mercoledì, 24 Aprile 2024
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L’assurdo divieto di dire i nomi dei pm nei processi

L’assurdo divieto di dire i nomi dei pm nei processi

Proseguirà nelle prossime sedute della Commissione Giustizia della Camera l’esame dello schema di decreto legislativo (atto n. 285) di adeguamento della normativa nazionale alla Direttiva del Parlamento europeo 2016/343 sul rafforzamento della presunzione di innocenza dell’imputato e del suo diritto di presenziare al processo.

Va ricordato che le Direttive Ue sono atti legislativi che stabiliscono gli obiettivi che tutti i Paesi sono obbligati a realizzare: spetta tuttavia ai singoli Stati definire disposizioni nazionali circa i mezzi con cui tali obiettivi vadano raggiunti. Circa i due obiettivi previsti dalla Direttiva 343 occorre sottolineare che essi sono stati acquisiti, sin dal secolo scorso, nel vigente codice di procedura penale per cui:

1) l’imputato, in tutte le fasi del procedimento e fino alla sentenza definitiva, dev’essere considerato (e pubblicamente indicato) quale “presunto non colpevole”, come stabilisce l’articolo 27 della Costituzione;

2) è riconosciuto all’imputato, in ogni stadio del procedimento, sia il diritto al silenzio e sia il diritto di essere presente e, viceversa, di rinunziare liberamente a presenziare al procedimento a suo carico (art. 420 C. p. p.), essendo affetto da nullità il procedimento tenuto in sua assenza senza che risulti espressamente che abbia rinunziato a presenziarvi (si vedano Corte Costituzionale, Corte suprema di Cassazione e Corte europea dei Diritti dell’uomo).

A questi fondamentali principi si ispirano gli articoli 1 e 2 del decreto, mentre gravi problemi di trasparenza degli atti di indagine non coperti dal segreto attraverso comunicazioni pubbliche (che per il punto 17 della Direttiva sono quelle rilasciate dalle Autorità giudiziarie, dalla Polizia e da altre Autorità pubbliche preposte all’osservanza della legge), sorgono dall’applicazione del punto 18. Per esso, “l’obbligo di non presentare gli indagati non dovrebbe impedire alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine”. Entro questi limiti e nel rispetto dell’interesse pubblico alla conoscenza delle prove di accusa, la divulgazione dovrebbe essere la più completa possibile e affidata, secondo logica, al pm titolare e dominus dell’indagine, l’unico che sia a conoscenza di tutti gli atti, il quale affianchi il procuratore della Repubblica, titolare dell’Ufficio, nelle conferenze stampa, nelle interviste e nelle dichiarazioni pubbliche in genere. È pertanto augurabile che la Commissione elimini dall’art. 5 del Decreto sia l’ingiustificato monopolio del procuratore della Repubblica nei rapporti con gli organi dell’informazione (comma 1) e sia l’assurdo divieto per i giornalisti di pubblicare ogni riferimento ai nomi dei magistrati assegnatari dei procedimenti (comma 2), una norma che trova il suo illustre precedente nei processi staliniani degli anni Trenta, nei quali i nomi dei giudici istruttori non apparivano e gli atti di accusa venivano firmati dal procuratore generale dell’Urss, Andrej Vyshinskij (vedi I grandi processi di Mosca – 1936-37-38, Rusconi 1977, pagg. 214).

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