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VIVA IL PLURALISMO DE “LA ZANZARA”/CON I SOLDI E I DRONI SI VINCONO LE GUERRE/I TALABANI DELLE CHIESE/ PER BRINDARE MEGLIO IL VINO FRIZZANTE CHE LO SPUMANTE…
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TERZA PAGINA
«L’aforisma è il frutto
o di un’intuizione fulminante
o di una riflessione profonda»
Roberto Gervaso
Mauro da Mantova
di Vittorio Feltri
Libero
Mi pare che si cominci a esagerare. Immagino che quasi tutti i nostri lettori conoscano la Zanzara, programma radiofonico diffuso da Radio 24, ossia l’emittente del Sole 24 ore. Trattasi di trasmissione pungente che da molti anni va in onda con successo verso sera, dalle ore 19 in poi.
Spesso vi partecipo anche io dicendo una serie di cavolate assolutamente sintoniche con gli umori polemici e spiritosi dei due maledetti conduttori: Giuseppe Cruciani e David Parenzo, i quali discutono con gli ascoltatori usando toni scanzonati che risultano assai graditi al pubblico, il quale segue numeroso le chiacchierate radiofoniche più piccanti del mondo.
Questa la premessa necessaria per comprendere l’accaduto che mi accingo a raccontare. Un anziano signore, che spesso era ospite della Zanzara, un no vax incallito e tenace, era diventato famoso grazie all’emittente per le proprie intemperanze contro i vaccini anti Covid, che giudicava inutili e dannosi. Ai microfoni si sviluppavano così interminabili discussioni ovviamente polemiche. Il nemico dei vaccini si chiamava Maurizio Buratti, 61 anni, il quale a forza di combattere con vigore la salvifica iniezione ha pensato bene di tirare le cuoia in quanto colpito dalla terribile malattia. Stecchito. Siamo dispiaciuti.
Quando qualcuno muore, benché si tratti di uno sprovveduto, non si può essere contenti. Senonché in questa circostanza vari giornalisti del Sole 24 ore, gente di solito riflessiva e pacata, si sono lasciati andare a considerazioni dissennate. Hanno attaccato brutalmente Cruciani e Parenzo per aver a lungo ospitato quale interlocutore il povero Buratti, accusandoli di aver dato voce a un matto ostile all’antidoto. Il quale secondo costoro non aveva il diritto di blaterare mettendo in dubbio la validità della scienza e delle sue scoperte. Addirittura i colleghi del quotidiano economico più letto in Italia hanno invocato la chiusura della Zanzara, incolpata di avere ospitato un uomo che diceva cazzate sulla pandemia.
Siamo alla follia, se dovessimo chiudere il becco a chiunque pronunci bischerate in radio, in televisione o le scriva sui social nonché sui giornali, i media sarebbero condannati al mutismo. In altri termini, noi pensiamo che chiunque, anche gli stolti, abbiano facoltà di esprimere le loro opinioni ancorché sballate. Altrimenti ogni dibattito non avrebbe più luogo.
Ecco perché noi di Libero, di nome e di fatto, siamo dalla parte di Cruciani e di Parenzo a cui riconosciamo di aver fatto il loro mestiere intervistando Buratti, il cui solo torto è quello di non aver capito che è meglio un vaccino di una bara. Non quello di aver espresso idee sbagliate.
Vittorio Feltri
Talebani
di Michele Serra
la Repubblica
Nella grande chiesa sconsacrata di Sant’Agostino, a Piacenza, tutte le statue (tranne quelle situate più in alto, difficilmente raggiungibili) furono decapitate, per sfregio, dai soldati di Napoleone.
Il luogo è magnifico anche per quella sinistra manomissione: senza testa, le statue incombono come una folla di testimoni (martiri) della violenza ideologica di ogni epoca. La cancel culture di due secoli fa ebbe come involontario esito quello di rendere solenne e drammatico un luogo di ordinario culto e di ordinaria bellezza (di chiese più belle, in Italia, ce ne sono a bizzeffe).
A quelle statue ho pensato leggendo dell’ordine dei talebani ai negozianti afghani: decapitate i manichini, sono idoli e come tali vanno distrutti. Ogni tragedia contiene la propria parodia e ogni fanatico è, in partenza, una figura comica. Il martirio dei manichini, nel quadro smisurato e sanguinario della violenza ideologica, è dunque una commediola di poco conto.
