Ai confini del Tech: da John Law alle vette del Nasdaq  di  Vincenzo Gisondi

Il digitale e l’innovazione tecnologica divenuti oggi familiari per l’accelerazione dei processi spinta dal Covid e che ha coinvolto anche i più scettici ci porta ad una riflessione sull’importanza e la potenza dell’immateriale.

Premesso che la fiducia è l’elemento vitale nella finanza e non solo, essa costituisce il trait d’union  delle relazioni umane, comprese quelle a prevalente contenuto finanziario. Val la pena citare, al riguardo, il noto economista e finanziere scozzese, John Law, nato ad Edimburgo nel 1671. Egli fu precursore di ciò che tutti noi oggi diamo per scontato: il valore aureo intrinseco nella banconota. Il suo sistema, noto come ‘Sistema Law’ mirava a sostituire con le banconote, la carta, appunto, l’oro e l’argento presente nelle monete circolanti all’epoca e ‘tosate’ per la penuria di metallo prezioso.

Siamo agli albori del passaggio all’immateriale; dall’oro e argento delle monete, alle banconote garantite dalla terra tramite una banca fondiaria. Questa rilasciava al possessore un certificato valido per l’acquisto di beni e servizi mentre la banca proprietaria del terreno ne sfruttava le risorse.

Anche a quei tempi l’ingordigia e l’avidità dei principali clienti del temerario finanziere, i sovrani di Inghilterra, da cui fuggì e Francia, in cui si rifugiò, prima cercarono di trarre profitto dalle sue idee accrescendo la quantità di banconote emesse per finanziare le loro guerre che non trovavano alimentazione nell’oro che scarseggiava. Poi, generarono un gigantesco ‘schema Ponzi’ dal nome di un altro celebre emigrante italiano di nome Charles Ponzi che, emigrato a Boston qualche secolo dopo ideò il meccanismo per cui l’entusiasmo dei nuovi investitori attratti da mirabolanti guadagni è soddisfatto da rimborso degli investimenti fatti dai primi sottoscrittori. È di pochi anni or sono la triste vicenda di Bernie Madoff, ex direttore del Nasdaq che pagò con la morte in carcere l’adozione di un simile schema.

Quando, infine, l’eccesso di emissione con cui i sovrani, inglese prima e francese, poi, collassò, essi non trovarono di meglio che additarne la responsabilità al disinvolto Law che fu costretto a riparare a Venezia, dove morì nel 1729.

Ma l’attualità della sua intuizione ci riporta alle recenti quotazioni dell’indice tecnologico per eccellenza, il Nasdaq che oggi quota circa 15.000 punti contro i 5.000 del marzo del 2000, anno dello scoppio la bolla delle dot.com. Il celebre scozzese avrebbe senz’altro provato soddisfazione nel vedere che l’indice che sintetizza le sue idee, il Nasdaq batte sistematicamente sui tempi lunghi quello dei titoli tradizionali.

La composizione dell’indice tecnologico simbolo dell’innovazione per eccellenza, in altre parole dell’immateriale, sembra, cioè, molto più vicina a noi per quanto il Covid ci ha costretto a fare, si pensi alle video chiamate tramite piattaforme Skype o Zoom. Le quotazioni dei titoli del big tech nonostante i forti ribassi del terribile mese di febbraio 2020 si sono più che raddoppiate superando di gran lunga quelle del tradizionale settore dei cosiddetti titoli ‘tangibili’.

Le azioni delle prime cinque società con la maggiore capitalizzazione di borsa dello S&P500, le cosiddette Faang (Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google /Alphabet) valgono il 22%, circa un quarto dell’indice delle società a maggiore capitalizzazione al mondo.

Ma la distinzione tra value/tradizionale e growth/innovativo sembra ormai essersi persa nell’indistinto mare magnum dei due principali indici americani in cui il settore tech, una volta innovativo per eccellenza, il Nasdaq vede titoli come tecnologici non nel senso comunemente inteso.

La revisione degli indici del settore tech operata da MSCI e S&P ha estromesso aziende come Facebook, Google, Netflixspostandole’ nel comparto comunicazione e la stessa Amazon è ormai classificata tra i beni voluttuari in ottima compagnia, con eBay e Alibaba leader delle piattaforme di compravendita on line.

L’ultimo punto di attenzione circa i titoli big tech va fatto rilevare agli investitori professionali ed in particolare ai piccoli risparmiatori, i quali ultimi, soprattutto, inserendoli nei rispettivi portafogli direttamente o attraverso fondi o ETF devono essere ben consapevoli dei rischi cui sono sottoposti.

Dott. Vincenzo Gisondi
Consulente Finanziario iscritto all’OCF
EFA – European Financial Advisor