Kabul (di Stelio W. Venceslai)

 I Talebani hanno occupato Kabul. L’ennesima guerra per l’Afghanistan è finita dopo vent’anni.

            I Talebani festeggiano. Hanno ragione per farlo. Hanno sconfitto la più grande potenza mondiale del momento, hanno svergognato l’Occidente cristiano e Allah, chiaramente, è stato dalla loro parte. D’altro canto, non c’è da stupirsi più di tanto: i Talebani stanno a casa loro, gli Americani (e i Francesi, i Tedeschi, gli Inglesi, gli Italiani) no. Questo è il punto fondamentale che non si deve dimenticare. Saranno pure beceri, terroristi, integralisti islamici, un reperto ai nostri occhi del medioevo più rozzo, ma sono Afghani.

            Ancora una volta, nella difficile e sanguinosa storia di questo popolo, gli invasori stranieri sono stati scacciati. Ora, comincia una nuova era, quella della caccia all’uomo, dei massacri, delle lapidazioni, del burqa, della repressione di ogni libertà personale. È la civiltà dei tagliagola che torna trionfante.

            I Talebani sono nati da donna, ma le donne non sono persone solo animali da procreazione e da diletto. Non contano, non esistono, non possono e non devono esistere. Se si ribellano: frustate e pubbliche lapidazioni. In vent’anni di occupazione occidentale hanno scoperto che potevano essere più e meglio dei loro uomini. Un crimine inaccettabile.

            Ma i Talebani sono a casa loro e se il popolo afghano non li voleva, con 300.000 soldati armati e addestrati dagli Americani, li avrebbero potuti contrastare. Invece, se la sono squagliata come neve al sole. Adesso, che se li tengano. A giudicare dalle scene strazianti all’aeroporto di Kabul con migliaia di Afghani che vogliono fuggire, il terrore aleggia su Kabul e la vergogna su tutto l’Occidente.

            Ma non sono fatti nostri. Sono fatti nostri, invece, le drammatiche conseguenze che ne verranno fuori per il mondo dei miscredenti.

            In primis, il tracollo degli Stati Uniti avvia alla decadenza quello che è stato un grande Paese: gli Stati Uniti.

            I Presidenti più amati, da Kennedy ad Obama, sono stati un disastro. I peggiori, da Bush padre e Bush figlio, fino a Trump e Biden, se possibile, ancora peggio.

            Dal 1945 gli Stati Uniti registrano solo sconfitte brucianti, in Corea, nel Vietnam, in Iran, in Iraq, in Libano, in Somalia, in Siria, ed ora, in Afghanistan. Hanno l’esercito più forte del mondo, una potenza industriale enorme, ma non sanno fare politica estera. Credono che tutto possa risolversi con i dollari, con il nucleare ed i missili.

            Il disastro afghano ricorda quello vietnamita, con l’ultimo ambasciatore americano a Saigon che fuggiva sull’ultimo aereo disponibile, con la bandiera arrotolata sotto il braccio. La storia non insegna nulla, è vero, ma qualche ricordo aiuta.

            Un fatto è certo: gli USA non sono più credibili. Il poliziotto del mondo, con le sue rutilanti divise, è finito nel letamaio afghano. Sarà difficile rialzarsi. A Doha, nel Qatar, mentre l’esercito americano si ritirava e quello afghano si scioglieva dinanzi alla pressione talebana, la diplomazia americana voleva trattare! Un’ennesima riprova dell’incapacità di un Paese sconfitto a comprendere di aver perduto.

            Rotto il vaso, i cocci sono rimasti nelle mani dell’Occidente, tirato per i capelli da Washington in questa inutile avventura afghana. È probabile che il nuovo governo talebano torni ad essere la centrale del terrorismo internazionale, come lo fu vent’anni fa. È probabile, anche se i tempi sono cambiati. Quello che è certo è che si stanno ridisegnando nuovi assetti geopolitici nell’area.

            Le ondate di profughi che si riversano in Pakistan saranno un problema gigantesco per un Paese già fragile per conto suo, una potenza nucleare minore ma alleata degli Stati Uniti, così com’è stata largamente complice dei Talebani ed in contrasto endemico con l’India nazionalista degli ultimi anni.

            A Pechino è giù presente una delegazione talebana (la via della seta passa per l’Afghanistan). I Talebani avranno bisogno di tutto per ricostruire il Paese. La Cina sarà disponibile? Le tensioni interne cinesi nei confronti delle popolazioni islamiche del Sinkiang fanno pensare a una grande prudenza. Il contagio integralista non è gradito a Pechino.

            La Russia è stata scottata dalla reazione afghana quando invase il Paese. La memoria è lunga a Mosca, e il contagio islamico negli Stati musulmani della Federazione russa (v. Cecenia) non è ugualmente gradito. Putin non ha dismesso la sua Ambasciata a Kabul. I Talebani rispettano i Russi e, forse, ne hanno anche bisogno, sanno che sono diversi dagli Americani.

            Iran e Corea del Nord esultano: il grande Satana, la bestia americana, è stata sconfitta. Un po’ meno, forse, esulta l’Arabia Saudita, alleata di ferro degli Stati Uniti ma, al contempo, finanziatrice del terrorismo internazionale, in concorrenza con il Qatar, un terrorismo che si regge sui petrodollari, sulle doghe, sul commercio degli uomini e sull’odio verso tutto ciò che è occidentale.

            L’Unione europea è di fronte a un bivio: reagire, non contando più sugli Stati Uniti, dotandosi di una politica estera e di una politica della difesa o morire di covid diplomatico. Lo scudo americano non è più affidabile. Se ne renderanno conto gli intelligenti capi di Stato dell’Unione?

            Quanto all’Italia, in questa povera penisola squassata dalle tempeste metereologiche, dove il dibattito sul green pass e sui no-vac prevale su qualunque argomento fondamentale per la nostra sicurezza, basterà ricordare le dichiarazioni di Letta: si è sbagliato tutto, anche se ci è costato più di cinquanta giovani vite e oltre 13miliardi di euro la follia di fare i mercenari al servizio dell’America.

            Dov’era Letta, quando il Parlamento, pressoché unanime, ha autorizzato e rifinanziato più volte l’invio dei nostri soldati?

            Tutti i Farisei sciocchi della nostra politica, dalla destra alla sinistra, ora si battono il petto. Abbiamo sbagliato, dicono, e i nostri morti? L’enorme usura dei nostri mezzi? Non siamo neppure in grado con i nostri aerei da trasporto a lunga percorrenza (che non abbiamo) a riportare in patria i nostri uomini, gli Afghani che sono stati con noi e con le loro famiglie. Come ci metteremo tra Salvini e Lamorgese a fonte dell’inevitabile marea di profughi che premerà sulle nostre frontiere terrestri e marittime?

            Ora, davvero, e non vent’anni fa, il problema dell’Afghanistan diventa un nostro problema.

Roma 16/08/2021