EMPOWERMENT: LA PARTECIPAZIONE DELLE DONNE ALLA CRESCITA DELL’ECONOMIA E NON SOLO …

La varietà ed il livello di approfondimento dei temi trattati al recente FORUM AMBROSETTI di inizio mese ne ha evidenziato uno, quello del ruolo delle donne nella società e nel mercato del lavoro, che ne racchiude l’enorme ed inespresso potenziale; anche economico.

Il tema dell’Empowerment femminile che si prefigge una partecipazione maggiore delle donne al mercato del lavoro con garanzia di maggiore equità e presenza contiene, nel nostro Paese e non solo, delle criticità da rimuovere ed incredibili risvolti direttamente connessi ad una maggiore crescita economica attesa. Partendo dal Brisbane Target del 2014 (dal nome della città australiana) con cui i Paesi del G20 si sono prefissati di chiudere il gender gap sul mercato del lavoro tra le donne che lavorano e quelle che aspirano a farlo e che in Italia evidenzia una differenza di 43 punti percentuali, si è arrivati a promuovere le migliori pratiche della business community italiana per valorizzare talento e leadership femminili con uguale impegno al tema dei diritti e del contrasto alla violenza contro le donne. Non solo, cioè, garanzia di diritti imprescindibili, ma anche prendere al volo un’altra opportunità di rilancio del Paese.

Secondo stime Forum AMBROSETTI, l’eliminazione della differenza di retribuzione di genere e l’incremento del tasso di occupazione femminile che lo porti ad eguagliare quello maschile potrebbero generare un incremento di PIL di 110 miliardi di Euro.

Il target prefissato va raggiunto con un Piano strategico di lungo termine attuato con priorità condivise, risorse dedicate, strategie ed obiettivi.

Svilupperemo il discorso lungo il seguente filo logico che partendo dallo stato dell’arte del lavoro femminile in Italia con le sue criticità ci porterà a valutare l’impatto economico derivante dal raggiungimento della parità di genere nel mercato del lavoro per finire con alcune azioni strategiche da promuovere in tal senso.

In Italia (dati OCSE 2019), a fronte di una media UE del 68%, il tasso di partecipazione delle donne (comprese tra i 15-64 anni) al mercato del lavoro è tra i più bassi d’Europa: il56,6% contro il 90% di quelle che vorrebbero lavorare! Una discrepanza altissima che pone l’Italia al primo posto di questa sgradita classifica tra i BIG FIVE Europei. Solo un terzo delle donne è presente nei C.d.A. delle quotate, in politica e nel mondo della scienza ed in ingegneria. Lo studio evidenzia (dati al 2019) come il 22% del totale delle imprese siano imprese femminili (nella forma delle società cooperative, di persone e di capitali). La presenza femminile è concentrata principalmente nei servizi alla persona (59%), sanità e assistenza sociale (38%), tessile e abbigliamento (36%) e istruzione (30%).

In breve, la pandemia trasformatasi rapidamente in crisi socio-economica senza precedenti ha determinato un crollo del Pil mondiale del 3,3%; il peggiore dal Dopoguerra. L’Italia, che ha visto il proprio Prodotto Interno Lordo contrarsi nel 2020 di quasi il 9%, ha subito la quarta contrazione peggiore dei suoi 150 anni di storia. È andata peggio solo nel triennio 1943-45! Gli effetti di questi numeri ‘sulla sua pelle’ del Paese hanno visto aumentare il numero di persone in povertà assoluta: 5,6 milioni, pari a circa il 10% della popolazione; con 456 mila posti di lavoro andati in fumo e 443 mila inattivi. Tutto ciò nonostante un massiccio ricorso alla Cassa Integrazione.

In questo quadro tra le donne rimaste occupate una su cinque sta pensando di abbandonare il lavoro. La situazione è legata a diverse cause che vanno dai bias culturali della società italiana nella quale il 20% della popolazione condivide l’idea che la donna debba rimanere a casa a prendersi cura della famiglia. Non solo, sulle donne ricade anche una parte importante del ‘lavoro’ di cura e assistenza delle persone anziane. L’Italia, poi, è agli ultimi posti tra i Paesi europei per congedi retribuiti e per servizi di assistenza alla prima infanzia. A tutto ciò si aggiunge il basso tasso di fertilità (con 1,27 figli medi per donna l’Italia è al penultimo posto in Europa) e di natalità ridottosi del 27% negli ultimi 10 anni con il numero più basso di nuove nascite dall’Unità d’Italia registrato nel 2020.

I dati mostrano anche disomogeneità nella distribuzione dei posti nei servizi socio educativi con le ultime 7 regioni tutte del Mezzogiorno collegata ad investimenti non sufficienti negli asili nido e nei servizi di prima infanzia.

Il tutto non può tradursi, però, in una mera presa di coscienza di un problema noto ai più dovendosi trasformare in una opportunità economica per il Paese riflettendo sul dato che quasi 9,5 milioni di donne comprese tra i 15-64 anni sono potenzialmente occupabili.

Sono stati presentati tre ipotetici scenari che presuppongono l’eliminazione delle differenze salariali di genere e prevedono nel primo caso che l’impatto sulla crescita economica sarebbe pari a 110 miliardi di euro (pari al 6,4 del PIL) se donne e uomini avessero il medesimo tasso di occupazione (oggi pari al 50% per le donne ed al 68% per gli uomini). Mentre nello scenario due se il tasso di occupazione femminile fosse pari a quello dei tre migliori Stati europei, l’impatto economico sarebbe di circa 143 miliardi di euro (8,3% del PIL) e addirittura, nello scenario tre con un tasso di disoccupazioni maschile uguale a quello dei tre migliori Paesi d’Europa, l’impatto sarebbe di circa 186 miliardi di euro, pari al 10,4% del PIL.

Infine, solo valutando l’eliminazione del part-time femminile convertito in lavoro a tempo pieno ed il contributo che ciò implicherebbe in termini percentuali, per l’1,9% del PIL, pari a 33 miliardi di euro (si consideri che il 33% delle donne hanno un lavoro part-time sul totale contro l’8,2% degli uomini) e che l’Italia è il primo Paese europeo per ore spese dalle donne in attività non retribuite (lavoro domestico e di cura) con un valore economico perso di 80 miliardi di euro, pari al 4,7% del PIL, le azioni per promuovere l’inclusione femminile nel mercato del lavoro in Italia devono partire dall’input delle policy nazionali per incidere successivamente sulla componente culturale, nel campo dell’educazione, nel riconoscimento di determinati diritti e diffusione di valori necessari a generare quella forma mentis con cui guardiamo e giudichiamo la realtà circostante.

Il completamento del circolo virtuoso che arriva all’indipendenza economica passa attraverso un più facile accesso all’occupazione, all’esercizio facilitato della genitorialità, oltre che di una più facile maternità per tradursi in equità salariale, maggiore presenza in campo tecnico e scientifico (nelle aziende e istituzioni).

Ecco completato il percorso di sviluppo sostenibile a 360° da cui scaturisce maggiore crescita economica nei numeri che abbiamo suindicato in una società più equa e competitiva.

In un contesto contingente di vite e diritti negati come ci mostrano la quotidiana cronaca dei femminicidi e le sofferenze delle donne afgane concludiamo questa breve riflessione con le parole del Premio Nobel per la Letteratura Sir William Golding il quale sottolineava che “le donne sono da sempre di molto superiori all’uomo perché capaci di moltiplicare e migliorare i doni che ricevono”. È una presa di coscienza del valore dell’Empowerment.

Dott. Vincenzo Gisondi
Consulente Finanziario iscritto all’OCF
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