Ma l’idea di un intero paese con i manichini decapitati ha una sua suggestione. Qualora l’ordine dei talebani venisse rispettato, bisognerebbe che i negozianti afghani custodissero i manichini acefali a futura memoria. Una lunga fila di testimoni della scemenza umana, ideali per una futura e grandiosa installazione itinerante, un’armata di ghigliottinati che non demorde e presidia le piazze, sfila davanti alle scuole, impugna la propria sorte contro gli aguzzini, ordinata e dignitosa nella sua mutilazione.
Suggeribile un gemellaggio Piacenza-Herat, con santi e manichini uniti nella lotta, apparentemente sconfitti, nei fatti sopravvissuti ai loro carnefici, perché più interessanti di loro.
Michele Serra
Droni
di Franco Venturini
Corriere della Sera
L’ultimo clamoroso esempio viene dalla interminabile e feroce guerra d’Etiopia. Quattro settimane fa le forze ribelli della regione del Tigré, inizialmente vittime della guerra che il Nobel per la Pace Abiy Ahmed aveva scatenato contro di loro nel novembre 2020, si erano riprese, erano avanzate per centinaia di chilometri, e si accingevano ormai a conquistare la capitale Addis Abeba. Poi sono arrivati i droni. Qualcuno cinese via Emirati, qualcuno iraniano per altre vie traverse. Ma il vero trionfatore della battaglia che il 5-6 dicembre ha consegnato la vittoria al traballante Abiy Ahmed portava una sola firma: quella di Erdogan. Si chiama Bayraktar TB2, è fabbricato interamente in Turchia, svolge efficacemente missioni di ricognizione e di attacco, e soprattutto costa poco. In Italia lo conosciamo perché nel 2019 fu lui a salvare Tripoli dall’attacco del cirenaico Haftar. E da allora il TB2 ha viaggiato molto. Ha consentito all’Azerbaigian di battere l’Armenia. È stato veduto all’Irak e alla Somalia. È entrato a far parte dell’aviazione militare marocchina e anche di quella del Qatar. E poi, colpo grosso e paradossale vista la sostanziale collaborazione tra Ankara e Mosca, è stato fornito all’Ucraina. Sollevando l’ira di Putin, che riguarda sì la complessiva espansione della Nato fino ai confini della Russia, ma visto che la Turchia fa parte della Nato anche quei temibili droni dovranno essere messi sul tavolo. Le vendite del TB2 continuano soprattutto in Africa, dove Erdogan ha fatto un lungo viaggio con gli abiti del piazzista: comprate, e vincerete le guerre. Intendiamoci, le armi le vendono tutti e i turchi sono stati bravi a creare il TB2, con videocamere, bombe o missili. La legge del mercato è da sempre più forte degli scrupoli etici e anche delle considerazioni strategiche. Ma ora la nuova regola è che sono loro, i droni, a decidere chi vince i conflitti convenzionali. Se poi costano anche poco…
Franco Vetturini
Spumanti
di Camillo Langone
Il Foglio
“Una visione povera” è quella di chi beve spumanti famosi e costosi (champagne, franciacorta, trento eccetera) secondo il vignaiolo Luca Francesconi della cantina Josef di Ponti sul Mincio, in un videino molto divertente in cui con accento molto lombardo, non lontano da Maurizio Milani, parla di vino aggirandosi per la sua campagna. A me piace definire lo spumante famoso e costoso (champagne eccetera) “chardonnay addizionato che sa di funghi”, tralasciando i pochi casi in cui lo chardonnay non c’entra ed evidenziando ciò che disgustosamente viene aggiunto: lo sciroppo. Francesconi evidenzia invece ciò che disastrosamente viene tolto: i lieviti. Per lui lo spumante famoso e costoso (champagne eccetera) è innanzitutto vino impoverito. Per me è innanzitutto vino sciroppato. In effetti è entrambe le cose: vino prima impoverito e poi addizionato, prima castrato e poi ricostruito, insomma snaturato e mostruosamente pasticciato. Auguro all’amico lettore di brindare al nuovo anno senza spumanti ma con frizzanti “sur lie” (come li chiama Francesconi), “rifermentati in bottiglia” (come li chiamo io), “ancestrali” (come li chiamano altri). Auguro dunque, enologicamente parlando e non solo, la verità e la vita.