ruolo di rivendicatore dell’influenza della vecchia Unione Sovietica, e tutti hanno tremato. Missili e carri armati sono un deterrente decisivo a fronte di un pacifismo a oltranza e, soprattutto, nel sostanziale disinteresse americano per le vicende europee.

            In tutta questa vicenda ucraina, l’agnello sacrificale è Kiev, come lo fu Praga al tempo di Hitler. Con il Patto di Monaco, quando Mussolini fu definito il salvatore della pace, si scatenò la 2° guerra mondiale.  Il nuovo Mussolini ora, è Macron, non siamo alla 3° Guerra mondiale, ma le premesse ci sono tutte.

            L’Ucraina è un Paese che ha già perduto la Crimea, ha due regioni orientali, il Donbass, in vena d’indipendentismo filo russo, con una guerra civile strisciante. Da diversi anni Kiev cerca la salvezza in Europa per far fronte agli appetiti di Mosca. Vorrebbe entrare nella NATO per stare tranquilla, ma Mosca non è d’accordo. Di qui la crisi.

            Se la crisi ucraina si dovesse risolvere con una vittoria di Putin, è evidente che il sistema politico messo in piedi in Europa orientale dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica entrerebbe in crisi.  Le conseguenze che ne trarrebbe Putin è che basta fare la faccia feroce e l’Europa trema, la Nato tace e l’America è lontana. Non sono delle novità, ma sarebbe comprovate.

            Se, invece, la crisi ucraina si risolvesse con un compromesso diplomatico, com’è probabile, sarebbe sempre una vittoria di Putin, ma un po’ frenata. La debole reazione occidentale non sarebbe stata risolutiva, ma sarebbe servita a limitare i danni, almeno per ora. L’Occidente vuole essere lasciato in pace. La neutralizzazione dell’Ucraina può far comodo a tutti, meno che a Kiev che, però, non ha voce in capitolo.

            Tutta questa vicenda, comunque, potrebbe avere un effetto positivo. Così com’è andata, la Russia è un gigante pericoloso. Non occorreva questa crisi per rendersene conto, però l’Europa non può continuare a non avere una sua diplomazia e un suo esercito. Le missioni itineranti di questo o quel Ministro degli Esteri (non ultimo l’ineffabile Di Maio) dei vari Paesi europei, con un occhio a Washington per non disturbare e un altro sulla questione energetica, non sono e non possono essere convincenti.

            L’Europa dovrebbe parlare con una voce sola e il ricatto energetico trova un limite invalicabile se i consumatori si rifiutano di consumare a prezzi stellari. Per questo ci vuole una politica che non c’è.

            L’America di Biden non è poi molto diversa da quella di Trump. È sempre ipnotizzata dallo scontro con la Cina, dalla difesa delle rotte commerciali nel Pacifico e dalla tutela di Taiwan. Ma anche l’Europa e il Mediterraneo pesano sullo scenario internazionale. Certo, se Bruxelles non se ne rende conto, non lo si può pretendere da Washington. Vale sempre il vecchio detto: aiutati che Dio che t’aiuta.

            In Italia, tutto ciò che accade nel mondo c’è quasi estraneo. Al massimo, puntiamo sul dialogo internazionale, ben attenti a non disturbare nessuno, né gli Stati Uniti, né l’Unione europea e, tantomeno, la Federazione russa o la Cina, neppure la Libia o la Turchia.

            Non avendo nessuna politica estera, ci lamentiamo del fatto che dall’Europa non intervenga alcun soccorso. Peggio ancora, dall’America, che gioca a scacchi una partita planetaria dove il continente europeo è solo un pezzo neppure, tanto importante. Queste, però, da noi sono considerate cose marginali: il green pass e gli ombrelloni sono argomenti cruciali di cui tutti invece parlano, possibilmente a vanvera.

            Solo in un Paese come il nostro, costretto nell’immobilismo, quasi tutti i partiti  politici si definiscono progressisti. Chi non è progressista è conservatore, ma il risultato è sempre lo stesso: stiamo fermi.

            In questo modo, il green pass e gli ombrelloni animano il dibattito politico. D’altro non si parla. C’è, però, un fatto curioso sul quale sarebbe opportuno riflettere.

            Abbiamo salutato con speranza l’arrivo di Draghi alla Presidenza del Consiglio, abbiamo plaudito a un governo composto dal diavolo e dall’acqua santa, abbiamo accettato con un respiro di sollievo il rinnovo alla Presidenza della Repubblica. Ci va bene tutto purché si esca dall’immobilismo. Ma che il governo adotti all’unanimità, si badi bene, all’unanimità, provvedimenti che poi gli stessi partiti che l’hanno approvati si riservano di correggere in Parlamento, è semplicemente inaudito.

            Questa inedita collaborazione fa acqua da tutte le parti. Se non erano d’accordo, perché li hanno approvati? E se erano d’accordo, perché modificarli? Misteri politici di scarsissima comprensibilità per la gente comune.

Roma, 17/02/2022